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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Senato, dilemma grillino: opposizione con Silvio o governo con Bersani?

Il pareggio a Palazzo Madama aprirà una questione dirimente tra i futuri senatori del Movimento 5 Stelle: votare la fiducia al centrosinistra o sedere all'opposizione con il centrodestra. Il punto su un caso tutto italiano

L’Italia è una repubblica parlamentare bicamerale perfetta. Camera e Senato, il potere legislativo passa da lì. Un unico potere, due ‘gambe’ speculari. Cambia il numero dei seggi non la funzione: una legge per essere approvata deve ottenere la doppia maggioranza. Facile, almeno sulla carta. Meno quando le cifre e le percentuali si confondono. Nell’Italia del 2013 capita infatti che una sciagurata legge elettorale, detta il ‘porcellum’ per le caratteristiche peculiari che tende a creare (il groviglio istituzionale), consegni alla storia la Terza Repubblica zoppa. Forte alla Camera, claudicante e sofferente al Senato. Stando ai sondaggi, gli ultimi resi pubblici, a Palazzo Madama ci sarebbe un po’ di tutto, fuorché una maggioranza che possa sostenere un esecutivo.

E allora? C’è chi pensa alle famiglie allargate, quelle che superano le coalizioni elettorali, da fare magari ad urne chiuse. Ci sta pensando Bersani che si è messo alle testa dell’ipotesi più gettonata di fine febbraio: una sorta di grande coalizione a braccetto con Monti. Vendola permettendo? Dipende. Ad oggi parrebbe di sì, con il segretario del Pd che non manca di sottolineare come qualunque dialogo con i centristi passi dal semaforo verde di Sel. Ma poi chi lo sa. La politica si fa con i numeri più che con l’amicizia. Se l’asse con Nichi non reggesse il Partito Democratico si troverebbe davanti ad un bivio: rimanere fedeli al patto per le primarie (considerando anche l’ipotesi di nuove elezioni) o una virata secca verso il Professore, cocci rotti compresi.

Ma c’è un’altra ipotesi, un po’ più farraginosa ma di cui si comincia a sentire il chiacchiericcio. Si tratta del ‘fattore G’, i numeri di Beppe Grillo e del Movimento 5 Stelle. Non è affatto escluso infatti che una parte dei grillini si spenda per la fiducia di un possibile governo Bersani; Monti o non Monti. Si tratta della corrente o fronda emiliano-romagnola del Movimento, la stessa che lo scorso autunno si scagliò contro la gestione dispotica di Grillo e Casaleggio. All’epoca si lamentarono della poca trasparenza del partito e sollevarono un problema di democrazia interna.

Ipotesi ardita che tuttavia ha trovato conforto nelle parole di Silvio Berlusconi che, vuoi per aver fiutato il pericolo, vuoi per esigenze da campagna elettorale, l’ha utilizzata per sparare nel mucchio. Analizzando la composizione del nuovo Senato, Berlusconi, ieri durante il forum all’Ansa, ha escluso qualunque possibilità di grande coalizione; alla tedesca per intenderci. “Non credo – ha ammesso – che il Pd al Senato abbia bisogno di noi”. Perché? “Abbiamo avuto la pessima sorpresa di vedere – ha continuato il leader del centro destra – che più dell'80% delle persone candidate nelle sue liste di Grillo provengono da ambienti dell'estrema sinistra, dei centri sociali e dei no tav”. E qui l’assioma: “Tra questi la sinistra può trovare candidati di sostegno, magari con un cambio di casacca, anche perché loro non li vedo tanto compatti”. Lo scenario è aperto, anche se fioccano le smentite. Quelle del Pd che accusa Berlusconi di sfornare orizzonti vuoti per difendersi dal probabile travaso di vori dal Pdl al M5S.

Punto? Mica tanto. Può darsi che i trapezisti della politica infatti non bastino. Vada semmai per la fiducia ma del domani non c’è certezza. Anche perché la filosofia del Movimento fondato dal blogger genovese è cristallina: non esistono idee di destra o di sinistra, ma giuste o sbagliate. E tra le idee del Pdl ce ne sono alcune che i parlamentari benedetti da Beppe Grillo firmerebbero su due piedi. Come l’eliminazione dell’Imu prima casa, o, per ultimo, l’intenzione del Popolo delle Libertà di eliminare il finanziamento pubblico ai partiti; un vero e proprio cavallo di battaglia dei ‘grillini’. Con il rischio che al primo scossone il Governo si trovi con l’acqua alla gola o peggio, sotto.

Vista così la Terza Repubblica si potrebbe trasformare nell’esperienza democratica più veloce del West: approvazione di una nuova legge elettorale, elezione del nuovo Presidente della Repubblica e poi tutti a casa. Anzi alle urne. A meno che non salga a Palazzo Chigi il Professore della Bocconi.

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