Verso il nuovo governo: la situazione nel Partito Democratico
Bersani tira le orecchie a Renzi, il sindaco critica la strategia sulle alleanze
Pierluigi Bersani e il Pd hanno in testa Palazzo Chigi. Dove tuttavia al momento non c’è spazio per portar le valigie. E non perché Mario Monti abbia occupato troppo spazio. Ma solo perché ancora non ha trovato un paio di braccia robuste che lo aiutino a sostenere il carico. Nella fattispecie, quelle di Beppe Grillo. Che fino ad oggi, a costo di esser noioso e ripetitivo, ha già detto di non essere disposto a salire in sella. Casaleggio è stato ancora più esplicito: o me o Bersani.
BERSANI – Ma il segretario dei democratici non si è ancora dato per vinto. Se non Grillo – un “novello principe in formazione non può essere mai sazio”, dalle mani libere non “per l'Italia” ma per qualcosa “che si chiama potere” – è ancora fiducioso che qualche spiraglio di dialogo lo potrebbe trovare nei neoeletti 5 Stelle. Alla prima mossa del Pd, votata in direzione nazionale praticamente all’unanimità, “arriveranno degli sbarramenti tutti i giorni”. Ma “noi facciamo l'inverso” di Grillo: “quel tanto di potere che abbiamo lo mettiamo a servizio di questo Paese”.
Per questo però ha bisogno di un patto interno: una barca spinta da tanti remi verso un’unica direzione. Così, sentiti i primo scricchiolii, “chi dice con i Cinque Stelle nemmeno un caffè”, avverte: “tutti quanti devono riflettere su un punto: autostrade non ce ne sono”. “Non abbiamo ancora capito – ha sottolineato ancora Bersani – se il Movimento 5 Stelle si è volto verso le istituzioni per farne una cassa di risonanza di altri luoghi o per trasformare le stesse istituzioni”. Però “sbaglieremmo se catalogassimo questo movimento solo nelle paratie del 5 Stelle. Coinvolge tantissimi dei nostri elettori. C’è una richiesta di cambiamento. Oggi la responsabilità è cambiamento. Non si possono mettere precari coperchi sopra una pentola a pressione”.
IL SEGRETARIO CONTRO RENZI – Cambiamento che inizia con Grillo ma che nella logica di Bersani può accogliere solo un Pd unito, l’unico a garantire la cifre, o meglio, i numeri della svolta. Forte di questa logica, tanto da inviare direttamente a Firenze un monito: “Chi lavorasse per azzoppare l’unica forza in condizione di mettere un po' di bussola in questo passaggio non so che bene fa al Paese”. Prima stoccata a Matteo Renzi. “Non sono in corso delle diplomazie, noi vogliamo coltivare all’aperto una idea: avviare una legislatura all'insegna del cambiamento. Non si diffonda l’idea nemmeno da casa nostra che noi stiamo andando a cercare deputati senatori, non l’accetto, ci interessano le posizioni davanti al Paese”. Seconda stoccata. C’eravamo tanto amati. O Meglio, breve ma intenso.
Guerre stellari durante le primarie, poi la pax elettorale, gli abbracci su è giù per l’Italia, la sconfitta delle urne. Una settimana di silenzio, dieci giorni, poi il sindaco di Firenze ha ricominciato a martellare. Tutto come prima, verrebbe da dire. Un po’ sì, un po’ no. Renzi infatti non toglierà l’appoggio al suo segretario, “non lo pugnalerò”. Ma intanto comincia a far ‘chiasso’, prepara il terreno per prendersi quel futuro che ha sfiorato a cavallo tra novembre e dicembre. E allora tra una carezza all’elettorato grillino e la sfida lanciata in campo aperto al “garante” del M5S, lancia la nuova sfida alla classe dirigente democrat: “Non vorrei che lo ‘scilipotismo’ diventasse la caccia al grillino perché lo abbiamo contestato quando lo facevano altri”. Se si trattasse di un pranzo, da quello della pace a quello della discordia, si sarebbe appena concluso l'antipasto.
TRATTATIVA DISCUTIBILE – E nel tardo pomeriggio di ieri da Firenze è arrivato il primo: “Sembra quasi che in questi giorni la discussione sul Parlamento sia tutta incentrata su un doppio binario: da un lato il folclore di chi pensa si possa scrivere una pagina nuova inventando ogni giorno una cosa diversa”. E in questo “fortunatamente è stata appena cancellata l’ipotesi di una marcia inaugurale; ci sono già state altre marce che hanno preoccupato nel corso del secolo scorso la vita del Paese”. Dall’altro “c’è chi tenta di risolvere l'impasse istituzionale in cui siamo con una trattativa fino all'ultimo giorno molto molto discutibile”. Non fa un nome, non cita una sigla, ma di questi tempi i pensieri corrono subito a quel passaggio strettissimo invocato da Bersani teso a scalfire la diffidenza dei neoeletti 5 Stelle. Pochi minuti e il 'rottamatore' serve il secondo: picchia sul finanziamento pubblico alla politica e chiede, come ha fatto durante tutta la campagna per le primarie, la massima trasparenza a cominciare dal suo partito. Al dessert addolcisce e rimarca un pensiero noto: “Io faccio il tifo perché Bersani ce la faccia, ma non sono ottimista. Grillo continua a dire no, quindi non sono ottimista. Se Bersani non ce la fa, giocoforza si andrà a votare, non è che si sta cinque anni con un governo Pd – Pdl o un governo di minoranza”. E i tempi? “Non lo sappiamo, che sia tre mesi, sei mesi, un anno o due anni, ma l’esito delle elezioni lascia intendere che certo questa legislatura non sarà la più lunga della storia repubblicana”.