A Draghi restano solo Letta e Berlusconi
Il Movimento 5 stelle strappa poi ritratta, la Lega di Salvini sempre più verso Meloni: per il governo arrivare al 2023 è sempre più difficile, è campagna elettorale permanente
Sei luglio 2022. Data da segnare in rosso sul calendario politico perché potrebbe rappresentare l’inizio del declino del Governo del presidente Mario Draghi, che mai come oggi si trova in una condizione di debolezza. I partiti sono in fibrillazione. I populisti hanno cominciato a inchiodare paletti sul percorso dell'esecutivo, a cominciare dall’aut aut di Giuseppe Conte a Draghi, messo nero su bianco in un documento di nove punti. Se l’investitura dell’ex presidente della Bce (Banca centrale europea) aveva l’obiettivo di unire il Paese di fronte a Pnrr e lotta alla pandemia di Covid, oggi è tutto dimenticato. La Lega e il Movimento 5 Stelle nei sondaggi sono in caduta libera e rischiano grosso alle prossime elezioni politiche del 2023. Dentro i gruppi parlamentari, spingono le fronde anti Governo e i leader fanno fatica a trovare una quadra, sempre divisi fra il tentativo di rivendicare le riforme con una mano e la necessità di dar battaglia agli avversari con l’altra. Dunque Carroccio e pentastellati. Sono loro i due più grossi sassi nella scarpa del premier. Sono sempre "oltre" la compagine di Governo e non si possono ignorare perché non sono due partiti qualsiasi: i leghisti hanno la maggioranza relativa nelle due Aule e il gruppo di Giuseppe Conte guidava il gruppo parlamentare più numeroso fino a ieri, prima della fuoriuscita di Luigi Di Maio. Insomma senza Lega e Movimento 5 Stelle non si governa. Draghi, se vuole arrivare a fine legislatura, ha diversi ostacoli da superare.
Crisi di governo, Draghi perde Lega e M5s
Il primo si chiama Giuseppe Conte, da giorni in cerca di un confronto con il premier, soprattutto dopo le parole del sociologo Domenico De Masi, il quale aveva rivelato che Draghi avrebbe chiesto a Grillo la rimozione di Conte da presidente del partito. Dichiarazioni smentite dello stesso Draghi ma due giorni dopo, tanto che il ministro dell’agricoltura Stefano Patuanelli ne ha sottolineato il ritardo. Appuntamento proprio oggi. I due dovevano chiarirsi quelle parole sprezzanti. In verità la posta in gioco era il futuro del governo. Tanto che poco prima si era tenuto il Consiglio nazionale del M5s, nel quale era stato braccio di ferro fra l’ala governista e quella determinata a staccare la spina. Alla fine è prevalsa la linea di non mollare il governo Draghi in questa delicata fase della vita del Paese. Intorno alle 13 è apparso chiaro come l’incontro Draghi-Conte sarebbe stato determinante per l’intero Paese. Alla fine il presidente del M5s si è presentato alle 13,30 ai microfoni dei giornalisti, annunciando i punti sottoposti a Draghi:
- Reddito di cittadinanza.
- Salario minimo.
- Decreto dignità.
- Aiuti a famiglie e imprese.
- Transizione ecologica.
- Superbonus 110%.
- Cashback fiscale.
- Intervento su riscossione.
- Clausula legge di delegazione.
Draghi si è preso del tempo per rispondere. "Dal premier abbiamo bisogno di risposte in tempi ragionevoli. È giusto che si prenda un po' di tempo per valutare e sarebbe poco serio il contrario" ha detto Conte, precisando di "non aver dato rassicurazioni" al premier sulla permanenza nel governo: "Nessuna cambiale in bianco. La comunità a gran voce mi chiede di portare il M5S fuori. Il futuro della nostra collaborazione è nelle risposte che avremo", ha rimarcato Conte. Palazzo Chigi ha parlato di "un colloquio positivo e collaborativo in cui il presidente M5s ha posti molti temi in linea di continuità con l'azione governativa".
