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Venerdì, 29 Marzo 2024
Politica

Berlusconi, è davvero finita così?

Da quel famoso 10 maggio del 1994, quando sbaragliò la ‘gioiosa macchina da guerra’ guidata e franata con Achille Occhetto, Berlusconi ha fatto il bello e il cattivo tempo nel Paese. Oggi il Cavaliere è stato espulso dal Parlamento da condannato: è davvero arrivato il tempo dei coccodrilli?

Coccodrillo: “Nel gergo giornalistico, il coccodrillo è un necrologio scritto in anticipo, sotto forma di servizio televisivo, radiofonico o di giornale, sulla vita di personaggi noti, al fine di averlo immediatamente pronto non appena giunta la notizia della loro morte”. Così è scritto su Wikipedia. E questo è a tutti gli effetti un ‘coccodrillo’ politico cucito addosso a Silvio Berlusconi. Di più, fatto su misura sull’ultimo ventennio italiano, politico, antropologico, sociale e istituzionale. Da quel famoso 10 maggio del 1994, quando sbaragliò la ‘gioiosa macchina da guerra’ guidata e franata con Achille Occhetto, Berlusconi ha fatto il bello e il cattivo tempo nel Paese.

Quella scesa in campo, maturata in piena ‘Tangentopoli’, sui rottami ancora fumanti della prima Repubblica, squarciata e affettata dalla Procura di Milano, ha superato la logica, il tempo, le vittorie e le sconfitte. E’ già qui. E’ ancora qui, proprio nel giorno in cui Berlusconi, decaduto, è stato cacciato dalla vita parlamentare. Nelle ore in cui è stato cacciato dalla sua creatura. Sì perché, a vederla bene, il Cavaliere, dopo aver costruito Milano 1, 2 e 3, dopo aver inventato in Italia la tv commerciale all’epoca del ‘culo e camicia’ con Bettino Craxi, ridato forma al sistema pubblicitario, e dopo aver solcato il mondo dell’editoria, quello delle assicurazioni e delle banche, si è fatto il ‘padrino’ della seconda Repubblica.

Padrino di una nuova politica sostenuta e strutturata dal bombardamento del suo impero mediatico: quella degli spot, del creare bisogni e dargli soluzione, dei manifesti 6 per 3, degli slogan e delle canzoncine, delle barzellette, dell’uomo solo al comando. Solo ed assoluto. All’epoca prese in blocco il modello americano, fece sua prima di tutti quella strada inevitabile: quel concetto di personalizzazione della leadership, farcito da un pizzico di trash, quanto basta, lo stesso che negli anni ottanta aveva affiancato le sue reti alla corazzata Rai. Una mangiatoia nuova, una tavola apparecchiata ad arte. Tanto bene che tutti gli sono andati dietro. In primis la sinistra. Da quel 1994, la politica e le istituzioni non sono state più le stesse. E in definitiva, gli italiani non sono stati più gli stessi.

L’unico a non mutare, a non spostarsi di un millimetro è stato proprio Berlusconi. Il centro di gravità permanente, l’asse su cui è ruotata la giostra. Tre elezioni vinte, tre volte primo ministro. Tre volte all’opposizione, un governo tecnico, uno politico a braccetto con il Pd (a cui ieri, 24 ore prima della decadenza, ha voltato le spalle, senza tuttavia far troppo male). In mezzo quintali di carte giudiziarie, processi, scandali. Era il 21 novembre del 1994, quando Berlusconi venne raggiunto dall’avviso di garanzia a Napoli, mentre da presidente del Consiglio stava presiedendo il vertice internazionale del G7 sulla criminalità organizzata. Fu il primo di una lunga serie.

Un principio che non si è fatto mai fine. Perché Berlusconi fino ad oggi non è mai caduto per davvero, c’è sempre stato. Meno, rispetto agli anni ‘gloriosi’, ma c’è stato. Forse l’analisi più lucida degli ultimi anni l’ha scritta Corradino Mineo, sul suo ‘Caffè’ su Today.it: “Penso che il Berlusconi leader politico abbia cominciato a perdere la notte in cui per la prima volta venne eletto Barak Obama e lui se ne stava sul lettone di Putin con Patrizia D’Addario. Che fosse già finito la sera del 12 novembre del 2012, quando dovette lasciare Palazzo Chigi e una folla ostile lo aspettava al Quirinale. È un fantasma, Berlusconi. Tenuto in vita dalla nostra paura”.

Già forse oggi è decaduto il fantasma di Berlusconi. E quella paura, quella che incorniciò Eliot, “Vi mostrerò la paura in una manciata di polvere”. Il milione di posti di lavoro, le tre ‘i’ nelle scuole (internet, inglese, impresa), le riforme costituzionali, il federalismo, la crisi economica negata nei fatti “dai ristoranti pieni”, la riforma sanitaria con il suo personale impegno a “sconfiggere il cancro in tre anni” (ha detto anche questo), la retorica dell’amore che vice sempre sull’invidia e sull’odio, il contratto con gli italiani, l’aggiustare l’Italia. Polvere. Non è rimasto che polvere e propaganda.

E paura. Il suo ‘capolavoro’ più grande è stato l’aver fatto credere che non si può fare a meno di lui. Lo si è visto bene in queste ultime 24 ore. Il voto sulla decadenza di Berlusconi si è intersecato a doppio filo con l’approvazione in Senato della legge di stabilità. L’architrave economico e sociale dello Stato attorcigliato all’architrave della politica italiana. Una fenomenologia talmente fusa insieme da diventar vera.

Tanto vera che lo è stata per tutti. Ogni epoca ha avuto il suo ‘Cesare’. Ogni epoca ha avuto il ‘Cesare’ che si è meritato. Oggi Berlusconi è stato espulso dal Parlamento da condannato. Ma in quel banco degli imputati c’eravamo tutti. C’era la sinistra che ha governato a braccetto con il ‘Capo’, senza metter mai mano al conflitto d’interessi e rincorrendolo nella sua deriva populista. C’erano i giornali che hanno alimentato la parabola del ‘Divo’. C’erano gli italiani che si sono fatti spioni, e non hanno protestato neppure quando sono stati costretti ad entrare nel suo privato, nelle sue camere da letto per assistere a scene all’Eyes Wide Shut senza Kubrick. C’eravamo tutti quando abbiamo abdicato alla polis e gli abbiamo perdonato tutto. C’eravamo tutti e non abbiamo mosso paglia davanti alle leggi ad personam del ‘Caimano’ di Moretti, all’accettazione del fatto che si trattasse di una persona “più uguale degli altri”. C’eravamo tutti quando all’estero ci pregavano in ginocchio di spiegarci ‘l’anomalia’. C’eravamo tutti quando fu pubblicata la lista degli affiliati alla P2 e il Cavaliere comparve nell’elenco con la tessera numero 1816.

C’eravamo tutti, e non è detto che ce ne andremo. La domanda, infatti, rimane la solita. Oggi più che mai: è davvero finito tutto così? E’ davvero arrivato il tempo dei coccodrilli? Vista oggi, nel giorno della decadenza, è dura fare previsioni. C’è sempre lo spauracchio delle elezioni (sempre dietro l’angolo), e la possibilità che Berlusconi si metta a fare il Grillo della situazione, da fuori le stanze per rientrare nelle stanze, da numero uno, ancora una volta, tra gli ‘animali’ da campagna elettorale. Tutto vero. Cosa rimane? Oggi rimane ancora Eliot, un’altra volta: “Così finisce il mondo. Così finisce il mondo. Così finisce il mondo. Non in un baccano ma in un piagnisteo”.

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