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Martedì, 23 Aprile 2024

Andrea Maggiolo

Giornalista

Se abbiamo nostalgia persino dei manifesti elettorali siamo messi male

Le campagne elettorali dopo legislature in cui tutti hanno governato con tutti, con rare eccezioni, sono brutte, ovunque. A volte bruttissime. Sopra le righe. Per posizionarsi in modo non perdente, i partiti devono trovare il modo di spingere più del solito su qualche tema identitario, senza però "sbracare" del tutto. E tenere il freno a mano tirato sui social è spesso difficile per i leader politici e per i loro staff. Nella campagne elettorali del passato c’era invece un punto fermo: il manifesto elettorale come strumento principe di ogni strategia. Aveva una sua dignità, il manifesto. Volti più o meno rassicuranti, sorrisi più o meno tirati, slogan più o meno credibili, simboli più o meno originali. 

Per il voto del 25 settembre le cose saranno diverse rispetto al passato. Gli spazi dedicati alle affissioni, per legge, saranno a disposizione, ma in pochi ci investiranno valanghe di soldi come nelle scorse tornate, grandi città a parte. In primis perché siamo in pieno agosto e gli italiani sono in vacanza, poi il tempo stringe, rispetto alle elezioni precedenti. È infatti ancora in vigore una legge di 66 anni fa secondo cui i manifesti elettorali devono essere inderogabilmente rimossi entro 30 giorni dalle elezioni: quindi entro il 25 agosto. Dopo potranno rimanere "solo" sulle bacheche comunali, gli appositi pannelli di metallo dei Comuni. Non "poca roba", ma su quei pannelli c'è uguale spazio per tutti i partiti e la confusione è totale. Nessuna campagna di affissioni a tappeto di un singolo partito. Da un mese prima delle votazioni, dunque, dovranno essere attivati ovunque i tabelloni con gli spazi per le affissioni. Da venerdì 26 agosto si entra nel vero e proprio periodo elettorale, dalla durata di un mese esatto. La norma prevede che vengano vietate le pubblicità luminose mobili (mentre sono ammessi i "camion-vela"), la pubblicità fissa al di fuori degli spazi elettorali e delle sedi di partito, ma anche forme più vecchie di propaganda come il "lancio o getto di volantini". Le forme di propaganda elettorale sono ammesse fino a venerdì 23 venerdì. Sabato 24 e domenica 25 settembre scatta, come di consueto, il "silenzio elettorale", con divieto di comunicazioni e nuove affissioni. 

I grandi partiti in passato iniziavano a tappezzare le città anche mesi prima dell'appuntamento ai seggi, acquisendo tutti gli spazi "commerciali" disponibili. Nessuno si aspettava che il governo cadesse in piena estate e che si andasse alle urne quando l'autunno sarà incominciato da una manciata di giorni. Pochi manifesti elettorali stavolta. Nessuna nostalgia canaglia, sia chiaro. Ma è un dato di fatto che ora il gioco si è spostato altrove, e uno la campagna elettorale deve andarsela a cercare attivamente: sul web, in tv. Perché passeggiando per strada, probabilmente, in alcune parti dello Stivale ci si potrebbe persino non accorgere che si stia per celebrare l'appuntamento più rievante di ogni democrazia parlamentare: le elezioni per scegliere il nuovo parlamento. Nessuna nostalgia canaglia per le campagne con gli striscioni stradali di Berlusconi che occupavano interi palazzi annunciando il "nuovo miracolo italiano", per carità. Ma ha perso peso specifico la classica affissione.

Nell'epoca della comunicazione politica tutta digitale e social, in cui le coalizioni nascono e muoiono in un battito di post o status, e nell'era dell'astensione dilagante (il rischio è che alle elezioni del 25 settembre l'affluenza batterà tutti i record negativi), il manifesto elettorale era il simbolo di una politica presente in modo massiccio in ogni strada, tra i cittadini, almeno prima del voto. Visto il livello spesso penoso del dibattito pubblico-politico oggi, con post social che vengono smentiti dagli stessi autori mezz'ora più tardi, con posizioni su qualsiasi tema che cambiano in continuazione non solo nello stesso partito, ma pure nella testa e nella comunicazione del singolo candidato, con dichiarazioni che vengono smentite dalle stesse persone che le hanno pronunciate, il manifesto elettorale, nel bene e nel male, aveva un piccolo grande pregio: quello era, e quello restava, e per tutta la campagna elettorale era immutabile. Riuscito o meno, non era suscettibile di aggiornamenti o modifiche a ciclo continuo. Ed era comprensibile davvero a tutti: non si può dire lo stesso di gran parte di quello che è successo nelle ultime settimane tra Camera, Senato e Palazzo Chigi. Chiudiamo con un po' di ironia (si fa per dire): probabilmente anche se ci fossero stati miliardi di manifesti ad ogni angolo di strada, su ogni muro, non li avremmo visti comunque in questo 2022, tutti concentrati come siamo a scrollare sugli smartphone camminando, sui mezzi pubblici, in auto fermi ai semafori o in un qualsiasi momento libero. Chissà se Calenda ha twittato di nuovo.

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