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Sabato, 20 Aprile 2024
Politica

"Conte alle elezioni vale il 15%"

A Palazzo Chigi accarezzano l'idea di una lista del premier e guardano con fiducia ai sondaggi che danno la sua popolarità in ripresa. E anche il Pd di Zingaretti comincia a guardare alle urne come una possibilità concreta. Per lasciare il cerino acceso in mano a Renzi. Che così rischia di bruciarsi

"In caso di voto, potrebbe spostare il 15 per cento, forse di più": nella confidenza fatta oggi da un grillino al Fatto Quotidiano c'è tutto il piano B della maggioranza Pd-M5S che da ieri pensa - e ne parla apertamente - alla possibilità di andare alle elezioni con Giuseppe Conte candidato premier "virtuale" per fermare la vis pugnandi di Matteo Renzi. 

"Conte alle elezioni vale il 15%"

Dal canto suo l'avvocato che è diventato inquilino di Palazzo Chigi con la Lega e lo è restato con il Partito Democratico pensa a una sua lista collegata ai partiti per un eventuale voto con il Rosatellum e guarda ai sondaggi di questi giorni che danno la sua popolarità in risalita nonostante le restrizioni di Natale 2020 (anzi, forse proprio a causa di quelle e della recrudescenza dell'epidemia di coronavirus). Un piano B che ieri hanno evocato Dario Franceschini e Nicola Zingaretti, immaginando un derby tra il premier e Matteo Salvini che però sembra davvero difficile da realizzare perché andare al voto durante - o subito dopo - una pandemia pare a tutti piuttosto difficile, se non impossibile. Per questo se il Conte-Ter non riuscirà ad andare in scena a causa del fallimento della verifica con Italia Viva si pensa più a un governo istituzionale che alle elezioni. 

E intanto i renziani sembrano cominciare a tornare più miti: "Domenica sera qualcosa è cambiato, Conte ha convocato una serie di riunioni che sono cominciate oggi. Mi sembra un fatto positivo, nuovo", ha detto ieri il presidente di Iv Ettore Rosato. Oggi Conte tornerà a incontrare i renziani mentre il loro capo ieri è tornato a spingere sul Mes, ben sapendo che in parlamento non c'è una maggioranza che lo voterebbe ma giocando sul fatto che era una proposta del Pd. Il Corriere della Sera scrive oggi che "l’unica cosa alla quale al momento il premier starebbe lavorando per assecondare le richieste di Renzi è un cambiamento della cabina di regia che dovrà monitorare e spendere i fondi europei, una struttura più politica e meno tecnica, con un maggiore coinvolgimento dei tecnici dei ministeri e senza l’adozione del modello dei manager: ne erano previsti sei, uno per ogni macro settore del Recovery, ipotesi che molto probabilmente verrà cassata".

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Su tutto il resto è stallo messicano. I partiti non hanno accolto l'invito di Conte a fare nuovi nomi per il rimpasto dei ministri, lui vuole che in ogni caso la sfiducia venga parlamentarizzata e su questo è d'accordo anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, incontrato ieri in via riservata dal premier. Il rischio di una crisi al buio è dietro l'angolo perché nel centrodestra Salvini potrebbe anche accettare l'idea di un governo di centrodestra ma Giorgia Meloni non ha la minima intenzione di farlo e per un motivo ben preciso: sta volando nei sondaggi, vorrebbe passare al più presto all'incasso. 

Il grande ritorno dei due vicepremier

Intanto secondo Repubblica c'è chi pensa che un modo per sciogliere l'impasse sia quello di tornare allo schema del premier accompagnato dai due vicepremier, che era andato in scena all'epoca del governo con la Lega. Sarebbe un modo per accontentare chi, a partire da Iv, chiedeva un governo più collegiale e probabilmente spalancherebbe le porte a un ritorno di Luigi Di Maio a Palazzo Chigi, mentre potrebbe essere Dario Franceschini a prendere il posto di Nicola Zingaretti nella spartizione delle vice-poltrone. Un'altra ipotesi che circola è quella dell'ingresso di Renzi nella squadra di governo, probabilmente nel ruolo di ministro della Difesa. Il fatto che lui per quel posto abbia candidato a più riprese Rosato è visto come una conferma della sua ambizione, che si completerebbe con la Nato dopo qualche tempo. Un altro posto che potrebbe rendersi disponibile è il ministero degli Interni, se davvero il governo avesse il coraggio di cacciare la tecnica più competente dell'esecutivo, ovvero Luciana Lamorgese. 

Poi c'è la delega ai servizi segreti. Per la quale ballano i nomi di Marco Minniti e Roberta Pinotti. Ma La Stampa scrive oggi che Nicola Zingaretti, Andrea Orlando, Dario Franceschini e Goffredo Bettini si stanno invece preparando a mettere sul tavolo l'ipotesi delle urne: "«Se Matteo pensa che stiamo bluffando si sbaglia, se fa cadere Conte si va al voto, provare per credere". A rompere gli indugi è proprio Zingaretti, che fa un ragionamento politico sull'impossibilità di creare un altro governo in questa legislatura (e anche lui ha voglia di ripulire la compagine parlamentare dai tanti renziani): 

Se cadesse Conte, è il pensiero del segretario, sarebbe difficile rimettere insieme i cocci di questa maggioranza e impossibile trovarne un’altra. Con chi si dovrebbe fare un altro governo? Con gli scappati da Forza italia? E i 5stelle lo voterebbero, con Di Battista fuori che sparerebbe su un governo con Berlusconi? Queste le domande echeggiate nelle stanze della segreteria, dove sono in pochi a credere possibile pure un rimpasto. Metterebbe a rischio i numeri al Senato, «perché due ministri grillini defenestrati magari uscirebbero dal M5s insieme a dieci parlamentari...». 

Ed ecco allora che sul tavolo torna la pistola delle urne. Che sia carica o meno, è un altro discorso. 

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