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Venerdì, 29 Marzo 2024
SCANDALI

Il caso Shalabayeva e il petrolio kazako

Tutto quello che c'è da sapere sull'intreccio di potere e denaro tra l'Italia e il gigante energetico del Caucaso

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Caso Shalabayeva, per tre esperti dell’Alto Commissariato Onu per i Diritti Umani di Ginevra, Francois Crepeau, Juan Mendez e Gabriela Knaul, non ci sono dubbi: si tratta di un caso di “extraordinary rendition”. Una pratica illegale, avviata negli Usa nel 2001 dopo l’undici settembre, quando il rancore per i morti sgretolati dalle Torri Gemelle era ben al di sopra dei livelli di guardia tanto da prelevare e rinviare nei loro paesi d’origine presunti terroristi, a rischio di subire violenze. Insomma, con l’“extraordinary rendition” anche l’Onu ha pubblicamente stroncato quel che è successo a fine maggio. Era inevitabile.

C’è tuttavia un di più di peso: gli Stati Uniti, all’epoca delle estradizioni forzose, si macchiarono di cinismo, noi di 'coglionaggine'. Sì perché se dall’altra parte dell’Atlantico, pur nella massima distorsione storica, si calpestavano i diritti per questioni di sicurezza nazionale, da noi si è fatto per conto di terzi.

Con un blitz segretissimo, che ha impegnato una quarantina di agenti della questura di Roma, il 29 maggio Alm Shalabayeva, moglie dell’imprenditore e dissidente kazaco Mukhtar Ablyazov, è stata arrestata da alcuni agenti della questura di Roma, insieme alla figlia di sei anni, mentre si trovava in una villa a Casal Palocco, nella periferia della capitale. Moglie e figlia, non il marito, il vero obiettivo del piano, fuori casa nel momento dell’incursione. Tre giorno dopo, il 31 maggio, vengono caricate su un aereo diretto in Kazakistan messo a disposizione dal presidente kazaco Nursultan Nazarbaev. Trasportate nella città di Almaty, dove ora sono agli arresti domiciliari.

IPOTESI A – Il Kazakistan che in Italia fa il bello e il cattivo tempo infischiandosene della sovranità nazionale con l’avallo della politica e di Angelino Alfano, il ministro dell’Interno che non poteva non sapere. Per questo Alfano dovrebbe fare un passo indietro come richiesto da Sel e M5S, con tanto di sfiducia che sarà discussa quest’oggi in Parlamento.

IPOTESI BQuella sostenuta da Alfano, “io non ne sapevo nulla”, a cui credono, per ragion di Stato, o meglio, per la tenuta delle larghe intese, il premer Letta e il Presidente Giorgio Napolitano. In pratica, se vera, parte dei vertici della polizia, alti funzionari ministeriali, burocrati, (servizi segreti?), sovvertendo la gerarchia e la catena di comando, in barba all’autorità politica e istituzionale,  prendono accordi diplomatici con un paese estero e, dentro ad una sorta di colpo di stato lungo quanto un blitz, si fanno compari dei mandanti e esecutori. Possibile?

IPOTESI C – Che sia stata colpa della “più grande scoperta petrolifera degli ultimi 40 anni”? E’ un vecchio ritornello: dove c’è conflitto, c’è dietrologia, e dove c’è dietrologia c’è spesso il petrolio. Spesso a ragione visto che il ‘sistema’ è anche energia e scacchiera geopolitica per il controllo del greggio. Sta di fatto che uno dei maggiori investimenti italiani all’estero, a firma Eni, riguarda il petrolio del Kazakistan. Sta di fatto che Nazarbaev, il presidente kazako, si è sentito autorizzato a rincorrere un dissidente fin in casa nostra, con tutti i lascia passare del caso.

Andando a spulciare le cronache di quello che è e che è stato, torniamo al febbraio 2008. Un articolo di oltre sei anni fa di Altreconomia, misura il polso alla situazione:

