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Sabato, 20 Aprile 2024

Giovanni Pizzocolo

Giornalista Brescia

Tanto destra e sinistra sono uguali: così muore l'antifascismo

È un risultato di grande rilevanza storica quello delle ultime elezioni politiche. Il neofascismo ha infatti terminato, vittoriosamente, il suo percorso nella storia repubblicana, raggiungendo il potere. Nulla di eccezionale, direte; ma dobbiamo sempre ricordarci che l'Italia è la nazione ideatrice del fascismo con tutte le sue nefandezze: squadrismo omicida, dittatura, leggi razziali, massacri coloniali, deportazione degli ebrei; la lista è lunghissima. Il 25 settembre abbiamo scoperto che – per oltre 7 milioni di italiani – ispirarsi a un'ideologia che ha condotto a un tale abominio è cosa meritevole, degna di voto. Il problema è, a questo punto, capire cosa ne è stato dell'antifascismo, da cui, tra le macerie della guerra, è nata la Repubblica italiana e la sua mirabile Costituzione.

L'antifascismo non fa più presa

L'antifascismo non fa più presa sull'elettorato perché, ormai, è un concetto talmente abusato da non avere più credibilità alcuna, ogni qualvolta si palesa sulle bocche dei politici. La sua valenza mitopoetica è inesistente se, a esserne garante, è un partito-Stato qual è diventato il Pd, il quale – stando solo alle cronache recenti – è stato il più grande sostenitore dell'invio massiccio di armi all'Ucraina (su diktat degli Stati Uniti), in barba all'articolo 11 della Costituzione: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Un partito che si dice antifascista dovrebbe spendersi per una risoluzione rapida e diplomatica della crisi, sapendo che a pagare sono sempre i comuni cittadini, in una guerra. È poi lo stesso "antifascista" Pd l'artefice dell'abrogazione dell'Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e del memorandum Italia-Libia del 2017, firmato da Gentiloni e promosso da Minniti, che ha riportato nell'inferno libico oltre 82mila migranti in 5 anni: uomini, donne e bambini detenuti arbitrariamente, tra stupri, torture e lavori forzati. Quale sarebbe, dunque, la differenza tra l'antifascismo di Enrico Letta e il neofascismo di Giorgia Meloni?

Nessuna; e qui sta il punto. Per le élite politiche e borghesi l'antifascismo è stato utilizzato negli ultimi decenni nella misura di un vuoto slogan, da utilizzare semplicemente come chiamata alle urne di fronte al "pericolo costituzionale" rappresentato dalla destra. Ma la storia ha dimostrato come tale minaccia arrivi da entrambi i lati del parlamento; anzi, è proprio il centrosinistra ad aver portato a termine le maggiori modifiche alla Costituzione.

Un programma neoliberista

Il suo programma politico e sociale è inoltre identico a quello del centrodestra, fondato su neoliberalismo, attacco ai diritti dei lavoratori ed egemonia dell'imperialismo statunitense. Resta sì una grande differenza sui temi di libertà personale e dei diritti civili, quali l'accesso all'aborto e la lotta all'omofobia, ma – causa la devastante crisi economia alle porte – attualmente sono l'ultima preoccupazione per una maggioranza di elettori dal forte imprinting cattolico e patriarcale. Così, dovendo scegliere tra il fez antifascista di Letta e quello di Meloni, alla fine hanno scelto l'originale; anche perchè, quando in Italia dilagano rabbia e malcontento, il cappello con la nappa torna sempre di moda.

Tanto destra e sinistra sono uguali: così muore l'antifascismo

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