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Venerdì, 19 Aprile 2024

Charlotte Matteini

Opinionista

La lenta corsa del Pd verso la disfatta

Sembra proseguire incessante la corsa verso la disfatta elettorale del Partito Democratico. Dopo l’accordo con Azione di Carlo Calenda, che ha portato all’indignazione buona parte della base dem e dell’elettorato potenziale ed è saltato solamente perché l’ex ministro dello Sviluppo Economico ha deciso di rescinderlo, a creare un nuovo casus belli all’interno della comunità del Pd è stata la composizione delle liste elettorali approvata durante la “notte dei lunghi coltelli” dalla Direzione del partito.

Scontentati tutti

Seguendo pedissequamente il Manuale Cencelli, Enrico Letta ha costruito delle liste che sono state capaci di scontentare praticamente tutti. Fuori dalle candidature o da posizioni eleggibili nomi eccellenti come quello della deputata Giuditta Pini, da sempre attenta alla galassia dei giovani e molto attiva sui temi del lavoro e del precariato, del costituzionalista Stefano Ceccanti, dell’ex presidente del Senato Pietro Grasso, della senatrice Monica Cirinnà, madrina della legge per le unioni civili, candidata in un collegio uninominale impossibile da vincere, quasi come fosse un modo, di fatto, per impedirne la rielezione in Parlamento. Fassino paracadutato in Veneto al posto del suo natìo Piemonte, stessa collocazione per l’ex berlusconiana Beatrice Lorenzin, mentre l’ex Ucd Pierferdinando Casini rimane invece abbarbicato al collegio di Bologna esattamente come nel 2018, scelta che anche all’epoca fu foriera di grandissime polemiche.

Il taglio dei parlamentari che fa male

Da giorni ormai non si fa altro che discutere dell’ennesima bruttura politica firmata dal segretario del Partito Democratico che, di fronte alle aspre polemiche, ha cercato di difendersi sostenendo di aver chiesto dei sacrifici perché impossibilitato a ricandidare tutti. In realtà, l’operazione portata avanti da Letta ruota completamente attorno ad un unico fondamentale perno: ricostituire quanto più possibile l’apparato del Pd sostituito a cavallo tra il 2013 e il 2014 dall’allora segretario dem Matteo Renzi nell’era della cosiddetta “rottamazione”. In sostanza, Letta sembra aver generato un vero e proprio caos, che rischia di comprimere ulteriormente il consenso del Partito Democratico, a causa della combinazione di tre sostanziali fattori: da un lato, appunto, la necessità di fare un repulisti degli ex renziani di ferro rimasti nel Pd alla scissione di Italia Viva, come ad esempio l’ex braccio destro di Matteo Renzi, Luca Lotti, in modo tale da assicurarsi una gestione più semplice del gruppo parlamentare e delle varie correnti alla prossima legislatura, dall’altro l’esigenza di far quadrare i conti di fronte a un Parlamento che passerà, per effetto della riforma costituzionale del 2020, da 915 a 600 seggi totali, senza che nel corso della legislatura i partiti, Pd compreso, siano riusciti ad approvare una riforma della legge elettorale che apportasse alcuni necessari correttivi per poter bilanciare il diritto di rappresentanza.

Numerosi costituzionalisti e addetti ai lavori avevano avvertito del pericolo che avrebbe potuto generare il taglio dei parlamentari in assenza di adeguati contrappesi democratici, ma a nulla sono valsi gli appelli. Approvata la riforma sull’onda emotiva dell’antipolitica, oggi, nel bel mezzo di un’improvvisa campagna elettorale di fine legislatura anticipata, tutti i partiti - Pd in testa - si trovano a dover mettere delle pezze costruendo delle liste che da un lato scontentano chi avrebbe voluto farsi rieleggere in Parlamento e dall’altro indignano l’elettorato potenziale e non per via del classico metodo utilizzato: lo stesso di Renzi, all’epoca aspramente criticato e ora riproposto come gelida vendetta con identiche modalità. Saranno i sondaggi e ancor più il voto a dire se la strategia di Letta avrà successo, ma al momento sembra che il segretario dem sia abile solamente nel commettere passi falsi a ogni centimetro di percorso.

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