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Venerdì, 19 Aprile 2024
Il lavoro della memoria e la forza della storia

No, il 25 aprile non è un'opinione

La Liberazione è il mito fondativo della Repubblica italiana. Non è folklore, è memoria, è testimonianza. Anno dopo anno sembra quasi che si festeggi con uno schema sempre più assurdo, da "par condicio", all'insegna - quando va bene - del cosiddetto "indifferentismo", altrimenti del puro revisionismo. Il 25 aprile non è né mai sarà una semplice ricorrenza

La storia. Le voci di chi affrontò la morte a testa alta. La differenza tra libertà e Liberazione. Le testimonianze. L'indifferenza. Il revisionismo. E' difficile raccontare il 25 aprile. Sempre di più. Proviamo a partire dalle basi, dai fondamenti del nostro vivere civile.

No, il fascismo non è un'opinione. E non lo è nemmeno il 25 aprile. Oggi si festeggia la Liberazione dal nazismo e dal fascismo. L'apologia del fascismo, nell'ordinamento giuridico italiano, è un reato previsto dall'art. 4 della legge Scelba attuativa della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione. Il fascismo non è un’opinione: l'ideologia e il regime che ne è stato diretta espressione hanno condotto l'Italia alla rovina e causato centinaia di migliaia di morti in una guerra che ha raso al suolo ogni assetto istituzionale e perseguitato minoranze.

Oggi è l'anniversario della Liberazione d'Italia, è la festa nazionale della Repubblica Italiana che celebra espressamente la fine dell'occupazione nazista e del regime fascista. E' storia. Non è quindi la festa di una vaga generica "libertà" slegata dalla giustizia sociale, come qualche distratto (siamo gentili) politico di centrodestra ciclicamente prova a raccontare. Non ci sarebbe stata libertà viva, fondante in Italia senza Liberazione, senza quel senso di affrancamento dal fascismo e dalla guerra che ne è conseguita. Non diciamo nulla di nuovo. Lo slogan "il fascismo non è un’opinione come le altre, è un crimine" si ispira alla famosa frase di Giacomo Matteotti, assassinato dai fascisti nel 1924 dopo aver denunciato in Parlamento i brogli elettorali e le ruberie dell'allora nascente regime. Ripartiamo dai fatti, anche oggi, ancora di più oggi.

Che cosa si festeggia davvero il 25 aprile

Il 25 aprile è il mito fondativo della Repubblica italiana. Non è folklore, è memoria. Anno dopo anno, purtroppo, sembra quasi che si festeggi il 25 aprile con uno schema sempre più assurdo, da "par condicio", dove alle celebrazioni non viene mai fatta mancare una feroce critica alle stesse, ispirandosi sempre più, come notava qualche anno fa Roberto Rossini, ex Presidente nazionale delle Acli (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani, non certo un pericoloso estremista) "all'indifferentismo, come se il 25 aprile non ricordasse alcunché di particolare".

O ancora peggio: basti pensare al provveditore regionale delle Marche, che già era diventato "celebre" per la lettera che esaltava la guerra in occasione del 4 novembre, che oggi indica nel giorno della Liberazione "la fine della guerra in Italia". Oggi agli studenti parla di "rispettive ragioni e rispettivi sogni" nell'equiparazione sostanziale tra partigiani e nazifascisti. Scempio: agevoliamo un estratto.

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A Monfalcone il Comune e l'Anpi danno vita addirittura a celebrazioni separate: i valori del 25 aprile evidentemente non ovunque sono più terreno comune e collante per le istituzioni. È diseducativo il revisionismo intorno ad una data come il 25 aprile, ma le istituzioni oggi più che mai devono dire "No" a ogni richiamo esplicito al nazifascismo. Non c'entra niente la sana dialettica, è una questione di difesa della Repubblica.

Il 25 aprile 1945 è stato  la condizione indispensabile che rese possibile fondare una democrazia repubblicana, con la collaborazione di tutti i partiti antifascisti, uniti nel comune proposito di restituire agli italiani la dignità di un popolo sovrano.

Negli ultimi tempi a Genova, Ferrara, Roma, Gallarate, Genzano e altre città sono comparse svastiche o croci celtiche in alcuni luoghi simbolo. Il caso più recente è accaduto l'altra notte nel quartiere portuale di Sampierdarena: le bandiere dell'Anpi preparate per il 25 aprile al circolo di via Rolando sono state imbrattate con svastiche scritte a spray. Ad Ariano Irpino un murale dedicato a Liliana Segre è stato appena imbrattato con la ridicola scritta Dux. 

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Le leggi Scelba e Mancino puniscono con rigore questi atti. Basterebbe individuare i responsabili: a volte ci si riesce, molto spesso no.

