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Sabato, 20 Aprile 2024
Salute

Ricerca: eroine o cenerentole? Scienziate italiane contro gli stereotipi

A BergamoScienza in 4 a confronto sul gender gap, la più giovane ha 12 anni si sogna matematica


Milano, 18 ott. (Adnkronos Salute) - Eroine nei libri e al cinema, ancora troppo spesso all'angolo sul posto di lavoro. E' il nuovo paradosso del 'gender gap', la disparità di genere vissuta in Italia dalle donne che fanno ricerca: mentre negli ultimi anni la narrazione mediatica le ha scoperte e trasformate in fenomeni, la realtà quotidiana rimane diversa e il loro sogno è che arrivi un giorno in cui indossare un camice e aspirare a ruoli di vertice sia considerato semplicemente normale. Un giorno in cui lasciare alle favole l'immagine della 'cenerentola' vittima di pregiudizi, che solo una bacchetta magica può vestire da principessa. Lo spiegano le 4 protagoniste della conferenza 'Superscienziate? Le donne in scienza tra storytelling e realtà', in programma sabato 19 ottobre nella cornice di BergamoScienza.


A confrontarsi sul tema saranno Paola Govoni, professore associato all'università di Bologna, esperta in genere e cultura della scienza; Tiziana Metiteri, neuropsicologa clinica all'ospedale Meyer di Firenze e co-ideatrice con Sonia Mele e Morgana Favero del progetto 'Untold stories: the women pioneers of neuroscience' (wineurope.eu); Simona Polo, biologa responsabile del programma di ricerca Complessi molecolari e trasmissione del segnale all'Ifom-Istituto Firc di oncologia molecolare di Milano, docente all'università Statale del capoluogo lombardo; Ariel Spini Bauer, studentessa di seconda media. Classe 2007, autrice per Editoriale Scienza del libro 'Da grande farò' in cui intervista 10 big della scienza (5 uomini e 5 donne), ama la matematica e vorrebbe studiarla all'università per poi insegnarla. "Anche se - mette le mani avanti - sono consapevole che probabilmente cambierò idea".


A ispirare la discussione sono i riflettori puntati fissi sul 'pink power' da articoli di stampa, servizi tv, mostre, documentari, film campioni di incassi. "Un'attenzione importante perché mette in luce il fattore femminile nella ricerca - spiegano le relatrici anticipando qualche riflessione all'AdnKronos Salute - ma che risulta in contrasto stridente con la condizione effettiva della donna scienziata, che le statistiche e gli studi aggiornati ci presentano come ancora estremamente debole e sempre più svantaggiata nel percorso di carriera".


Il rapporto fra donne e materie Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) è ben documentato a livello nazionale e non solo. "Da molti anni si producono informazioni", ricorda Govoni, numeri "di facile reperimento in Internet come quelli Pisa e Invalsi in Italia, di She figures e della Royal Society in Europa, della National Science Foundation negli Usa e molti altri ancora. Il dato positivo è quello che ci mostra come le donne tendano a essere più studiose degli uomini in tutte le zone del mondo dove hanno diritto all'istruzione. Quello negativo e altrettanto noto è che sembrano meno interessate a certi ambiti scientifici, per esempio la 'computer science', oggi strumento cruciale per ogni ambito della ricerca così come nella gestione dei mercati e di ogni aspetto della vita, sociale e personale".


"Nel nostro Paese le ragazze in età scolastica sono attratte dalla scienza e costituiscono la maggior parte dei laureati in materie scientifiche - osserva Polo - Anche a livello di master le donne rappresentano la maggioranza, ma già al dottorato si registra un'inversione di tendenza e quando si arriva al management la discrepanza diventa scandalosa. In Ifom, dove lavoro, i 'principal investigator' donne sono 6 su 24, appena il 25% e comunque una percentuale alta rispetto al panorama nazionale. Non parliamo poi del fatto che ci sono pochissime direttrici alla guida di istituti di ricerca. L'unico caso, celebrato dai media, è quello di Fabiola Gianotti direttrice del Cern di Ginevra. Ma appunto siamo in Svizzera, non in Italia".


