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Venerdì, 19 Aprile 2024
L'intervento

La lettera di Giorgia Meloni sul 25 aprile: "Noi incompatibili col fascismo"

"Sia la festa della libertà: i valori democratici ora difendiamoli in Ucraina", scrive la premier. E poi cita Paola Del Din, medaglia d'oro della Resistenza: "Il tempo ci ha ribattezzati partigiani, ma noi eravamo patrioti, io lo sono sempre stata e lo sono ancora"

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni scrive al Corriere della Sera una lettera sul 25 aprile, dopo le polemiche sul fascismo, per lanciare un messaggio forte e di "coesione per tutto il Paese". E prende una posizione forte: "Da molti anni, e come ogni osservatore onesto riconosce, i partiti che rappresentano la destra in Parlamento hanno dichiarato la loro incompatibilità con qualsiasi nostalgia del fascismo".

"Nel mio primo 25 aprile da presidente del Consiglio - scrive Giorgia Meloni -, affido alle colonne del Corriere alcune riflessioni che mi auguro possano contribuire a fare di questa ricorrenza un momento di ritrovata concordia nazionale nel quale la celebrazione della nostra ritrovata libertà ci aiuti a comprendere e rafforzare il ruolo dell'Italia nel mondo come imprescindibile baluardo di democrazia. E lo faccio con la serenità di chi queste riflessioni le ha viste maturare compiutamente tra le fila della propria parte politica ormai 30 anni fa, senza mai discostarsene nei lunghi anni di impegno politico e istituzionale".

"Il 25 aprile 1945 segna evidentemente uno spartiacque per l'Italia: la fine della seconda guerra mondiale, dell'occupazione nazista, del ventennio fascista, delle persecuzioni anti ebraiche, dei bombardamenti e di molti altri lutti e privazioni che hanno afflitto per lungo tempo la nostra comunità nazionale", scrive Meloni. "Purtroppo, la stessa data non segnò anche la fine della sanguinosa guerra civile che aveva lacerato il popolo italiano, che in alcuni territori si protrasse e divise persino singole famiglie, travolte da una spirale di odio che portò a esecuzioni sommarie anche diversi mesi dopo la fine del conflitto - continua la premier -. Così come è doveroso ricordare che, mentre quel giorno milioni di italiani tornarono ad assaporare la libertà, per centinaia di migliaia di nostri connazionali di Istria, Fiume e Dalmazia iniziò invece una seconda ondata di eccidi e il dramma dell’esodo dalle loro terre".

E ancora: "Ma il frutto fondamentale del 25 aprile è stato, e rimane senza dubbio, l'affermazione dei valori democratici, che il fascismo aveva conculcato e che ritroviamo scolpiti nella Costituzione repubblicana. Da quel paziente negoziato volto a definire princìpi e regole della nostra nascente democrazia liberale - esito non unanimemente auspicato da tutte le componenti della Resistenza - scaturì un testo che si dava l'obiettivo di unire e non di dividere".

"Nel gestire quella difficile transizione, che aveva già conosciuto un passaggio significativo con l'amnistia voluta dall'allora ministro della giustizia Togliatti - scrive ancora la presidente del Consiglio -, i costituenti affidarono dunque alla forza stessa della democrazia e della sua realizzazione negli anni il compito di includere nella nuova cornice anche chi aveva combattuto tra gli sconfitti e quella maggioranza di italiani che aveva avuto verso il fascismo un atteggiamento «passivo»". "Specularmente - continua Meloni -, chi dal processo costituente era rimasto escluso per ovvie ragioni storiche, si impegnò a traghettare milioni di italiani nella nuova repubblica parlamentare, dando forma alla destra democratica. Una famiglia che negli anni ha saputo allargarsi, coinvolgendo tra le proprie fila anche esponenti di culture politiche, come quella cattolica o liberale, che avevano avversato il regime fascista".

