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Giovedì, 25 Aprile 2024

Andrea Maggiolo

Giornalista

Ius scholae, quanto è triste chi dice no

Che disastro. Con tempi al rallentatore e primo rinvio alla prossima settimana già sancito, e poi chissà (la pausa estiva incombe), l'Aula della Camera si appresta a esaminare la proposta di legge sullo ius scholae. Ovvero, l'assegnazione della cittadinanza italiana al minore straniero che sia nato in Italia o vi abbia fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età e che abbia risieduto legalmente e senza interruzioni nel nostro Paese, qualora abbia frequentato regolarmente per almeno cinque anni nel territorio nazionale uno o più cicli presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale triennale o quadriennale idonei al conseguimento di una qualifica professionale.

Lo ius scholae, semplifichiamo, è differente dallo ius sanguinis e dallo ius soli. Il primo è il principio attualmente in vigore in Italia per l'acquisizione della cittadinanza: è italiano chi nasce da almeno un genitore in possesso della cittadinanza e ne "eredita il sangue". Gli stranieri, che arrivano nel paese, possono chiedere la cittadinanza per naturalizzazione solo dopo 10 anni di permanenza continuativa sul suolo italiano. I loro figli, invece, devono aspettare il compimento della maggiore età, dimostrando di aver vissuto ininterrottamente qui dalla nascita. Secondo il principio dello ius soli, il diritto di cittadinanza si sostanzia con la nascita sul territorio di uno Stato indipendentemente dalla nazionalità di appartenenza dei genitori. I principali paesi europei (Regno Unito, Germania e Francia) applicano forme modificate di ius soli (oltre alla nascita sul territorio dello stato sono richieste diverse condizioni variabili da stato a stato). Ad applicare lo ius soli sono il Brasile, il Canada, gli USA, e in genere quasi tutti i paesi del continente americano.

La Lega ha già esultato per il rinvio di una settimana della discussione dei provvedimenti su legalizzazione della cannabis e ius scholae, su cui aveva alzato le barricate con Fratelli d'Italia. "Non sono assolutamente la priorità per il nostro paese. La speranza è che vengano totalmente tolti da ogni calendario" ha commentato il deputato leghista Edoardo Ziello. In realtà lo ius scholae sarebbe una risposta, minima e parziale, a una richiesta ampiamente diffusa in ampi settori della società che, anche in questo caso, sono più avanti del legislatore. 

In Italia il dibattito sulla cittadinanza, purtroppo, è di livello infimo, immobile, statico, incancrenito. Come hanno fatto notare vari italiani di seconda generazione, qualcosa è persino cambiato in peggio di recente. Fino a poco fa chi affrontava il tema della cittadinanza lo faceva parlando del concetto di "integrazione" degli stranieri, dei loro figli italiani di seconda generazione, partendo da ciò che più conta nella vita di tutti e di ciascuno: l'integrazione nel tessuto sociale, dunque scuola, lavoro, vita comunitaria. Invece in maniera subdola, la sensazione di chi scrive è che si stia cercando, anche a livello di dibattito politico dalle parti di certa destra, di spostare per ragioni di mero consenso il concetto di integrazione sempre un passo più in là, augurandosi quasi la soppressione nell'identità di un qualunque legame con la cultura di origine delle persone di origine straniera che vivono in Italia (lingua, religione, usi e costumi). Ma "come può il fatto di parlare in casa, con la propria famiglia, un’altra lingua, o di condividere il loro credo, come qualunque altra eredità culturale, rappresentare un ostacolo a una sana integrazione nel tessuto sociale italiano?", si domanda ad esempio in un interessante thread su Twitter Yasmin (@perplimimi).

Siamo uno Stato laico, dove la libertà religiosa e il principio di eguaglianza dei cittadini sono garantiti dai primi articoli della costituzione, ma nonostante ciò la fede cristiano-cattolica e una cultura "occidentale" (termine vago che spesso vuol dire poco o nulla) vengono viste come essenziali per avere la cittadinanza italiana. O almeno, è questo il sentire di una piccola parte di "paese reale" i cui umori la destra nostrana solletica a orologeria. Parlare e conoscere la lingua del paese di origine dei genitori, professare fedi diverse, avere tradizioni e culture differenti è un elemento di ricchezza per un qualsiasi Paese moderno, nonostante le difficoltà che ogni processo di integrazione porta con sé. Altrimenti siamo dalle parti del post-colonialismo, che non può che portare a forme di razzismo vecchie e nuove. 

Ma qualsiasi speranza di un dibattito civile è destinata a svanire. C'è una campagna elettorale che scalda i motori per il voto nella tarda primavera 2023, c'è una destra che sa bene che per vincere dovrà portare alle urne gli elettori a basso reddito che hanno disertato le urne alle comunali (solo il 28% di quella fascia è andato a votare al primo turno delle amministrative, secondo i dati di Tecnè). C'è una parte di popolazione che non si sente realmente rappresentata da nessuno, in difficoltà economica e che può agevolmente essere compattata intorno a un nemico immaginario. Mix esplosivo. Via dunque con le idiozie sulla "sostituzione etnica", "l'immigrazionismo" e le polemiche sul cous-cous. La cittadinanza a bambini nati in Italia da genitori stranieri (piccoli che si sentono italianissimi, che spesso non sono mai andati via dall'Italia dal giorno in cui hanno visto la luce) sarebbe la cosa più normale del mondo.

