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Sabato, 20 Aprile 2024

Charlotte Matteini

Opinionista

La dote 18enni è inutile. Servono salario minimo e investimenti

Una dote da diecimila euro dedicata ai diciottenni da finanziare con una tassa sui patrimoni plurimilionari. E’ la proposta che Enrico Letta ha rilanciato nelle scorse ore durante un’intervista al Tg2. Non una novità da campagna elettorale, già lo scorso anno era stata avanzata la proposta di introdurre questa dote e la discussione aveva subito preso una piega grottesca, provocando non poche polemiche soprattutto all’interno della grande galassia del “centrosinistra”.  

Anche questa volta, nel bel mezzo della campagna elettorale più infuocata degli ultimi decenni, la proposta del segretario dem non è stata ben accolta dai presunti alleati di partito. Su tutti, Carlo Calenda e Matteo Renzi si sono scagliati contro Letta contrastando soprattutto la potenziale patrimoniale all’orizzonte e sostenendo che parlare di nuove tasse terrorizzerebbe i cittadini. Forse sono convinti che il Paese sia pieno di multimilionari che causa patrimoniale rischierebbero di non arrivare a fine mese. Può essere.  

Soldi ai 18enni: non si coglie il cuore del problema

La verità è che né la proposta di Letta né le rimostranze degli alleati del Pd a giorni alterni colgono il cuore del problema, che non è la modalità di finanziamento ma proprio l’inutilità della misura se non inserita in un quadro di riforme molto più complesso. Ora, che un partito di centrosinistra proponga un’imposta di successione sui grandi patrimoni e faccia leva redistribuzione della ricchezza come strumento per raggiungere un miglior livello di equità sociale a favore dei meno abbienti dovrebbe essere cosa buona e giusta, anzi dovrebbe essere uno dei maggiori tratti distintivi di un partito che voglia fare qualcosa che vagamente possa essere definito di sinistra.  

C’è un problema, però: questa dote per i 18enni è una non misura che di risolutivo o utile non ha nulla. Può anche non essere sbagliato pensare di erogare una somma che possa aiutare un diciottenne alle prese con i passi nella vita da adulto, ma se guardiamo alla realtà dei fatti, quel diciottenne si troverà comunque a fare i conti con un’istruzione pubblica sempre più sottofinanziata e un mondo del lavoro totalmente impazzito che riserva ai giovani ben poche reali opportunità professionali, per lo più precarie e sottopagate. E diecimila euro finiscono presto, mentre i problemi strutturali rimangono lì comunque. 

Non solo: là fuori, nel Paese reale, c’è una generazione di 30-40enni dimenticata da tutti, una generazione che nel corso della propria esistenza ha dovuto fronteggiare diverse riforme che hanno costantemente precarizzato il mondo del lavoro e compresso salari e diritti. Un esercito composto da milioni di persone che da un buon decennio abbondante lavorano per sopravvivere, barcamenandosi tra stage sottopagati, contrattini precari, senza alcun futuro tangibile all’orizzonte, costretti a contare i centesimi per arrivare a fine mese, impossibilitati ad affittare un appartamento intero a causa degli infimi stipendi e della mancanza di garanzie patrimoniali e reddituali richieste da molti proprietari di casa per concedere in affitto il proprio immobile, figuriamoci a mettere su famiglia.  

Cosa servirebbe davvero

Questa generazione dimenticata da tempo chiede misure strutturali che trasformino radicalmente l’attuale mercato del lavoro. Salario minimo, stretta al precariato con una riforma modello spagnolo, profonda riforma dello strumento dello stage che troppo spesso viene utilizzato dalle aziende per fare incetta di personale privo di diritti e da sottopagare. Queste, tutte insieme, sono le proposte e le risposte che milioni di under 40 aspettano da un buon decennio e che nessun partito si è mai degnato di prendere in considerazione, se non a parole e, anzi, al contrario, sono sempre state ignorate da quella stessa classe dirigente che poi a ogni tornata elettorale si domanda per quale motivo l’astensionismo è sempre più alto e la disaffezione verso la politica sempre più radicata ogni giorno che passa.  

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