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Martedì, 23 Aprile 2024
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Elezioni 2013: Fini finisce ai giardinetti come Bertinotti

Il voto ha mietuto vittime illustri: da Fini a Ingroia, passando per Marini e Crosetto, ecco chi sono i politici (alcuni di "lungo corso") finiti fuori dai giochi

Tecnicamente sono definiti non eletti, gergalmente sorpassati, dispregiativamente trombati. Sta di fatto che queste elezioni si faranno ricordare anche per la lista di nomi illustri che non varcherà la soglia del Parlamento. A cominciare dal presidente uscente della Camera, Gianfranco Fini. Dopo trent’anni in Parlamento – fu eletto per la prima volta nel luglio dell’83 – gli elettori gli hanno sbarrato le porte di Montecitorio. Da presidente della Camera alla pensione. La domanda sorge spontanea: come sarà la vita di un ex presidente della Camera scartato dal corpo elettorale? Al quesito potrebbe rispondere Fausto Bertinotti visto che fu vittima delle stesso racconto: nel 2008 l’allora terza carica dello stato fu silurata come è successo ieri a Fini.

Il leader di Fli nella sostanza ha ripercorso il viale del tramonto già esplorato dal leader di Rifondazione Comunista. Si è attaccato alla lista Monti senza pensare al tracollo dell’Udc di Casini (che si è salvato per il rotto della cuffia), sicuro che sarebbe entrato come ripescato di coalizione. L’Udc invece è franato sotto al 2% e il suo partito si è inchiodato allo 0,46%. Per questo Fini è rimasto con il cerino in mano. “Amare l’Italia ha un costo – ha affermato Fini – ma ne vale comunque la pena. Non rientrare in Parlamento non è certo un motivo sufficiente per desistere dal tentativo di rappresentare da destra un'Italia mille miglia lontana dal berlusconismo e dal grillismo”. Carriera finita?, No, impegni diversi e nuovi: “Nei prossimi giorni – ha proseguito – con le amiche e con gli amici di Futuro e Libertà, che ringrazio comunque per il loro lavoro, valuteremo come dar vita ad una nuova stagione di impegno culturale e politico per consentire ad una generazione più giovane di continuare in prima persona a lavorare per una Italia migliore”. In bocca al lupo.

Ma l’ex braccio destro di Silvio Berlusconi non è l’unico falcidiato dalle urne. A finire nel baratro è stato anche uno dei pezzi da novanta di questa campagna elettorale, Antonio Ingroia. Il magistrato nel giro di qualche settimana ha strappato per due volte il biglietto aereo per il Guatemala. Andata e ritorno per mettersi a capo prima degli arancioni poi di Rivoluzione Civile. Ma l’operazione non ha pagato e il movimento è uscito dalla tornata elettorale con le ossa rotte. Sono i numeri a raccontare il fallimento: 2,25% alla Camera, 1,79% al Senato. Fine della cora. Con lui un altro nome illustre dell’ultimo ventennio della storia italiana, Antonio Di Pietro. Dalla stagione gloriosa di mani pulite a leader indiscusso dell’Idv; da ministro a costola degli arancioni parcheggiato fuori dalle stanze dei bottoni.

Stessa sorte per Oscar Giannino, il padre di Fare per Fermare il Declino. Guardando i dati è lampante come la storia sulle false lauree non abbia pagato. Per lui ’ultima possibilità di ingresso è riposta nelle circoscrizioni Europa e Nordamerica. E fuori rimarranno anche Marco Pannella, Emma Bonino: la lista Amnistia giustizia liberta non ha superato gli sbarramenti.

E ancora: restano fuori dal Senato l'ex presidente di Palazzo Madama, Franco Marini, a Guido Crosetto di Fratelli d'Italia. E spulciando gli elenchi del Viminale per ora resterebbe appiedato anche un nome molto discusso del panorama politico italiano, Domenico Scilipoti candidato nelle liste del Pdl. L’ex Idv non è completamente fuori è spera nei ripescaggi dell'ultimo minuto. Tutto dipende da Silvio Berlusconi: se il Cavaliere non occuperà il seggio conquistato in Calabria l'ex onorevole dei Responsabili avrà semaforo verde. Una verità che per adesso non pare turbarlo troppo, anzi Scilipoti fa spallucce e ringrazia “tutti gli elettori calabresi che mi hanno sostenuto e hanno contribuito in maniera determinate all'affermazione del Pdl al Senato in Calabria”. Fuori Roberto Rao dell’Udc, Roberto Natale di Sel e Mario Sechi, l’ex direttore del Tempo entrato a gennaio in squadra con Monti.

E nel festival dei respinti non può non essere segnalato un piccolo caso, quello della Lega Nord. Il partito di Bossi prima e Maroni oggi, per la prima volta nella sua storia, non raggiunge il numero minimo di deputati necessari per avere un proprio gruppo parlamentare alla Camera. Secondo i dati definitivi del Viminale, al Carroccio andranno 18 seggi a Montecitorio, due in meno di quelli necessari per formare un gruppo. Finora, la quota più bassa risaliva al 1996, quando ottenne giusto i 20 deputati necessari. Nella scorsa legislatura, complice il premio di maggioranza, ne aveva portati alla Camera ben 60. Per il partito di Roberto Maroni è comunque molto probabile una deroga, visto lo scarto minimo che lo separa da quota 20.

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