In cima alla classifica internazionale della parità di genere ci sono "i Paesi nordici, con politiche sociali e assistenziali ambiziose che aiutano le donne sul posto di lavoro. Ma attenzione - precisa la scienziata - non sono in testa solo perché hanno attuato la politica delle quote rosa, bensì grazie a decenni di educazione alla parità che parte dalla scuola. Lì nessuno si stupisce che un padre condivida con la compagna l'onere dei mesi di maternità. Qui, se uno scienziato solo lo pensasse, il 90% dei suoi colleghi maschi lo considererebbe un pazzo". Gli direbbero "che fai? Butti all'aria la carriera?".


"Analizzando le testimonianze che ho raccolto dalle 5 scienziate che ho avuto l'onore di intervistare - racconta Ariel - purtroppo emerge chiaramente che spesso i pregiudizi hanno limitato e limitano fortemente le scelte delle donne relativamente alla strada che vogliono intraprendere. Mi viene in mente ad esempio Amalia Ercoli Finzi", la prima laureata in Ingegneria aeronautica in Italia. "Per poterla studiare all'università ha dovuto combattere" e alla fine ce l'ha fatta, ribattezzata oggi dalle cronache 'donna delle comete' o 'mamma della missione Rosetta'. Mamma, appunto. Donna e quindi madre: ancora una volta "uno stereotipo - fa notare Polo - che le storie di scienziate proposte dai media tendono spesso a consolidare".


"La ricercatrice-mamma - ragiona la scienziata Ifom - costituisce sempre di più un fattore di attrazione mediatica. Basta fare un esperimento nella stringa di Google: se digitiamo 'scienziata mamma' otterremo 688 mila risultati (oggi 857 mila, ndr), tutti concentrati su storie di ricercatrici che hanno portato avanti in parallelo alla carriera un progetto di maternità; se cerchiamo invece 'scienziato papà', otterremo 571 mila risultati (oggi 702 mila) in cui però l'accostamento tra le due parole non è legato al binomio carriera-famiglia, bensì alla paternità intellettuale di una scoperta scientifica". Ciò premesso, ammette Polo, accendere i fari sul nodo della difficile conciliazione famiglia-lavoro "ha comunque una sua funzione sociale".


Come pure è utile rileggere la storia, suggerisce Metiteri, per "scoprire delle superscienziate che non sono diventate figure pubbliche non certo per mancanza di merito scientifico, ma per via di un contesto sociale e culturale penalizzante che le ha escluse. Si pensi alla biologa e virologa tedesca Margherite Vogt: figlia della neurologa Cécile Mugnier Vogt, fu una scienziata geniale e versatile. Lavorò fianco a fianco con Dulbecco, ma nel 1975 il Nobel fu assegnato a lui e lei non venne né citata né ringraziata. Che la valutazione delle donne non si basasse sul merito scientifico è la regola", e sicuramente "altri fattori contano come insegna un'altra vicenda: nello stesso periodo, nella stessa nazione, in un identico contesto lavorativo di risorse ed eccellenze, un'altra donna, Rita Levi Montalcini, il Nobel lo ricevette".


Se si è donna, insomma, avere un cervello 'di razza' e provare a metterlo al servizio della ricerca non sempre è sufficiente per emergere. "Nonostante le evidenze scientifiche - commenta Metiteri - ancora persiste nella mente di troppi, in buona o cattiva fede, la storica contrapposizione tra l'ideale di oggettività della scienza e la soggettività della donna, meno capace in alcune materie o meno portata a gestire alcune situazioni, in genere quelle di potere e decisionali". La speranza della neuropsicologa è "che se ne continui a parlare e il libro di Angela Saini in uscita in Italia, 'Inferiori - Come la scienza ha penalizzato le donne', darà ulteriori spunti al dibattito".


"La scienza - puntualizza Govoni - è la cultura che sostiene le nostre società e lo è da diversi secoli. Interrogarsi su questioni sociali e culturali che la riguardano è fondamentale, sia in relazione alla scienza stessa sia per orientare le politiche nazionali e internazionali in modo cosiddetto sostenibile".


Tuttavia, secondo la docente oggi il problema delle donne in camice "è sottostimato e relegato a una questione di diritti". Invece "discutere di ragazze, donne e scienza non è soltanto un fatto di diritti, ma dovrebbe essere cruciale per chi si occupa di politiche della scienza e di interazioni tra scienza e società". La storia di sicuro non regala ricette, però può contribuire a porre nuove domande alle quali converrebbe forse rispondere "in modo integrato, mettendo a confronto punti di vista diversi, nazionali e internazionali, nel medio e nel lungo periodo".


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