L’aereo per Atyrau è affollato di soli uomini. Italiani, turchi, statunitensi, tutti operai e tecnici del petrolio. Sono l’unica donna. In un modo o nell’altro, tutti siamo qui per Kashagan, il più grande giacimento di petrolio scoperto negli ultimi 10 anni, e non ancora esplorato. Milioni di barili di oro nero che potrebbero diventare causa di una catastrofe ambientale. Kashagan si trova in uno degli ecosistemi più fragili al mondo, vicinissimo alla zona protetta del delta del fiume Ural, frontiera geografica tra Europa e Asia che divide a metà la città di Atyrau. È un isola a 70 chilometri al largo di Atyrau, nella parte settentrionale del Mar Caspio, in Kazakistan. Sotto un mare profondo tra i 3 e i 4 metri – un unico blocco di ghiaccio nei freddi inverni di questa regione -, il petrolio è a 5.000 metri di profondità. Petrolio su cui ha messo le mani la multinazionale italiana Eni, dal 2002 a capo dei lavori a Kashagan per il consorzio Agip Kco. L’Eni è responsabile per la costruzione degli impianti in mare e su terra atti all’estrazione e alla lavorazione del petrolio. Un’impresa faraonica e rischiosa, che il consorzio avrebbe dovuto terminare già alla fine del 2005, ma che per problemi tecnici è stato costretto a rinviare due volte, con conseguente aumento dei costi complessivi fino all’astronomica cifra di 136 miliardi di dollari. Lo scorso 8 agosto il governo kazako ha perso la pazienza e all’annuncio di un ulteriore rinvio al 2010 ha risposto bloccando i lavori per l’esplorazione a Kashagan e chiedendo a Eni una compensazione di circa 10 miliardi di dollari per violazioni ambientali commesse dal consorzio. La mossa kazaka è costata ad Eni la perdita di qualche punto sui mercati internazionali, e un gran mal di testa al suo amministratore delegato, Paolo Scaroni, che da agosto ad oggi è volato diverse volte nella capitale Astana per cercare una soluzione rapida e indolore alla controversia. Scaroni vuole evitare la cacciata di Eni dal consorzio e conseguentemente la perdita del controllo di quei 14 miliardi di barili di riserve estraibili, un colpo troppo duro in termini di perduti guadagni ma anche rispetto alla valutazione sui mercati finanziari della compagnia, oggi al sesto posto a livello mondiale per riserve controllate. Per salvare Eni si è mosso anche il nostro governo, con diverse dichiarazioni e con una missione di Stato ad inizio ottobre che ha visto il primo ministro Romano Prodi volare prima ad Astana e poi ad Atyrau per cercare di mediare una soluzione “amichevole” della controversia.

All’epoca Romano Prodi disse: “Sono contento dei messaggi rassicuranti arrivati sia dal presidente che dal primo ministro. Mi hanno detto che il Kazakistan non ha intenzione di cambiare la sua politica di apertura alle aziende straniere e che rispetterà pienamente le norme internazionali. Anche quando sorgono difficoltà, che sono normali fra amici, queste vengono risolte con il dialogo”.

Anche Libero, in questi giorni, quello dello scandalo Italo-Kazako, è tornata sul tema:

Le stime ipotizzano, dopo inenarrabili rinvii, che il first oil sgorgherà entro il 2013, massimo 2014. Ieri, non a caso, da Londra è rimbalzata la notizia che sull’Isola D (artificiale) è stata accesa la “fiaccola”, vale a dire che si brucia finalmente il primo gas (dolce) estratto dai pozzi. Il pompaggio del gas e del petrolio per la vendita segue questo evento fondamentale. Nella prima fase si punta ad estrarre da questo singolo pozzo 180mila barili al giorno, per arrivare ad oltre 370mila barili/giorno. A regime di sfioreranno i 500mila barili/giorno. A capo del mega progetto c’è un consorzio composto dai un ristretto club petrolifero (Kmg, Eni, Exxon, Shell, Total, ConocoPhillips e  Inpex).  Qualche giorno fa anche i cinesi - dopo infiniti corteggiamenti partiti nel 2003 - sono riusciti a metterci il becco sborsando una fiche da 5 miliardi di dollari per una quota modesta. L’iniziativa della China Petroleum (Cnpc), per rilevare l’8,4% del consorzio Ncoc (messo in vendita da ConocoPhillips), ha deluso le ambizioni dell’indiana Ongc Videsh. Però sulla rotta Russia-Kazakhstan-Cina passa il futuro della geopolitica energetica mondiale.

Riepilogando, per titoli. Il titolo principale di questa storia riguarda il caso della signora Shalabayeva e la diplomazia del Kazakistan capace di prendere in affitto un Paese per regolare alcune beghe di politica interna. Con tanto di estradizione illegale. Il Kazakistan tuttavia racconta di un affare petrolifero gigantesco in cui l’Eni è dentro fino al collo. La domanda è: il petrolio kazako può essere il sottotitolo di questa faccenda?

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