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Mercoledì, 24 Aprile 2024

Violetto Gorrasi

Giornalista

I detenuti nelle carceri italiane come le mucche di Mussolini

Una leggenda metropolitana narra che un giorno Benito Mussolini, impegnato a visitare alcune fattorie di campagna, notò che il bestiame fosse sempre lo stesso e veniva spostato per fargli credere che le aziende fossero tutte attive e funzionanti. Le vacche da latte erano le stesse nelle prima, nella seconda e nella terza fattoria visitata: venivano caricate su camion e spostate di masseria in masseria per far vedere al capo del governo gli ottimi risultati raggiunti. Le "mucche di Mussolini" diventano una metafora per descrivere il tasso di sovraffollamento nelle carceri italiane e la mancanza atavica di soluzioni nelle parole di Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale.

"Per ben due volte l'Italia è stata condannata per il sovraffollamento delle carceri, e nonostante questo tutto è rimasto come prima: mi si perdoni il paragone forse irrispettoso, ma ricorda quello che accadeva quando Mussolini andava in visita nel sud Italia. Così come allora venivano spostate le mucche da una campagna all'altra, così oggi si spostano i detenuti per non mostrare l'evidente problema di sovraffollamento", ha detto Flick nel suo intervento durante un convegno sul tema delle carceri che si è tenuto mercoledì scorso all'università Lumsa di Roma.

L'intervento di Flick si inserisce nel dibattito per la presentazione del libro "Il carcere. Assetti istituzionali e organizzativi" scritto da Filippo Giordano, Carlo Salvato ed Edoardo Sangiovanni, docenti e ricercatori di management di università Lumsa e Università Bocconi. Si tratta di un percorso di ricerca di quattro anni sulle carceri in Italia, condotto attraverso interviste nei penitenziari milanesi di Bollate, Opera e San Vittore, con l'obiettivo di indagare i fattori organizzativi che influenzano la capacità degli istituti di pena di perseguire il fine costituzionale. Che è quello rieducativo, come si evince dall'articolo 27 della Costituzione: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

I numeri del sovraffollamento nelle carceri

Per usare le parole della ministra della Giustizia Marta Cartabia, il sovraffollamento è una condizione che "esaspera anche i rapporti tra detenuti e rende più gravoso il lavoro degli operatori penitenziari, a partire da quello della polizia penitenziaria, troppo spesso vittima di aggressioni. Sovraffollamento significa maggiore difficoltà a garantire la sicurezza e significa maggiore fatica a proporre attività che consentano alla pena di favorire percorsi di recupero".

Un po' di numeri dall'ultimo rapporto sulle condizioni di detenzione di Antigone, associazione che si occupa della tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale. Al 28 febbraio 2021 i detenuti nelle carceri italiane sono 53.697, un numero che è tornato a salire rispetto al 31 dicembre 2020. Nell'ultimo anno il numero delle carceri è rimasto lo stesso, ossia pari a 189. La capienza regolamentare è invece scesa da 50.931 posti a 50.551.

Il tasso di sovraffollamento è oggi pari al 106,2%. Posto però che la stessa amministrazione penitenziaria riconosce formalmente che "il dato sulla capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie che comportano scostamenti temporanei dal valore indicato" e che presumibilmente i reparti chiusi potrebbero riguardare circa 4mila posti ulteriori, il tasso effettivo, seppur non ufficiale di affollamento, va a raggiungere il 115%. Dunque per poter scendere fino al 98% della capienza ufficiale regolamentare, considerata in alcuni paesi la percentuale fisiologica di un sistema che deve sempre prevedere la disponibilità di un certo numero di posti liberi per eventuali improvvise ondate di arresti o esecuzioni, sarebbe necessario deflazionare il sistema di altre 4mila unità che diverrebbero 8mila alla luce dei reparti transitoriamente chiusi.

