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Venerdì, 29 Marzo 2024
Politica

Draghi, la troika, il complottismo a 5 stelle: perché Di Battista lascia il MoVimento dal tinello di casa

L'ex deputato annuncia l'addio al M5s dopo l'ok di Rousseau al premier incaricato, che in questi giorni ha accusato di aver privatizzato l'Italia salvo poi definirlo "una persona onesta e autorevole". Cosa c'è dietro tutta questa costruzione di senso?

Il responso della piattaforma Rousseau sul governo Draghi restituisce la fotografia di un Movimento spaccato e, forse, sull'orlo di una scissione. Il 59,3% degli iscritti M5S (oltre 44mila persone) ha dato il via libera all'ingresso del MoVimento 5 Stelle nel prossimo esecutivo che sarà guidato dall'ex numero uno della Bce. Ma la fronda ribelle non ci sta e, a partire da Alessandro Di Battista, certifica lo strappo dal tinello di casa lasciando il M5s.

Perché Di Battista lascia il MoVimento 5 Stelle dal tinello di casa

È proprio l'ex deputato - mentre il gruppo dirigente, da Luigi Di Maio a Vito Crimi, si rallegra per la vittoria del 'sì' - ad annunciare nel corso di una diretta Facebook il 'divorzio' dal Movimento: ''D'ora in poi - dice Di Battista - non parlerò più a nome del Movimento 5 Stelle anche perché in questo momento il Movimento non parla a nome mio… non posso far altro che farmi da parte''. ''Indigeribile'' per Di Battista l'esito del voto: ''ma lo rispetto'', puntualizza. La ''scelta politica di sedersi con determinati personaggi, in particolare con partiti come Forza Italia, in un governo nato essenzialmente per sistematizzare il M5S e buttare giù un presidente perbene come Conte... questa cosa non riesco proprio a superarla'', si sfoga l'ex parlamentare. Che però non esclude il 'ritorno': ''Se poi un domani la mia strada dovesse incrociarsi di nuovo con quella del M5S, vedremo: dipenderà esclusivamente da idee politiche, atteggiamenti e prese di posizione". 

Eppure non è difficile scorgere qualcosa di più nella decisione di Di Battista di lasciare il MoVimento dopo l'ok di Rousseau a Draghi. Basta andare a notare l'evoluzione dei suoi post in queste settimane dopo l'annuncio dell'incarico all'ex presidente della Banca Centrale Europea. Il 3 febbraio scorso Di Battista scriveva su Facebook che si trattava di una "manovra pensata ad hoc per indebolire il Movimento e plasmare il Recovery ad immagine e somiglianza di Confindustria". Un paio di giorni dopo rincarava la dose scrivendo "Davvero qualcuno crede che Draghi, colui che, da Direttore generale del Tesoro, assegnò le concessioni autostradali ai Benetton, possa revocarle? C'è chi combatte per l'istituzione di una banca pubblica di investimento. Pensate davvero che Draghi, uomo legato a doppio filo alla Goldman Sachs possa realizzarla?". 

Il giorno dopo Di Battista era ancora all'attacco, stavolta servendosi di un must annunciava che non avrebbe dato la fiducia "in virtù di scelte, propriamente politiche, che il Professor Draghi ha preso in passato da Direttore generale del Tesoro (privatizzazioni, svendita patrimonio industriale pubblico italiano, contratti derivati)". Ovvero, se la prendeva con la storia di Draghi e del Britannia di cui abbiamo parlato. Poi ricordava che Draghi "da Governatore di Banca d'Italia  diede l'OK all'acquisto di Antonveneta da parte di MPS ad un valore folle di mercato", ricordando poi i bilanci "truccati" del Monte dei Paschi di Siena come se fossero una colpa di SuperMario e incollandoci dietro anche la condanna nei confronti di Profumo, all'interno di un minestrone di complottismo davvero raffinato ma del tutto illogico.

Mario Draghi, la troika, il complottismo a 5 stelle dietro l'arrivederci di Di Battista al M5s

Dopo l'endorsement di Grillo però l'atteggiamento di Di Battista nei confronti di Draghi cambia improvvisamente. L'8 febbraio il professore diventa improvvisamente "una persona onesta, preparatissima ed autorevole". Anche se "questo non significa che lo si debba appoggiare per forza. Io contrasto Draghi non sul piano personale ma su quello politico. E, ripeto, non cambio idea". Da quel momento in poi i problemi diventano altri: la presenza di Berlusconi nella maggioranza, il rischio per il M5s di snaturarsi e così via. Ma nel frattempo anche tra i grillini era fuoriuscito un malcontento palese: il senatore Elio Lannutti, già famoso perché condannato per diffamazione proprio nei confronti di Bankitalia e nel frattempo inciampato nella condivisione di una bufala sui protocolli dei Savi di Sion che stava per costargli molto in termini politici, scriveva su Facebook che "Draghi deve completare il programma lacrime e sangue imposto dalla Troika, che ha generato sofferenze indicibili a donne, vecchi e bambini in Grecia. Dobbiamo impedirlo!" rilanciando la famosa lettera della Banca Centrale Europea che portò alla caduta di Berlusconi nel 2011. 