"È nata così - aggiunge - una grande democrazia, solida, matura e forte, pur nelle sue tante contraddizioni, e che nel lungo dopoguerra ha saputo resistere a minacce interne ed esterne, rendendo protagonista l'Italia nei processi di integrazione europea, occidentale e multilaterale". Dal 25 aprile, in Italia è nata "una democrazia nella quale nessuno sarebbe disposto a rinunciare alle libertà guadagnate. Nella quale, cioè, libertà e democrazia sono un patrimonio per tutti, piaccia o no a chi vorrebbe che non fosse così. E questa non solo è la conquista più grande che la nostra Nazione possa vantare ma è anche l'unico, vero antidoto a qualsiasi rischio autoritario".

Così la premier in occasione della festa della Liberazione. "Per questo non comprendo le ragioni per le quali, in Italia, proprio fra coloro che si considerano i custodi di questa conquista vi sia chi ne nega allo stesso tempo l'efficacia, narrando una sorta di immaginaria divisione tra italiani compiutamente democratici e altri - presumibilmente la maggioranza a giudicare dai risultati elettorali - che pur non dichiarandolo sognerebbero in segreto un ritorno a quel passato di mancate libertà", aggiunge la presidente del Consiglio.

"Capisco quale sia l'obiettivo di quanti, in preparazione di questa giornata e delle sue cerimonie, stilano la lista di chi possa e di chi non possa partecipare, secondo punteggi che nulla hanno a che fare con la storia ma molto hanno a che fare con la politica. È usare la categoria del fascismo come strumento di delegittimazione di qualsiasi avversario politico: una sorta di arma di esclusione di massa, come ha insegnato Augusto Del Noce, che per decenni ha consentito di estromettere persone, associazioni e partiti da ogni ambito di confronto, di discussione, di semplice ascolto", scrive ancora la premier, citando il filosofo che indagò il fascismo. "Un atteggiamento talmente strumentale - aggiunge Meloni - che negli anni, durante le celebrazioni, ha portato perfino a inaccettabili episodi di intolleranza come quelli troppe volte perpetrati ai danni della Brigata ebraica da parte di gruppi estremisti. Episodi indegni ai quali ci auguriamo di non dover più assistere".

"Mi domando se queste persone si rendano conto di quanto, così facendo, indeboliscono i valori che dicono di voler difendere" osserva ancora Meloni, parlando di chi usa "la categoria del fascismo come strumento di delegittimazione di qualsiasi avversario politico". "È probabilmente questa consapevolezza ad aver spinto Luciano Violante a individuare - nel suo memorabile discorso di insediamento da presidente della Camera quasi trent'anni fa - proprio in una certa «concezione proprietaria» della lotta di Liberazione uno dei fattori che le impedivano di diventare patrimonio condiviso da tutti gli italiani", aggiunge Meloni, sottolineando che è "un concetto ripreso nel 2009 da Silvio Berlusconi (allora presidente di un Consiglio dei ministri nel quale sedevo anche io) in un altro famoso discorso, quando a Onna, celebrando l'anniversario della Liberazione sulle macerie del terremoto, invitò a fare del 25 aprile la «Festa della Libertà», così da superare le lacerazioni del passato. Un auspicio - aggiunge - che non solo condivido ma che voglio, oggi, rinnovare, proprio perché a distanza di 78 anni l'amore per la democrazia e per la libertà è ancora l'unico vero antidoto contro tutti i totalitarismi. In Italia come in Europa".

Meloni sul Corriere della Sera fa anche riferimento alla guerra in Ucraina: "In questo nuovo bipolarismo l'Italia la sua scelta di campo l'ha fatta, ed è una scelta netta. Stiamo dalla parte della libertà e della democrazia, senza se e senza ma, e questo è il modo migliore per attualizzare il messaggio del 25 aprile. Perché con l'invasione russa dell'Ucraina la nostra libertà è tornata concretamente in pericolo. È, questa, una convinzione che ho rafforzato grazie all'incontro con una donna straordinaria, Paola Del Din".