               

Le 20 carceri più affollate:

  • Taranto 196,4% (603 detenuti per 307 posti)
  • Brescia 191,9% (357 detenuti per 186 posti)
  • Lodi 184,4% (83 detenuti per 45 posti)
  • Lucca 182,3% (113 detenuti per 62 posti)
  • Grosseto 180% (26 detenuti per 15 posti)
  • Udine 174,4 (157 presenti per 90 posti)
  • Bergamo 164,1% (517 detenuti per 315 posti)
  • Latina 158,4% (122 detenuti per 77 posti)
  • Busto Arsizio 156,6% (376 presenti per 240 posti)
  • Genova Pontedecimo 155,2% (149 detenuti per 96 posti)
  • Altamura 154,7% (82 detenuti per 53 posti)
  • Monza 153,1% (617 detenuti per 403 posti)
  • Pordenone 150% (57 detenuti 38 posti)
  • Gela 150% (72 detenuti per 48 posti)
  • Bologna 149,2 (746 detenuti per 500 posti)
  • Como 149,1% (358 detenuti per 240 posti)
  • Roma Regina Coeli 147,3% (893 presenti per 606 posti)
  • Catania “Bicocca” 146,7% (201 presenti per 137 posti)
  • Bari 146,5% (422 presenti per 288 posti)
  • Asti 146,3% (300 presenti per 205 posti)

Al 21esimo posto, tra le più rilevanti carceri metropolitane, troviamo Foggia, con un tasso di affollamento del 146,3% (534 per 365 posti), al 30esimo Firenze Sollicciano (136,1%, ovvero 668 detenuti per 491 posti), al 34esimo Napoli Poggioreale (132,5%, 2.085 detenuti per 1.571 posti) e al 47esimo Torino “Lorusso e Cotugno” (tasso di affollamento del 133,6%, 1.345 detenuti per 1.060 posti).

Quali riforme per ridurre il sovraffollamento?

Le pessime condizioni di sovraffollamento, ma anche sanitarie e sociali, in cui vivono i detenuti non sono certo una realtà emersa pochi mesi fa a causa del coronavirus, ma il quadro che ci offre questo inizio di 2022 non è dei migliori, secondo Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. "Per questo è importante prevedere misure urgenti per ridurre il sovraffollamento. Ci sono ancora migliaia di detenuti con pene al di sotto dei tre anni e che, perciò, potrebbero accedere alle misure alternative alla detenzione. Bisogna fare in modo che ciò avvenga", argomenta Gonnella, secondo il quale è importante accelerare sulla strada delle riforme.

Prevedere ad esempio forme di esecuzione della pena diverse, alternative al carcere, soprattutto in riferimento alle pene detentive brevi, potrebbe dare sollievo alle strutture congestionate. Ogni detenuto costa circa 130 euro al giorno. In confronto, le misure alternative costano meno di un decimo e hanno un impatto ben più significativo nella lotta alla recidiva e negli obiettivi di recupero sociale dei condannati. In questo senso, i soldi del Recovery Fund che arriveranno all'Italia e andranno in parte alla giustizia e al sistema penitenziario non dovrebbero rappresentare l'ennesima occasione persa, nell'illusorio tentativo di migliorare lo status quo costruendo nuove carceri o spostando i detenuti di qua e di là. "Non è costruendo carceri che si innova un sistema che invece ha bisogno di modernizzazione, creatività e investimenti nel campo delle risorse umane", scrive Claudio Paterniti dell'osservatorio nazionale di Antigone.

Acqua calda e water un lusso in carcere

Parlando delle condizioni di vita nelle carceri, il capo del dipartimento per l'amministrazione penitenziaria, Bernando Petralia, non ha nascosto il proprio coinvolgimento personale: "Sono addolorato e intristito, non posso dire di essere soddisfatto, di aver raggiunto degli obiettivi e nemmeno di vedere l'orizzonte degli obiettivi a stretto passo. Io visito due istituti a settimana, l'ho fatto anche nel periodo più funesto del covid l'anno scorso, e delle volte ho difficoltà a dormire per quello che vedo: detenuti che parlano di acqua calda e di un water come fossero lussi".

Il capo del Dap ha evidenziato anche il ruolo del lavoro nel processo di recupero dei detenuti: "In Italia lavora solo il 34% dei detenuti, ma il lavoro non dipende solo dall'amministrazione penitenziaria, che può offrirlo nei limiti e tra le mura del carcere: bisogna estendere l’offerta che viene dall'esterno. Il lavoro, per i detenuti, è l'unico modo per attivare e stimolare nelle loro menti una vibrazione di libertà".

Diceva Voltaire che il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri. Affermazione, questa, che trascende i tempi e arriva ai giorni nostri con un'attualità prorompente. Agire si può, si deve. Ma con interventi radicali, non servono i palliativi. Per non fare la fine delle mucche di Mussolini.

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