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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Berlusconi indagato per corruzione in sentenze del Consiglio di Stato

"Concorso in corruzione in atti giudiziari": questa l’ipotesi di reato per la quale la procura di Roma ha iscritto nel registro degli indagati l'ex premier Silvio Berlusconi

Silvio Berlusconi, è indagato alla Procura di Roma con l’accusa di concorso in corruzione in atti giudiziari. Il primo commento dalle fila di Forza Italia arriva da Mariastella Gelmini, presidente dei deputati azzurri.

"Berlusconi scende di nuovo in campo per le elezioni e puntuale come un orologio arriva l'avviso di garanzia - scrive Gelmini ironica su Twitter - Le solite coincidenze...''.

L'inchiesta che riguarda l'ex presidente del Consiglio sarebbe ben più vasta ed è relativa a presunte sentenze pilotate al Consiglio di Stato, il massimo organo della giustizia amministrativa. Il fascicolo d'inchiesta è stato aperto dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e del sostituto Stefano Fava: i magistrati stanno ricostruendo una presunta rete di tangenti veicolate a magistrati compiacenti.

L'inchiesta sulle sentenze del consiglio di Stato

La maxi indagine nelle scorse settimane ha portato a una serie di arresti che hanno riguardato anche magistrati. 

Il nome di Silvio Berlusconi entra nell'inchiesta in merito ad una sentenza del 2016 in cui il Consiglio di Stato annullò l'obbligo di cedere una quota detenuta in banca Mediolanum che era stato imposto da Bankitalia all'ex presidente del Consiglio.

I sospetti sulla sentenza nascono dopo una perquisizione effettuata nel 2016 a casa di un ex funzionario di Palazzo Chigi dal Nucleo Valutario della Guardia di Finanza in relazione a un'altra indagine.

La sentenza Mediolanum

L’iscrizione nel registro degli indagati del leader di Forza Italia è legata a quella che per gli inquirenti è una sentenza "sospetta", ovvero quella che ha restituito al leader di Forza Italia le azioni di Mediolanum, che sia Bankitalia, in virtù della condanna del 2013, sia il Tar avevano imposto di cedere.

In pratica dopo la condanna nel processo Mediaset, Fininvest (socia al 29,9% dell’istituto di credito) non avrebbe potuto detenere una quota superiore al 9,99% di Banca Mediolanum.

Dopo l'impugnazione davanti al Tar Lazio, i magistrati amministrativi diedero ragione a Bankitalia, ma al Consiglio di Stato avvenne un cambio di rotta. 

I giudici di Palazzo Spada accogliendo una richiesta dei legali di Berlusconi, emettono prima una ordinanza che sospende la decisione della Banca d'Italia, poi con una sentenza in data 3 marzo 2016 accolgono le ragioni presentate dall'ex presidente del Consiglio.

Così viene accolto il ricorso dell’ex premier contro l’obbligo imposto da Banca d’Italia e Ivass a Fininvest di cedere la quota eccedente il 9,99% detenuto in Banca Mediolanum.

Il blitz della Guardia di Finanza

I presunti illeciti emergono a luglio del 2016, quando gli investigatori della Guardia di finanza compiono una perquisizione nell’abitazione di un ex funzionario di Palazzo Chigi indagato di riciclaggio.

Gli uomini del Nucleo Valutario delle Fiamme Gialle trovarono quasi 250mila euro nascosti in scatole di champagne con le copie di più sentenze del Consiglio di Stato contrassegnate da alcuni foglietti post-it. 

Tra queste copie figurava proprio un manoscritto - precedente alla decisione dei giudici di Palazzo Spada - che presenterebbe diverse connessioni con il testo della sentenza Mediolanum.

Un miliardo di euro in azioni

Un miliardo di euro: a tanto ammontavano le azioni Mediolanum che il Tar del Lazio aveva imposto a Silvio Berlusconi di vendere dopo la condanna per frode fiscale del 2013 che gli aveva fatto perdere i requisiti di onorabilità necessari per essere soci oltre il 10%.

A far scattare il provvedimento è una decisione di Bankitalia, del 7 ottobre 2014. Pochi mesi dopo, nel gennaio 2015, Berlusconi presenta ricorso contro l'obbligo imposto da Banca d'Italia e Ivass a Fininvest di cedere la quota in Mediolanum eccedente il 9,9%, ovvero il 20% circa delle azioni.

Il Consiglio di Stato il 3 marzo 2016 accoglie la tesi della difesa sostenendo che le norme sull'onorabilità non si possono applicare al caso dell'ex premier perché la norma può essere applicata solo ai soggetti che devono acquisire azioni, non a chi le detiene già. Per il Consiglio di Stato inoltre, si legge nella sentenza.

"Silvio Berlusconi, rispetto al provvedimento impugnato, non viene in rilievo come mero socio della società direttamente colpita dall'atto amministrativo che impone l'obbligo di alienazione. Anzi, sotto tale profilo, occorre evidenziare che formalmente Silvio Berluscobi non sia socio Fininvest, ma controlla una serie di società che a loro volta detengono la maggioranza di Fininvest".

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