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Martedì, 23 Aprile 2024

Andrea Maggiolo

Giornalista

Disastro affluenza: è (anche) colpa di Draghi

Non bisogna stupirsi dell'astensione a livelli record alle elezioni comunali e al referendum. Il dato del 21 per cento di votanti (sono stati i meno partecipati di sempre) è oggi il titolo d'apertura di molti quotidiani nazionali. Chi ha proposto una tornata fallimentare dal punto di vista della partecipazione si dovrebbe assumere, fra le altre, la responsabilità politica dell'alimentare la disaffezione al voto. Gorizia, Taranto e Genova sono le tre province con la maggiore affluenza, mentre Crotone, Bolzano e Brindisi quella con la minore. E' evidente l'impatto delle amministrative, dove si votava per le comunali si è votato di più anche per il referendum, come da previsioni. Ma il problema vero non è la poca affluenza per dire la propria sui quesiti sulla giustizia che, sintetizziamo, non interessavano a nessuno ed erano un fallimento annunciato. Tra l'altro la costituzione per i referendum prevede tre opzioni: approvazione con il Si; respingimento col No; fallimento con mancanza del quorum. Quindi chi non va a votare rispetta il dettato costituzionale, facendo fallire la consultazione. 

Il problema per la nostra democrazia è l’affluenza alle comunali, disastrosa. Ragioniamo sul dato di affluenza alle elezioni amministrative ieri: 54 per cento circa. Sembra un dato quasi accettabile rispetto allo sprofondo referendario, ma sono numeri invece inquietanti. Molto. E che confermano un trend in atto da tempo. Alle amministrative di ottobre il dato dei votanti ieri si era attestato proprio al 54%, ma arrivava da lontano: non fu nemmeno allora un fulmine a ciel sereno.  A Genova ieri ha votato un elettore su due. A Palermo l'affluenza si è fermata poco oltre il 40 per cento. Anche a Torino e Milano andò a votare un elettore su due, sei mesi fa. Colpì particolarmente il dato torinese, dove dieci anni fa votava il 64%, vent'anni fa l'82%. Il dato più alto risale al 1970, quando andò ai seggi il 93% degli aventi diritto. 

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Un'altra Italia, un altro mondo. L'astensionismo è un dramma non solo tricolore. Oggi le persone più deboli, non solo dal punto di vista economico, sono diventate anche le più scoraggiate: vedono la politica come una cosa che non le riguarda, anche quella locale. Occorre recuperare la fiducia ma anche, forse soprattutto, la passione per la politica. Difficile nell'Italia del 2022, in una fase nella quale il governo si presenta quasi ostentatamente come un mero esecutore, al di sopra della normale dialettica politica. Il problema forse è proprio questo: la dialettica politica, vivace, c'è. Non è assente, il confronto tra i partiti politici è spesso aspro e non sempre banale come qualcuno vorrebbe disegnarlo. Ma il punto è che risulta, o almeno sembra, inutile a conti fatti. Perché il premier Draghi procede a prescindere da cosa pensino o dicano i partiti: "Le cose vanno fatte perché si devono fare" ha ribadito più volte. Frase ambigua, rischiosa.

L'ultimo stallo della politica, quella vera, iniziato di fatto quando Mattarella ha incaricato Draghi al di fuori di ogni "formula politica" è per forza di cose temporaneo. Prima o poi il governo deve essere indirizzato da una maggioranza vera e non improvvisata, e ci si augura che succederà, chiunque vinca le elezioni, tra meno di un anno. Nell'Italia di inizio estate 2022 è però lecito chiedersi perché mai un cittadino dovrebbe appassionarsi alla politica: tutti i partiti tendono a confondersi e, spesso di buon grado, si mettono in seconda fila nel governo di un economista che guida l'Italia con il pilota automatico. Un governo che non risponde più ai partiti li condanna all'irrilevanza, quantomeno nella percezione popolare. E' quel che sta succedendo. In molti evidenziano oggi che i leader politici, a destra e a sinistra, stiano già archiviando il disastroso dato dell'affluenza ai seggi grazie all'ancora più disastroso dato dell'affluenza ai referendum. Rapido consiglio non richiesto ai segretari di partito: è più urgente interrogarsi sull'astensionismo quando quasi la metà degli elettori non va a votare nemmeno per eleggere il proprio sindaco e consiglio comunale, piuttosto che per un referendum perso in partenza dopo l'esclusione dei quesiti su fine vita e cannabis legale.

Ci ripetiamo: l'astensione è il primo partito d'Italia. E, insieme all'evasione fiscale, il primo problema. Se l'affluenza resta bassa alle elezioni amministrative è un disguido serio, se succede alle elezioni politiche, un disastro per la democrazia. E' dal 2011 che con brevi pause si alternano governi poco riconoscibili, con quasi tutti dentro, in nome dell'emergenza del momento. Se si solidifica la percezione, sempre e comunque sbagliata, che andare a votare "non serve a niente", siamo nei guai.

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