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Venerdì, 29 Marzo 2024

Stefano Pagliarini

Responsabile redazione

La destra che riesuma il "capofamiglia" non è una questione di semantica

Non sapevo dell’esistenza del capofamiglia. È un concetto presente nella mia testa ma non ha mai trovato applicazione nella vita. Sarà per questo che mi ha davvero colpito quanto avvenuto a Verona, dove la Lega e Federico Sboarina (candidato alle amministrative sostenuto da Lega e Fratelli d'Italia) hanno fatto arrivare a casa degli elettori lettere indirizzate al "capofamiglia". Lo ha denunciato su Facebook Federico Benini, capogruppo del Pd in consiglio comunale. 

Io sono sposato da poco ma già da quando convivevamo, io e mia moglie prendevamo le decisioni di comune accordo, anche quelle che riguardavano uno soltanto di noi due. Il concetto di qualcuno che comanda in casa non è proprio nell’ordine delle idee. C’è una spiegazione per tutto questo. La figura del capofamiglia è stata spazzata via dal codice civile nel 1975 con la legge numero 151 del 19 maggio '75. Una legge rivoluzionaria che ha riequilibrato i diritti fra uomo e donna all’interno delle mura di casa. In un articolo della rivista di cultura e politica "Il Mulino" si spiega come "la riforma modificava molti articoli del codice civile del 1942, e - a ventisette anni dalla sua entrata in vigore - faceva un deciso passo verso l’attuazione dell’art. 29 della Costituzione, secondo il quale "il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi". Infatti la legge ha non solo cancellato il ruolo di capofamiglia, figura ereditata dal paterfamilias del diritto romano, ma ha anche portato una serie di innovazioni, ridando dignità alla donna, anche nei confronti dei figli. Ecco alcune novità introdotte con la legge del 1975.

La residenza della famiglia e l’indirizzo della vita familiare iniziano a essere decisi insieme da moglie e marito, mentre prima decideva solo l’uomo. Dal 1942 si stabiliva che il marito dovesse "proteggere la moglie, di tenerla presso di sé e di somministrarle tutto ciò che è necessario ai bisogni della vita in proporzione delle sue sostanze". Con la riforma, entrambi i coniugi sono “tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia". Prima era sempre stata obbligatoria la separazione dei beni, chiaramente in favore dell’uomo unito in matrimonio con una donna che portava con sé una dote. Dagli anni '70 in poi, si è introdotta la comunione dei beni o la separazione in caso di decisione comune ed è stata abolita la dota. Sui figli si è passati dalla "Patria potestà" alla potestà "esercitata di comune accordo da entrambi i genitori". 

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Insomma, con la riforma del codice civile, si ribalta il diritto di famiglia e la concezione piramidale e gerarchica all’interno del nucleo familiare. Si rivoluziona davvero in senso democratico i rapporti tre i membri del nucleo familiare.  Recuperando la storia e studiando l’evoluzione del diritto del nostro Paese, si capisce come quanto accaduto a Verona non sia affatto una questione di semantica. È uno schiaffo a 47 anni di diritti delle donne. Ed è anche giusto che se ne faccia una questione politica. Se questa lettera è opera della destra veronese, io lo vorrei sapere. Da cittadino, rifletterei sull'opportunità di essere rappresentata da chi parla ancora di capofamiglia. 

Anche perché in generale diffido sempre dai polveroni alzati quando la questione è di vera semantica. Sono disquisizioni stucchevoli di fronte, per esempio, al caso delle due ragazze bloccate e palpeggiate nelle parti intime da un gruppo di bruti su un treno. Ma qui, a Verona, ci sono in gioco i diritti. Con quella lettera la destra è riuscita a riesumare una figura, quella del capo famiglia, superata da 47 anni. Quasi 50 anni di emancipazione della donna. Da difendere, ancor di più in una campagna elettorale. 

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