Invece tra le tante forme di ostruzionismo che la Lega e Fratelli d’Italia hanno messo in campo, oggi come in passato, contro la proposta di legge sullo ius scholae, viene fuori il peggio dell'Italia retriva: emendamenti per negare la cittadinanza ai minori stranieri che non avessero superato l’esame di licenza media o la maturità "con il massimo dei voti", "con valutazione media non inferiore al 9" o "all’8", "a 90/100", "a 85/100" o "a 80/100" (per la serie: o sei un ottimo studente o niente cittadinanza), o addirittura solo a chi ha studiato alle scuole private. Altri ancora che impongono ai richiedenti cittadinanza lo svolgimento di prove scritte o orali "sulle tradizioni popolari più rinomate", "sulle sagre tipiche italiane", "sugli usi e costumi italiani dagli antichi romani a oggi", "sulle festività nelle diverse regioni", "sui prodotti tipici gastronomici italiani", il riassunto sulle canzoni di musica italiana. Propaganda, spazzatura. Da notare poi che nel testo che verrà esaminato dal parlamento, se il ciclo di studi di 5 anni coincide con le elementari non basta la frequenza ma serve la promozione per ottenere la cittadinanza, con tanti saluti ad esempio ai bambini con gravi problemi di apprendimento a cui a volte è preferibile far ripetere la quinta elementare per non catapultarli alle scuole medie. Dettagli minimi, dirà qualcuno, ma significativi. 

Fratelli d'Italia indica anche altre presunte criticità, come il fatto che "con lo ius scholae si consentirà a molte persone che dovrebbero essere espulse, di non poter più essere espulse perché, secondo la nostra legislazione, un parente fino al quarto grado di un italiano non può essere espulso. Per cui si usano i bambini per consentire agevolare una modalità che protegge gli adulti che sbagliano", ha detto a Today Augusta Montaruli. In realtà il ministero dell’Interno potrebbe sempre comunque decidere di espellere un genitore convivente con il minore diventato cittadino italiano "per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato". In ogni caso si potrebbe pure discutere su questo punto e trovare una soluzione chiara e generale, ma è Fdi stessa a non volerlo fare, e a voler usare il tema della cittadinanza per buttarla in caciara: la destra chiede solo di cancellare la proposta di legge sulla cittadinanza dal calendario, punto e basta, e chi s'è visto s'è visto.

E' la politica italiana, bellezza. Non uno spettacolo di cui andare orgogliosi. Quando in parlamento viene presentata una proposta di legge sulla cittadinanza, spunta sempre qualcuno per cui "non è il momento adatto". Sarebbe più onesto che gli oppositori dello ius scholae dicessero apertamente che non vogliono parità di diritti tra ragazzi nati in Italia, a prescindere dalla nazionalità dei genitori. Lo ius scholae sarebbe un passo avanti minimo, doveroso. Invece, nel 2022, c'è ancora chi ha paura che dei ragazzini che vivono e studiano in Italia possano "inquinare" la nostra identità nazionale. Non concedere diritti al dieci per cento degli alunni che frequentano le scuole italiane: in tutto 870mila bambini e ragazzini. Di questo parliamo, e in fondo che uno dei tanti problemi nostrani sia l'assenza di una destra moderna e "normale", affrancatasi sul serio dalle pulsioni più retrograde, non è un segreto. E chi dice "occupatevi dei milioni di bambini italiani che non hanno un futuro", nemmeno si rende conto che più diritti minimi per tutti sarebbe la base per una società più giusta, solidale e meno divisiva. 

In Germania la riforma che una ventina di anni fa ha introdotto lo ius soli al posto del precedente ius sanguinis ha portato all'attenzione generale un interessante caso di studio. I risultati del caso tedesco mostrano che l’acquisizione della cittadinanza esercita un effetto positivo sulle performances scolastiche dei minori stranieri, riduce il loro tasso di abbandono e aumenta le probabilità di intraprendere percorsi di istruzione propedeutici alla frequenza universitaria. Se il semplice fatto di riconoscere agli stranieri che sono cresciuti nel sistema scolastico italiano la possibilità di diventare cittadini e parte attiva della società in cui vivono, e di cui non vogliono né possono essere considerati semplici ospiti, sembra una chimera, c'è poco da star sereni. Una maggioranza favorevole allo ius scholae in questo parlamento probabilmente non c'è. Che la campagna elettorale nazionale senz'altro più brutta della storia della Repubblica abbia inizio, all'insegna dello "strumentalizzare ogni tema per un voto in più": auguri a tutti noi. Per una parte del mondo politico italiano è normale che, di due bambini nati nello stesso ospedale, cresciuti nello stesso quartiere giocando nella stessa squadretta di calcio, studiando nella stessa scuola, uno sia italiano e uno no. Intanto il mondo va avanti, e l'Italia resta dov'è. Troppo spesso un passo indietro.

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