Intanto Dibba ricordava che essendo stato condannato per mafia Marcello Dell'Utri, ed essendo Dell'Ultri vicino a Berlusconi, ed essendo Berlusconi pronto a votare la fiducia a Draghi, allora c'era qualcosa che non andava nel nuovo governo. Anche qui con scarsa lucidità ma con un grande afflato mistico e una lettura "comunicativa" della realtà dei fatti che affascina da sempre i grillini. Poi criticava il "genuflettersi" dei giornali nei confronti di Draghi, usando esattamente gli stessi argomenti di un ex grillino del calibro del senatore Gianluigi Paragone, che aveva detto più o meno le stesse cose: “Il parlamento s’inchina, si umilia per far passare SuperMario - scrive il senatore -, in una maggioranza che ricomprende i comunisti col rolex e i sovranisti col loden. Tutti proni per questo ‘astro del ciel, pargol divin’, per questo ‘unitalian man’ come lo descrisse tempo fa il Washington Post, cioé un ‘non italiano’ come se gli italiani non fossero quel mix di genio e sregolatezza per cui gli americani vanno pazzi. Oggi i sovranisti sono pronti a votare per questo non italiano perché ‘Ce lo chiede la crisi’ che è una forma elegante per dire ‘Ce lo chiede l’Europa’. Un sequel di quel ‘Fate presto’ al cui grido, proprio grazie a un Draghi complice della Troika, arrivò l’altro uomo della Provvidenza Mario Monti”. 

Il M5s a rischio scissione: chi potrebbe lasciare dopo Di Battista

Appare chiaro quindi che il lungo, lunghissimo addio di Di Battista nei confronti del MoVimento 5 Stelle si trova a intersecarsi nel solco di una "costruzione di senso" che è in un certo senso tipicamente grillina (Beppe Grillo ne è stato l'alfiere per tanti anni, anche se adesso si è messo la giacca e la cravatta istituzionali e passa ore al telefono con Draghi) e che assomiglia, più che a una battaglia politica, alle convinzioni dei seguaci di Qanon che hanno assaltato la Casa Bianca (d'altro canto anche Dibba era un ammiratore di Trump, ma dopo la sconfitta ha perso la voce). In questo quadro ha un senso persino girare il video dell'addio dal tinello di casa, ricordando così la massaia che però è furba e a lei i Poteri Forti non la fanno. Di Battista con questa mossa si candida ad essere il leader più autorevole di quel che resta del M5s barricadero, sconfitto dal governista Di Maio nel gioco dei voti su Rousseau e delle trattative di palazzo, ma con invece buonissime chances di conquistare i cuori (e quindi i voti) di chi nel M5s non si riconosce più. All'interno di un futuro politico tutto da scrivere ma che potrebbe avere una buona rappresentanza fin da subito. 

Infatti la truppa parlamentare è in subbuglio. E non tutti gli eletti schieratisi a favore del 'no' accettano il risultato del voto. Qualcuno parla apertamente di rischio scissione: ''È una dinamica da non escludere'', spiega il deputato Pino Cabras, che aggiunge: ''Non voterò la fiducia a Draghi se le premesse sono queste, nessuno conosce il programma. Per convincermi, Draghi dovrebbe stupirmi con effetti speciali". ''Il voto di oggi è stata una brutta pagina per la democrazia'', commenta con l'Adnkronos il senatore Emanuele Dessì. Il collega Mattia Crucioli fa sapere che non voterà la fiducia in Aula, proprio come il deputato Andrea Colletti (''al 99% dirò di no''). Per Elio Lannutti - proprio lui -, invece, quello di Rousseau è un voto ''vincolante'' che ''impone di votare la fiducia al nuovo governo''. Sulla stessa lunghezza d'onda Danilo Toninelli, che pur avendo votato 'no' su Rousseau rientra nei ranghi: ''Il voto va rispettato. Non sarà facile, ma ce la metteremo tutta''. La senatrice Barbara Lezzi, fedelissima di Di Battista, almeno per ora non commenta il responso delle urne virtuali. Le prossime settimane saranno cruciali per i destini del Movimento e non si esclude una nuova visita a Roma di Grillo, che avrà il compito di compattare un Movimento lacerato, traghettandolo verso l'ennesima svolta della sua storia. Per l'incontro con la realtà, sarà per la prossima volta. 

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