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Sabato, 20 Aprile 2024
Genova 2001 / Genova

"Il massacro della Diaz? A mia insaputa". Anche Fini nel club degli ignari

Intervistato da Repubblica, il presidente della Camera, allora vicepresidente del Consiglio, nega ogni responsabilità per i fatti di Genova. E un commento corre in rete: "Con D'Avanzo ancora tra noi, sarebbe stata un'intervista diversa..."

Quella sul massacro della Diaz, durante il G8 di Genova, "è una sentenza che va rispettata". Questo la  risposta del presidente della Camera, Gianfranco Fini, alla domanda - secca, senza seconda domanda - di Claudio Tito di Repubblica su quanto accaduto la sera del 21 luglio 2001.

L'intervista di Repubblica era incentrata su altro. Sullo scenario politico, sulle prossime elezioni, sugli scandali. Ma una domanda sui fatti di Genova a chi, in quei drammatici giorni, era nella sala operativa che doveva gestire l'ordine pubblico in città, non poteva non essere fatta. Il problema, però, è che è stata solo una domanda.

E Fini ha risposto che lui, di responsabilità in quella vicenda, non ne ha: "C'è una sentenza che va rispettata, ed è la dimostrazione che quando si sbaglia si paga. Non ho alcuna difficoltà a dire che quelle immagini hanno gettato un'ombra sull'immagine dell'Italia". Ma queste non sono parole dell'attuale presidente della Camera e allora vicepresidente del Consiglio, bensì della Cassazione che le ha riportate nelle motivazioni della sentenza. Quindi abbastanza comode da riportare per evitare ogni polemica.

Ma è quando Fini si lancia nella sua versione dei fatti che ci è mancata la presenza di un giornalista come Giuseppe D'Avanzo.

Fini ha spiegato che "mi recai a Genova per portare la mia solidarietà ai carabinieri" perché "tutto il mondo ha visto che erano stati aggrediti. Mi recai al Comando provinciale dell'Arma e rimasi 6-7 ore là perché a causa delle manifestazioni la città era bloccata. Di quanto accaduto alla Diaz ho appreso come tanti altri il giorno dopo".

E a chi ritiene che si trovasse, nelle ore dell'irruzione alla scuola Diaz, nella centrale operativa della Questura, il presidente della Camera risponde: "Questa è una delle tante fandonie che sono state scritte, diffuse non sono bene da chi e non so per quale ragione. Ero nella caserma dei carabinieri, altro che centrale operativa della Questura". Fine. Nell'intervista si può passare ad altro.

E così la mente ritorna a La Repubblica di luglio-agosto 2001. Ad alcuni articoli che raccontavano un'altra verità. O almeno chiedevano un'altra verità.

Un articolo, firmato Giuseppe D'Avanzo, uscito sul quotidiano del gruppo l'Espresso in data 9 agosto 2001, addirittura in prima pagina, raccontava chi erano "I responsabili di Genova".

Quell'articolo 'attaccava' così: "Dunque, finalmente a tre settimane dalla catastrofe organizzativa di Genova e dalle violenze e pestaggi che hanno coinvolto anche i pacifisti del movimento no global, c' è qualche punto fermo che, sollecitato dall' opinione pubblica, viene ora accettato anche dal capo della polizia, Gianni De Gennaro. Vediamo. Il capo della polizia ammette che le forze dell' ordine si sono abbandonate, in qualche caso, ad "eccessi". Conferma che il lavoro dell' intelligence è stato modesto al punto da non sapere anticipare il numero dei Black bloc in arrivo in Liguria e soprattutto le loro intenzioni e mosse. Gianni De Gennaro ripete che è pronto ad assumersi le sue responsabilità ma soltanto per la parte che lo riguarda direttamente e "non sui fatti per i quali non ha attribuzione da parte della legge". Non era il titolare dell' ordine pubblico a Genova - lo erano il questore e il prefetto - e non intende pagare il prezzo del disastro organizzativo in loro vece".

Quindi, da 'tecnica', l'analisi di D'Avanzo sui responsabili di Genova diventa 'politica'. E non risparmia nessuno, in primis proprio Gianfranco Fini.

"Il ministro dell' Interno Claudio Scajola ha ricostruito in Parlamento i fatti con piglio notarile e burocratico omettendo l' aggressione a chi soggiornava la notte del 21 luglio nelle aule della Diaz e soprattutto gli scientifici pestaggi della caserma Bolzaneto, raccontati poi da Repubblica e da altri. Dopo di allora nemmeno una parola. Ha parlato la maggioranza con toni e argomenti che hanno accentuato ancora di più l' ambiguità del silenzio dell' esecutivo. Può legittimamente Alleanza nazionale con il vestito nuovo di «partito di lotta e di governo» chiedere, come ha fatto ancora ieri, le dimissioni del capo della polizia senza affrontare con leale coerenza le responsabilità politiche del vicepresidente Gianfranco Fini? E' necessario ricordare e ripetere che nei giorni di Genova Gianfranco Fini, presente in prefettura e per alcune ore nella caserma dei carabinieri di Forte San Giuliano, è stato costantemente informato degli
avvenimenti.
E così il ministro di Grazia e Giustizia Castelli, in visita alla «Bolzaneto» fino a poco prima dell' inizio dei pestaggi. E così i parlamentari guidati da Filippo Ascierto (An) che stazionavano nella sala operativa delle forze dell' ordine. Possono costoro dirsi estranei a quanto è accaduto? Possono Fini e Castelli pilatescamente lavarsene le mani?".

Oggi, forse, D'Avanzo avrebbe chiesto: "Può lei, Gianfranco Fini, dire che non sapeva cosa stava avvenendo in quelle ore drammatiche alla scuola Diaz". In fondo, è solo una domanda...

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