L'M5s detta l'agenda a Draghi: le condizioni di Conte per restare al governo
Ma Draghi cammina su un campo minato. Ogni mossa rischia di far venire giù tutto perché non può permettersi di perdere pezzi per strada. Da Pd e Di Maio è arrivato lo stesso monito: "Senza M5s l’esperienza di governo termina". Lo ha detto anche Draghi per cui non ci sono strategie. O tutti insieme o ri va al voto. Ma perché Conte sente l’esigenza di mettere Draghi con le spalle al muro? C’è un tema di consenso. I 5 Stelle sono sempre più inchiodati all’11% e devono recuperare almeno cinque punti percentuali.
Scalpita anche la Lega e Salvini guarda a Pontida
Il calo di consenso però è anche la bile che provoca i bruciori di pancia nella Lega e di quella parte di partito che si è pentita di essere entrata nel governo. "Se tornassi indietro io sinceramente non entrerei nel governo e come me molti altri la pensano così - ha detto una fonte interna al partito - Avevamo fatto una scelta di responsabilità vera, anche perché altrimenti avremmo lasciato campo libero alle sinistre ma l’abbiamo pagata molto cara in termini di consenso e non so se ne è valsa la pena". Così, con un partito diviso, Salvini si avvicina ogni giorno di più a un appuntamento cruciale per la Lega: il raduno politico nazionale di Pontida che, dopo due anni di stop, torna il 18 settembre 2022. In passato Pontida ha sempre rappresentato il momento catartico del popolo leghista, il palco perfetto per annunciare svolte politiche importanti. Questa volta Salvini sfrutterà quello scenario per smarcarsi dal governo e indossare definitivamente la maglietta della lega di lotta e mai più di governo con la sinistra. Lancerà la coalizione di centrodestra, unico modo per governare e battere il campo largo guidato dal Pd e dal segretario Enrico Letta.
La strada di Draghi, già provato dall’esperienza fallita della corsa al Quirinale, si fa stretta. Già prima doveva sbattere i pugni sul tavolo per mettere d'accordo tutti, adesso sarà sempre più difficile farsi largo in Parlamento. Si va avanti a colpi di fiducia? L’ultima recentissima è quella posta alla Camera sul Dl Aiuti: il voto si terrà domani (giovedì 7 luglio) a partire dalle 14,25, mentre quello finale ci sarà lunedì 11. Proprio il Movimento ha chiesto al governo che nel decreto sia rifinanziato il Superbonus e vengano stralciati i fondi per la costruzione del termovalorizzatore a Roma.
Draghi non può accontentare tutti e rischia di restare solo. Peggio, rischia di diventare il capro espiatorio dei partiti in campagna elettorale che, dopo mesi di discorsi sulla responsabilità di stare nell’esecutivo, si preparano a imbandire il sacrificio dell’italiano più credibile sullo scenario politico internazionale. Al fianco di Draghi dunque restano Enrico Letta e Silvio Berlusconi, uno a destra e l’altro a sinistra ma entrambi solidamente europeisti e atlantisti. In più c’è la nebulosa di centro, dalla quale potrebbe nascere da un momento all’altro un nuovo soggetto politico. Ma i numeri non ci sono. Se si sfilasse anche la Lega sarebbe game over. Sarebbe inevitabile una crisi parlamentare. Draghi sarebbe costretto a salire al Colle da Mattarella e rassegnare le dimissioni.
Mario non è più così super. E' subentrato il 13 febbraio 2021 (dopo la caduta del governo Conte due). Il termine ultimo per la fine della legislatura è marzo 2023. A questo punto non è detto che Draghi arrivi fino alla fine del mandato. Non è neanche escluso che sia il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a sciogliere le Camere. Per farlo ci devono essere dei motivi precisi. Il più classico è la sfiducia al governo da parte di uno dei due rami del Parlamento. Con i partiti in campagna elettorale e il governo e le riforme sulle quali accelerare, l’incidente parlamentare non è più così inverosimile.