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Politiche 2013 Italia

Niente proporzionale, la riforma elettorale passa dal maggioritario: ecco perchè

Un'eventuale elezione con sistema proporzionale avrebbe garantito rappresentanza parlamentare a 1,5 milioni di italiani in più ma non avrebbe risolto il problema della governabilità.

“La vicenda dei nostri sistemi elettorali spiega, o comunque concorre a spiegare, il fallimentare andazzo della politica italiana”. Ottobre 2012, Giovanni Sartori in un editoriale sul Corriere della Sera, fotografava con amarezza e disillusione uno dei tanti mali che storicamente affliggono il Paese: l’incapacità cronica della politica nel conseguire un sistema elettorale che rispetti le scelte degli italiani e assicuri la governabilità.

Passano quattro mesi e quelle parole, inascoltate, si fanno più attuali che mai. Lo dicono i numeri. Il verdetto dell’ultima tornata elettorale ha gettato il Paese in fase di incertezza istituzionale tale che, passati nove giorni dallo spoglio, ancora manca un esecutivo. La nuova legislatura appena nata si è presentata subito zoppa: la maggioranza assoluta alla Camera a far da contraltare alla paralisi del Senato.

Niente di nuovo sul fronte occidentale, verrebbe da dire. La palude era stata ampiamente preannunciata anche se non in questi termini e non di queste dimensioni. Come non ricordare la discussione pre-elettorale con Lombardia, Sicilia e Veneto veri e propri talismani della partita. Così vero da spingere Bersani a teorizzare il piano B: un’alleanza con Monti e i moderati per gettare il cuore oltre l’ostacolo.

Discorsi che oggi appaiono vecchi di cent’anni. La storia ha travolto tutto e tutti e di quel progetto è rimasto solo un timido ricordo. Il tonfo del Pd, quello di Monti, la tenuta di Berlusconi e lo straripante successo di Beppe Grillo. Maggioranza relativa consegnata al Pd (a distanza siderale da quella assoluta), Monti praticamente fuorigioco, con Bersani costretto a ricercare i numeri da chi lo continua a chiamare “Gargamella”.

Di chi è la colpa? I ben pensanti rispolverano un vecchio ritornello e gettano la croce addosso agli italiani; c’è poi chi ricorre ai se, con i rimpianti per la mancata candidatura di Matteo Renzi che vanno per la maggiore; ed infine c’è chi ha preso in esame la madre di tutti i mali, il vaso di Pandora da cui è fuoriuscito un caos difficilmente ricomponibile: la legge elettorale appunto. Quel ‘porcellum’ voluto da Berlusconi, firmato da Calderoli, che ha dato alla luce il ‘mostro’. Ma anche un mostro va guardato bene in faccia per capirne la genesi e le responsabilità. Quelle della politica che in 5 anni di legislatura, passando prima dal Cavaliere e poi per la supplenza tecnica, non è stata in grado di metterci mano.

PROPORZIONALE – E dire che con uno sforzo di serietà le cose oggi sarebbero potute andare in un altro modo. Bastava un briciolo di lungimiranza, ‘ascoltare’ gli umori del Paese e cambiar strada. Partendo dal fatto che il sistema proporzionale secco in Italia è arrivato al capolinea. C’è chi infatti si è messo a far di conto e ha sovrapposto i risultati del 24-25 febbraio con la legge elettorale in vigore fino al 1993: il sistema proporzionale (con attribuzione dei resti più alti col metodo del collegio unico nazionale). Un classico, un evergreen di moda ogni 5 anni. Anche con questa formula l’impasse non si sarebbe evitato. Lo dicono le percentuali.

Con il proporzionale secco infatti, non solo il Senato, ma anche la Camera sarebbe sprofondata nella palude. Il blocco del centro-sinistra si sarebbe accaparrato 209 seggi; 190 sarebbero affluiti nel recinto di centro-destra; 66 a Monti. Maggioranza inesistente e i 161 eletti del Movimento 5 Stelle a fare la differenza. Considerando che quel proporzionale non contemplava il premio di maggioranza né la gli accorpamenti da coalizione, anche questo scenario in pratica avrebbe consegnato nelle mani di Grillo e Casaleggio quello stesso ago della bilancia che quest’oggi si tengono stretti. Con il proporzionale vecchio stile quindi l’Italia non avrebbe abbracciato quelle certezze che latitano e che va cercando. Quel che il proporzionale avrebbe portato come vantaggio, invece, sarebbe stato il garantire una rappresentanza parlamentare a 5 partiti oggi fuori dalla Camera (Rivoluzione Civile, Fare, La Destra, Grande Sud-Mpa e Die Freiheitlichen) e, quindi, a circa un milione e mezzo di italiani. Comunque un dato non da poco.

DOPPIO TURNO – E allora che fare? Bersani questa mattina, durante la direzione nazionale del Pd, ha proposto nella piattaforma programmatica con cui chiederà il lasciapassare a Napolitano prima e ai grillini dopo, la riforma del sistema elettorale passando per un doppio turno di collegio. Di cosa si tratta? Di un sistema maggioritario in cui un candidato per essere eletto al primo turno deve superare all’interno del collegio lo sbarramento del 50% dei consensi più un voto (maggioranza assoluta). Se nessuno oltrepassa questa soglia va in scena il secondo turno, o ballottaggio, tra i due rappresentanti più votati (oppure chi oltrepassa una soglia prestabilita di preferenze). A questo punto l’elezione si gioca voto su voto o, detta meglio, accaparrandosi la maggioranza relativa del corpo elettorale. Il ‘marchingegno’ in sostanza passa da due tappe fenomenologiche: il voto sincero per quel che riguarda la prima crocetta, quello strategico o utile alla seconda chiamata. Il tutto nel giro di una settimana.

Da qui, nel più classico dei testa coda o dei racconti circolari, è bene tornare alle parole di Giovanni Sartori che ha sposato con convinzione questa strada fin da tempi non sospetti. Che tuttavia, già all’epoca del vergato, si lamentava di come una proposta tanto ‘pulita’, portata avanti con timidezza solo dal Pd, non piaccia a nessuno: “Forse per ignoranza, non infrequente nei nostri legislatori; ma soprattutto, sospetto, perché manderebbe troppa gente a casa”. Anche perché “ricordare gli sbagli serve ad evitarli? In Italia no. Non mi illudo, ma provo lo stesso”.

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