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Sabato, 20 Aprile 2024
L'ombra della mafia / Palermo

Voto di scambio e arresti: terremoto sulle elezioni a Palermo

A meno di 48 ore dall'apertura dei seggi è finito in manette Francesco Lombardo, candidato alle amministrative con Fratelli d'Italia. Soltanto due giorni prima era finito ai domiciliari il candidato di Forza Italia al Consiglio comunale, Pietro Polizzi 

Dalle polemiche sugli "impresentabili" agli arresti per voto di scambio. È stata una campagna elettorale segnata dalla parola mafia quella che è appena terminata a Palermo. Ma se domani è il giorno del silenzio, oggi è stato quello dell'ennesimo terremoto: un candidato al Comune è stato arrestato dalla polizia a meno di 48 ore dall'apertura dei seggi: si tratta di Francesco Lombardo, 54 anni a luglio, inserito nella lista di Fratelli d'Italia, che sostiene la candidatura a sindaco di Roberto Lagalla.

Lombardo sarebbe stato intercettato alcuni giorni fa mentre dialogava con un boss della zona di corso dei Mille, Vincenzo Vella (anche lui arrestato), in passato condannato perché considerato uno degli esponenti del mandamento di Brancaccio. L'aspirante consigliere comunale, lo scorso 28 maggio, avrebbe incontrato Vella e gli avrebbe chiesto il sostegno alle elezioni. Decisiva sarebbe stata un'intercettazione ambientale. La polizia ha immediatamente trasmesso l'intercettazione alla Procura, che ha chiesto al gip la custodia cautelare in carcere per entrambi. L'inchiesta è coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Guido. 

Mercoledì scorso invece a finire ai domiciliari era stato un altro candidato al Consiglio comunale, Pietro Polizzi 52 anni, della lista di Forza Italia (sempre a sostegno di Lagalla). Nella stessa operazione sono stati arrestati anche Agostino Sansone, 73 anni, e il suo collaboratore Manlio Porretto, 67 anni. Secondo quanto ricostruito, Polizzi - che si era candidato anche alle scorse amministrative collezionando poco più di 600 voti con “Uniti per Palermo” (lista che sosteneva Orlando) e che in passato è stato anche consigliere provinciale con l'Udc - avrebbe fatto un patto con la criminalità organizzata e i boss dell’Uditore (uno dei quartieri palermitani) per recuperare numeri utili per garantirsi il successo alle elezioni.

Da qui il rapporto con il costruttore Sansone, condannato in via definitiva nel 2003 per associazione mafiosa, il cui nome in passato era stato già accostato a quello di Totò Riina proprio perché il fratello, fra le altre cose, avrebbe dato ospitalità al boss di Corleone durante il periodo di latitanza. Anche in questo caso sono state decisive alcune intercettazioni e altri elementi raccolti nelle ultime settimane dagli investigatori. Fondamentale una conversazione che sarebbe stata captata circa venti giorni fa. Ascoltati dai pm i tre hanno negato le accuse: il politico avrebbe usato certe espressioni per millantare. 

Nel mezzo si piazza la polemica scatenata dal coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani, che ha puntato il dito contro la candidatura alla sesta circoscrizione - in una delle liste del candidato del centrosinistra Franco Miceli - di tale Nicola Piranio, figlio di Biagio, in carcere dal 2020 con l'accusa di favoreggiamento alla mafia. "Io sono un garantista - ha detto Tajani - e naturalmente non ha nessuna colpa. Ma se si vuole parlare di relazioni, allora, parliamo anche di questo". Insomma prima ha lanciato il sasso e poi ha nascosto la mano. Immediata la replica: "E' un militare dalla carriera limpida costellata da encomi, che ha rinnegato suo padre, scelta per la quale ci vuole anche un certo coraggio e che merita la stima di tutti noi, come altri hanno dovuto fare nella storia della nostra Sicilia. Comportamento ben diverso da chi apre le porte ai condannati come Dell’Utri e Cuffaro, o da chi mercanteggia voti con i boss di Cosa nostra". 

Già, Dell'Utri e Cuffaro. Perché è proprio da questi due nomi che tutte le polemiche hanno inizio. Prima Alfredo Morvillo - fratello della moglie di Giovanni Falcone, morta nell'attentato di Capaci del 23 maggio 1992 - e poi la sorella del giudice Maria hanno stigmatizzato la presenza dietro le quinte del centrodestra del braccio destro di Berlusconi, condannato a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, e dell'ex presidente della Regione Siciliana, condannato invece per favoreggiamento a Cosa nostra. "Una parte di Palermo - ha detto Morvillo - non ha la forza di abbandonare ambienti in odore di mafia". "Chi si candida a ricoprire una carica importante come quella di sindaco e qualsiasi altra carica elettiva deve prendere esplicitamente le distanze da personaggi condannati per collusioni mafiose", così invece ha rincarato la dose Maria Falcone.

Accuse e repliche che si sono susseguite anche durante le celebrazioni per il trentennale della strage di Capaci. Celebrazioni dalle quali ha deciso di tenersi lontano il candidato sindaco del centrodestra Roberto Lagalla, che si è limitato a un omaggio davanti alla stele che si trova sull'autostrada all'altezza di Capaci. "Contro di me clima d'odio e linciaggio morale", ha dichiarato stizzito.

Lagalla (appoggiato anche dalla Lega, Dc Nuova e Udc), dato per strafavorito all'inizio della competizione elettorale, potrebbe pagare in termini di consenso gli arresti degli ultimi due giorni. Lo spera Franco Miceli, il candidato designato da Pd, M5S e Sinistra Civica ecologista per raccogliere il testimone di Leoluca Orlando. Ma tra i due litiganti, da non sottovalutare c'è Fabrizio Ferrandelli, sostenuto da PiùEuropa e Azione (Carlo Calenda) che sogna di andare al ballottaggio. In Sicilia per essere eletti al primo turno serve il 40% dei voti (e non il 50 come nel resto d'Italia). Gli outsider sono invece Rita Barbera, Ciro Lomonte e l'europarlamentare ex Lega Francesca Donato. Ma dopo un mese di polemiche feroci e colpi di scena, domenica 12 giugno tocca ai palermitani dire la loro. 

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