Invece pare che dedicare un sacrario (un sacrario!) al generale-gerarca Rodolfo Graziani non basti in Italia per far scattare il reato di apologia del fascismo. La semplice commemorazione è, infatti, insufficiente per ipotizzare il rischio di ricostituzione del partito, se a questa non si unisce l’esaltazione del personaggio chiave del ventennio. La Cassazione (sentenza 11576) un mese fa ha depositato le motivazioni con le quali ha annullato con rinvio - il 25 settembre scorso - le condanne disposte, sia in primo grado sia in appello, nei confronti dei sindaco di Affile e di due assessori per apologia di fascismo. Nelle motivazioni viene valorizzata la differenza tra celebrazione ed esaltazione. Nel mirino dei giudici erano finiti sia il memoriale sia il raduno, in occasione dell’inaugurazione, con tanto di corona, messa e buffet per i convitati presenti. Pensate a cosa succederebbe se - per esempio - a Monaco di Baviera si costruisse un monumento alla memoria di Goebbels o Goering. Altro che arrivare in Cassazione: non sarebbe permesso nemmeno posare la prima pietra. Ecco, basta questo per capire che abbiamo un problema.

Proprio in un'epoca nella quale i termini guerreschi compaiono su base quotidiana sui media, in riferimento all'emergenza sanitaria Covid, non si può dimenticare che l'ultima grande vera guerra che gli italiani hanno combattuto davvero, in Italia e in Europa, armi in mano, è stata quella in cui ci siamo fiondati per volere del regime fascista. 

Il 25 aprile non è una ricorrenza

Il 25 aprile non è una data scelta per festeggiare semplicemente "la fine della seconda guerra mondiale in Italia", come qualcuno ogni tanto arriva persino a dire, con una certa nonchalance. Il 25 aprile 1945 fu il giorno in cui il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) proclamò l’insurrezione in tutte le zone occupate dai nazisti e dai fascisti repubblichini al motto di “Arrendersi o perire”, pronunciato da Sandro Pertini dai microfoni di Radio Milano Liberata, per preparare l'insurrezione generale del popolo italiano ed evitare ove possibile un inutile bagno di sangue. Il fascismo non è un'opinione: è un pezzo di storia con la quale forse l'Italia non ha mai davvero fatto i conti fino in fondo. Di conseguenza il 25 aprile non è un'opinione.

Il 25 aprile non è nemmeno una ricorrenza: è un fatto, e oggi festeggiamo la Liberazione, che è allo stesso tempo un processo, un inseguimento mai concluso. Speriamo non succederà mai di doverci accorgere quanto vale realmente solo quando comincerà a mancare, ovvero a non essere più celebrato. Non si cessa di festeggiare una recuperata libertà finché si continua a sentire di doverla in qualche modo difendere. In questo senso ogni tentativo di attualizzare e di restituire un senso effettivamente nuovo al 25 aprile deve essere il benvenuto, delineandone tanto i contorni utopici quanto il realismo politico.

Il fascismo nelle sue varie forme spesso è dietro l'angolo, non uno spauracchio ma un fenomeno che può trovare terreno fertile in una società piegata dalla crisi economica e dalle disuguaglianze in perenne aumento. La storia non si ripete mai identica, ma nonostante ciò non si può che partire dalla storia per capire come sarà il futuro. Dopo il 25 aprile 1945 i fascisti non hanno chiuso: Piazza Fontana a Milano, piazza della Loggia a Brescia, il treno Italicus. Fino alle tante aggressioni che sono cronaca più o meno recente (c'è chi si prende la briga di tenere il conto). La "connessione sentimentale" con la vita politica si è interrotta per larghe fasce popolari oppure, ancora peggio, si è ricostruita solo su pulsioni di risentimento e di rancore. Il pericolo esiste.

"Ogni decennio conosce il discorso pubblico sul 25 aprile, sul fascismo e sull’antifascismo che si merita" ha detto la storica Vanessa Roghi. 

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Lettere di condannati a morte della Resistenza

Non c'è bisogno, in fondo, di frasi altisonanti: poter meditare sui documenti vivi di coloro che, di fronte alla morte, non hanno recitato la parte dell'eroe o del superuomo, ma hanno espresso la pacata esigenza di una coscienza morale, la certezza di aver fatto il proprio dovere, è il modo migliore per avvicinarsi alla Resistenza.

Qualche decennio fa il Comune di Torino regalava agli studenti di terza media, che terminavano la scuola dell'obbligo, in occasione del 25 aprile, una copia delle "Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana". Spesso giovani, giovanissimi, che andarono incontro alla morte nella primavera del 1945. Immaginate le polemiche - non solo provenienti dalla destra più retriva, sia chiaro - se accadesse oggi qualcosa del genere. Certo, è difficile parlare della Resistenza ai giovani d'oggi. Forse la soluzione più intelligente è lasciar parlare - almeno il 25 aprile -  quelle donne e quegli uomini che, prima di trovare la morte, lasciarono un ultimo pensiero. Le lettere sono consultabili gratuitamente

"Quando sarai grande capirai meglio, ti chiedo una cosa sola: studia", scriveva Paola Garelli, partigiana, in una lettera alla figlia, poco prima di essere fucilata da un plotone fascista. Aveva 28 anni.

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