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Venerdì, 29 Marzo 2024
Politica

Silvio decadente attacca sinistra e pm: ma le elezioni le vuole il Pd

Berlusconi ad un passo dalla decadenza? Governo finito? Silvio però non 'morde' Letta, non da la spallata. Il Pd, invece, pare volersi giocare la carta elezioni con Renzi

Quindici voti contrari, uno favorevole. Uno solo, quello di Andrea Augello, il relatore che chiedeva la convalida dell’elezione di Berlusconi. Decaduta la relazione, decaduto Augello. La Giunta per le immunità di palazzo Madama ha aperto, ufficialmente, l’iter per la decadenza del senatore Silvio Berlusconi. 

Tutto come ampiamente previsto: Pd, M5S e Scelta Civica sono andati diritti. L’unico sussulto è arrivato a cinque minuti dal triplice fischio finale, quando i senatori del Pdl, della Lega e di Gal si sono alzati e, bocciate le due questioni preliminari sollevate da Augello, hanno abbandonato la seduta poco prima del voto finale.

Un piccolo strappo che tuttavia sottolinea con più forza un dato: quel che era stato annunciato, è stato. Strappo compreso. Certo, la ritirata del Pdl ha sottolineato le distanze ma, in pratica, non fa cambiare di una virgola il dibattito in corso. Sì, perché, parlandoci chiaro: la bocciatura - quindi il vero avvio della discussione sulla decadenza - era già storia.

Era già storia mentre gli esponenti del Pd e M5S alzavano la mano. Era già storia verso le 18 del pomeriggio, quando il Cav ha mandato in onda il videomessaggio agli italiani. Una linea nota, tanto da fargli esclamare in quei 16 minuti di registrato: “Sarò sempre con voi, al vostro fianco, decaduto o no. Si può far politica anche senza essere in Parlamento. Non è il seggio che fa un leader, ma è il consenso popolare, il vostro consenso”. 

Il grosso del dibattito in sostanza non è passato e difficilmente ripasserà dalle parti della Giunta. Certo l’iter, come da regolamento, andrà avanti: ci sarà un'udienza pubblica, i legali, la possibilità del Cav di difendersi in prima persona. Poi ci sarà il voto in aula, quello vero, quello che certificherà la cacciata del Cav da Palazzo Madama. Possibile?

Dipende. Il discorso di Berlusconi quest’oggi, a tratti, è stato durissimo. Di ferro, con due nemici: la sinistra post-comunista ed il suo braccio armato, la magistratura. Tuttavia, nel video, se non ci sono state carezze a Letta, non ci sono state neppure spallate. Certo i nervi sono tesissimi e le larghe intese cominciano ad essere davvero allungate, praticamente sfilacciate. Ed evidentemente, sommerse dalla diatriba in corso, pressoché inutili ai fini del buon governo. 

Bastano le parole di Epifani per capire il vento che tira a sinistra della stranissima coalizione: “Ho trovato le dichiarazioni fatte da Silvio Berlusconi sconcertanti per i toni da guerra fredda usati offensivi nei confronti del centrosinistra” e che noi nei loro confronti “non ci permetteremo mai”. Il segretario ha giudicato “irricevibili gli attacchi alla magistratura e alle istituzioni” per colpa dei quali “si corre il rischio di aggravare i problemi, invece, serve coesione e buongoverno”. Il messaggio di Berlusconi, conclude Epifani, è “irresponsabile” perché mentre è in corso la crisi economica “getta benzina sul fuoco” ma “da oggi in poi si assumerà le responsabilità di quello che potrà accadere al governo”. Duro, durissimo Berlusconi, Lo è stato altrettanto Epifani. 

Il grosso del dibattito passa da qui, tra quel che succederà tra Pd e Pdl. Con una novità: lo strappo del leader del centro-destra non c’è stato. Almeno formalmente. Letta, questa sera, andrà a a letto da primo ministro. Eppure Epifani tira la corda, la volata alla strappo. Non è che nel Pd, si stia pensando decisamente alle elezioni? 

Ragioniamo: c’è un dirigente di primissimo piano del Pd che sta reggendo un governo complicato, un po’ troppo a questo punto in termini di consenso.  E c’è un congresso alla porte. Ed è qui che spunta il fattore R. La R. sta per Rottamatore e per Renzi, il sindaco che in poco tempo e sforzo ‘rischia’ di prendersi il partito. E allora: elezioni. Renzi il candidato premier, un dirigente alla Cuperlo alla segreteria. Così che il partito sia libero dal giogo dell’uomo politico più in forma del momento, anzi più “cool” (come il suo Pd immaginario). Urne che inoltre avrebbero anche un colpevole: Berlusconi, la sua vergata contro le istituzioni, la sua vicenda ad personam (tutto vero, per altro).Possibile? Fantapolitica? Dietrologia? 

Probabile. Sta di fatto che, dopo il video del Cav, l’ipotesi voto pare allontanarsi. Il perché sta in due ragioni. La prima sta dentro una parola: dimissioni. ‘Silvio’ starebbe meditando un passo indietro. Dimettersi prima dell’estromissione dal Senato, prima cioè del voto in aula (che arriverà dopo i lavori della Giunta). Fare il Grillo di turno, lavorare da fuori – e da casa, visto il 15 ottobre suonerà la campanella dei domiciliari – per dare smalto a Forza Italia 2.0. Un passo da statista, dicono, che gli permetterebbe di impostare la campagna elettorale da ‘vittima’ del sistema, l’agnello sacrificale del liberismo del nuovo millennio, quello di Berlusconi, appunto.

La seconda sta nei numeri, quella di una nuova maggioranza che si starebbe profilando proprio in Senato. Gira voce, infatti, che un pezzo del Pdl mediterebbe il grande salto, tanto ampio da lasciare a piedi la casa madre. Un piccolo ‘esercito’ di senatori pronti a sbattere la porta in faccia a ‘Silvio’ per assicurare i numeri ad un Letta bis. Possibile, verosimile, viste le parole rilasciate ieri da Angelino Alfano nel salotto di Bruno Vespa: “La linea la stabilisce Berlusconi e il partito, chi non la segue è fuori”. Chi è che vorrebbe fare di testa propria, assicurando lunga vita a Enrico Letta? I senatori azzurri siciliani, pronti a fare il salto della quaglia. “C’è un gruppo di senatori a me più vicini, Gibbino, Torrisi e Pagano...”. E ancora: “Se si apre una fronda” nessuno tiene più, “se si apre la crisi sarà una tragedia: siamo più di tre-quattro. Siamo assai”. A parlare, anche se le sue dichiarazioni sono carpite a “tradimento” in un fuorionda, è il sottosegretario catanese Giuseppe Castiglione, uomo di fiducia di Angelino Alfano in Sicilia.

“Siamo assai”, ma ne basterebbe pochi. Sì, perché fatti due conti ne basterebbero sette. I conti li ha fatti l’ANSA:

“Il plenum di Palazzo Madama conta 321 senatori con la maggioranza fissata a quota 161. Sommando i voti del Pd, Scelta civica, Misto, Autonomie e nuovi senatori a vita si arriva a quota 154. Ovvero a soli sette voti dall’obiettivo. Voti che potrebbero a questo punto facilmente spuntare, si commenta in Transatlantico, tra le fila del Pdl, o anche del M5S”.

La domanda è questa: quanto conviene al Pdl fare una crisi di governo e lasciare con un pugno di mosche l’azionista di maggioranza del governo Letta?

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