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Venerdì, 29 Marzo 2024
Politica

Renzi vuole il Pd, Bersani gli prepara la trappola

Il sindaco di Firenze, tatticismi o meno, attualmente è in pole per guidare l’area democratica. Ma Bersani prepara la fronda contro l'ex rottamatore in vista del Congresso

Alle 18 circa di lunedì 10 giugno, con il comune di Roma in tasca e con il profilarsi di un cappotto sul centrodestra dalle dimensioni storiche (quel sedici a zero che ha regolato la partita dei capoluoghi di provincia), tra la quattro mura del Pd c’era aria di festa grande. Il più contento di tutti è parso proprio l’ex segretario, Pier Luigi Bersani: “C’è solo uno che vince: è il Pd con i suoi candidati, una vittoria strepitosa. Aspetto naturalmente che qualcuno dica che il Pd ha perso o che si è vinto ’nonostante il Pd’. Sarà ora di comprendere che il vero problema del Partito Democratico è di essere all’altezza della sua forza e delle sue responsabilità, e che questa è la sfida che sta davanti al prossimo congresso”. Il Pd fa filotto e la fronda bersaniana rialza improvvisamente la testa: "Abbiamo vinto noi, Renzi non esageri". Parole precise con sullo sfondo un unico bersaglio, il sindaco di Firenze. Perchè? Per via di quel congresso autunnale che deciderà il futuro del Partito democratico.

Fino al ballottaggio la faccenda si è spesa in un balletto a due: da una parte il segretario pro tempore, Guglielmo Epifani, incaricato di avviare il partito verso l’appuntamento di fine 2013, dall’altra Matteo Renzi, che da sindaco è ancora indeciso se prendersi il vertice per puntare, una volta esauritasi la parentesi delle larghe intese, a palazzo Chigi. Tentato ma in posizione attendista. Questione di regole: “Prima le regole, poi scioglierò le riserve. Stavolta non mi fregate”.

Il sindaco, tatticismi o meno, attualmente è in pole per guidare l’area democratica. Dalla sua D’Alema, che con Renzi ha stretto l’accordo ‘del mio miglior nemico’. Da oggetto fisso e immutabile della rottamazione a possibile alleato. A certificare il tutto le parole rilasciate giusto ieri sera dall’ex presidente del consiglio a ‘Otto e mezzo’: “Renzi è un grande leader politico, una personalità fortissima e un ottimo comunicatore”. C’è D’Alema ma anche Veltroni, con correnti annesse, e una fronda eterogenea e trasversale che comprende anche alcuni ex bersaniani.

BERSANI – Alcuni, non tutti. Altri, dopo il successo fragoroso delle comunali, si sono stretti con più forza attorno all’ex capo. Obiettivo: uscire dall’angolo prima di essere stritolati dal patto di ferro tra D’Alema e Renzi (a cui guarda di buon occhio anche Enrico Letta). Così si sono fatti sentire. Tanto che quattro fedelissimi come Stefano Fassina, Alfredo D’Attorre (neocomponente della segreteria), Eugenio Mazzarella e Emma Fattorini, hanno presentato un documento che sa tanto di mossa anti (ex) rottamatore. Nel testo si parla di primarie e di una nuova concezione del partito. Partendo da un assunto, tanto per arginare l’idea dell’uomo solo al comando lanciata da Renzi nel suo ultimo libro (‘Oltre la rottamazione’): il Pd non è e non può trasformarsi in un partito personale. Tradotto, altolà Renzi, o per dirla nel gergale bersanese, “ti conosco mascherina". Bersani in pratica, con quest’atto affidato ai suoi, dopo un mesetto sabbatico, suona di nuovo la carica. Non per correre per sé, intendiamoci; semmai per il fresco governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, corteggiatissimo dalla fronda antirenziana alla quale, tuttavia, ha già risposto di no. Per adesso.

LA LISTA DEI SINDACI E LA STRATEGIA DI BERSANI

Un documento programmatico, con i fedelissimi dell’ex segretario che in serata si riuniranno alla Camera per mettere a punto la linea congressuale (anche in vista della prima riunione della commissione Congresso, prevista per lunedì prossimo); un paio di candidati; e una linea politica che sa di vendetta: far la guerra a Matteo. Nel documento di Fassina e company, infatti, non manca un riferimento deciso alle primarie: “Se nel recente passato abbiamo perduto molto, forse troppo tempo, in una sterile discussione tra i fautori del ‘partito liquido’ e quelli del ‘partito pesante’, oggi si deve evitare il rischio di ripetere l’errore di dividersi inutilmente e strumentalmente sul tema ‘primarie sì’ – ‘primarie no’”, avvertono. E ancora, rinvigorendo la polemica sulla bontà di uno strumento chiuso o aperto: “Non si tratta di negare il valore positivo e inclusivo dello strumento delle primarie, ma proprio per valorizzarlo ulteriormente è necessario avviare una riflessione critica, alla luce dell’esperienza (con luci e inevitabili ombre) vissuta in questi anni”.

Ma perché questo richiamo alle primarie, semmai da rivedere e regolarizzare una volta per tutte? Per via di Renzi, e chi altro, che le chiama a gloria a patto che siano aperte, “senza respingere le persone ai seggi”. Per il sindaco la via del meccanismo è monodirezionale: iscrizioni rapide e indolori, apertura ai sedicenni. E senza fregature politiche: se investitura sarà dovrà venire dagli elettori e non attraverso i giochi di apparato e di appartenenza. Quella ‘struttura’ che poi, se butta male, porta il conto e logora la tenuta del leader, stroncandone e affossandone le ambizioni. Del resto Veltroni non è stato schiacciato da queste logiche? Renzi lo sa, non vuol correre rischi, ed è deciso a passare per la porta principale, le primarie appunto. Lo sa bene lo stesso Veltroni che nel pomeriggio ha preso le distanze dalla linea Bersani: “Vorrei che il Pd discutesse con un nuovo spirito unitario ed evitasse di lacerarsi nella consueta dialettica tra documenti e nomi”.

SCONTRO STATUTO – C’è questo e c’è altro nel Pd. Come la partita sullo statuto. Il dibattito interno ruota attorno a quella norma che lega la segretaria del partito alla premiership. E in questa diatriba di merito c’è chi spinge per la separazione delle cariche. Come Fabrizio Barca ed il governatore della Toscana, Enrico Rossi. Una proposta semplice, chi fa il premier non può fare il segretario. La trovata, un mesetto fa, quando cominciò a circolare, fece sorridere Renzi: all’epoca pensò di potersi disinteressare alla questione segreteria per dedicarsi anima e corpo alla sfida per palazzo Chigi. Ora però ci si è messo di mezzo Bersani, è la cosa potrebbe complicarsi. Perché? Lo spiega bene Libero:

L'idea di Bersani è semplice: sdoppiando le due cariche, se anche Renzi un giorno andasse a Palazzo Chigi, ci sarebbe il partito a frenare qualsiasi pulsione leaderisitica. Una riproposizione, insomma, di quanto successo nelle fasi concitate del post-elezioni politiche. Renzi, per il motivo opposto, ambisce invece ad essere il segretario del partito e, quindi, il candidato premier, in modo da controllare le forze centripete della miriade di correnti del partito qualora riuscisse a sedere a Palazzo Chigi.

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