Chi è Paola Del Din, la partigiana "Renata" citata da Giorgia Meloni

La lettera della premier Giorgia Meloni al Corriere della Sera, scritta in occasione del 25 aprile, si conclude con un riferimento all'incontro con la partigiana Paola Del Din. "Durante la Resistenza combatteva con le Brigate Osoppo, le formazioni di ispirazione laica, socialista, monarchica e cattolica. Fu la prima donna italiana - ricorda la presidente del Consiglio - a paracadutarsi in tempo di guerra. Il suo coraggio le è valso una medaglia d'oro al valor militare, che ancora oggi, quasi settant'anni dopo averla ricevuta, sfoggia sul petto con commovente orgoglio".

"Della Resistenza dice: 'Il tempo ci ha ribattezzati partigiani, ma noi eravamo patrioti, io lo sono sempre stata e lo sono ancora'. Nell'Italia repubblicana - prosegue Meloni - è stata insegnante di Lettere e, nonostante i suoi quasi cento anni, continua ad accettare gli inviti a parlare nelle scuole di Italia e del valore della libertà. Dedico questo giorno a lei, madre di quattro figli e nonna di altrettanti nipoti, ma anche, idealmente, di tutti gli italiani che antepongono l'amore per la propria patria a ogni contrapposizione ideologica".

Paola Del Din è nata a Pieve di Cadore il 22 agosto 1923. Durante la Resistenza era conosciuta con il nome di battaglia di "Renata". È stata citata da Giorgia Meloni nella lettera in cui parla della Liberazione nel suo primo anno alla presidenza del Consiglio e alla cui figura ha voluto dedicare il suo 25 aprile perché "è la mamma e nonna di tutti gli italiani che antepongono l'amore per la propria Patria a ogni contrapposizione ideologica".

Paola Del Din è stata la prima donna paracadutista militare italiana e l'unica ad aver compiuto un lancio di guerra durante la seconda guerra mondiale. Subito dopo l'armistizio, con il fratello Renato, ex allievo della scuola militare di Milano (poi diventata Teulié), entrò a far parte della resistenza in Friuli-Venezia Giulia nelle file della Brigata Osoppo con il nome di battaglia "Renata". Affrontò numerosi e rischiosi incarichi come staffetta e informatrice. Dopo l'uccisione del fratello da parte dei tedeschi, Paola Del Din ricevette l'incarico dalla Brigata Osoppo di raggiungere gli alleati a Firenze per consegnare un messaggio.

Per onorare la memoria del fratello e continuare la sua opera patriottica, Paola Del Din frequentò un corso per paracadutisti e il 9 aprile 1945 si lanciò in una zona del Friuli dove doveva prendere contatto con una missione alleata e con la formazione Osoppo. Durante l'atterraggio si fratturò una caviglia, ma riuscì a portare a termine il suo compito, attraversando le linee di combattimento e consegnando i documenti segreti che trasportava. Grazie alla sua forza e alla sua determinazione, Paola Del Din si è guadagnata un posto nella storia come la prima donna paracadutista militare italiana e l'unica ad aver compiuto un lancio di guerra durante la seconda guerra mondiale.

Dopo la Liberazione, si è laureata in lettere all'università di Padova, e ha insegnato per alcuni anni. In seguito, ha vinto una borsa di studio e si è trasferita negli Stati Uniti, conseguendo un "Master of Arts" all'università della Pennsylvania. Tornata in Italia, ha insegnato nella scuola pubblica. Nel 2007 è stata riconfermata alla presidenza nazionale della Federazione italiana volontari della libertà, e ha anche ricoperto il ruolo di presidente regionale dell'Associazione nazionale famiglie caduti e dispersi in guerra.

Durante le celebrazioni del 25 aprile 2005 a Udine, Paola Del Din ha espresso la sua opinione sull'organizzazione Gladio (l'organizzazione paramilitare che avrebbe dovuto costituire l'opposizione armata in Italia in caso di invasione sovietica), affermando di non averne mai fatto parte, senza tuttavia esprimere un giudizio negativo. La sua affermazione è stata contestata da un gruppo di militanti di Rifondazione comunista e altre formazioni politiche. Il segretario regionale dell'Anpi ha condannato ciò che è successo, mentre i capigruppo di minoranza del consiglio regionale friulano hanno presentato una mozione di solidarietà verso Paola Del Din. Nonostante ciò, la mozione è stata respinta con 17 voti favorevoli e 26 contrari.

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