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Venerdì, 29 Marzo 2024
Legge elettorale

Legge elettorale, ecco cosa sta succedendo in Parlamento

L'aria del Parlamento regala forza alle "correntine" del Pd, Forza Italia lotta ancora coi falchi e i grillini si "suicidano": in Aula vince il caos

Se Giorgio Sorial, deputato del M5S, ha strappato il titolo con quel “boia” rivolto al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (a cui è arrivata la solidarietà bipartisan), la domanda sorge spontanea: quanto è alta la ‘febbre’ in Parlamento? Siamo nel bel mezzo di una crisi di nervi o si tratta dell’ordinaria amministrazione? Proviamo a metter il termometro sotto braccio alla politica. Partendo da due premesse. La prima: quella sorta di anomalia storica che vede i tre leader delle maggiori forze parlamentari – Renzi, Berlusconi e Grillo – fuori dal ‘palazzo’, dal Parlamento appunto. Con tutti i risvolti del caso, compresa la ‘sopravvivenza’ in aula. La seconda: il dibattito imperante sulla riforma della legge elettorale. Non inteso nel merito o nel metodo, ma nelle dinamiche che ha promosso o negato all’interno dei partiti.

PD, PRIMA RENZI POI IL PARTITO – Nel Pd campione di correntismo, la mutevolezza delle posizioni è di casa (vedi il nodo preferenze, con i no di prima che sono diventati i sì di oggi e viceversa). È la politica e ha le sue regole. Tuttavia, due mesi dopo le primarie il rumore è cominciato a rastremarsi verso l’alto. C’è il Partito democratico con Renzi e di Renzi e ce n’è uno contro, la minoranza. Che in direzione e in assemblea nazionale praticamente non esiste, ma che ritrova forza in Parlamento. Lì, assieme ai filorenziani ci sono diversi deputati e senatori della “ditta” Bersani, quelli eletti un anno fa e che con la rottamazione non c’entrano niente. I numeri non tornano e Renzi “non vuol bastoni tra le ruote”. Per questo ha alzato la voce: alla minaccia ‘o questa minestra o fuori dalla finestra’ – “o la riforma o la fine della legislatura” –, il mare in burrasca si è subito calmato. Calmo e appiattito sulla figura del segretario. Anche perché, in caso di chiamata alle urne nel breve, la vecchia guardia del Pd potrebbe correre il rischio di restar fuori (se si confermasse il trend delle primarie, ‘parlamentarie’ o meno). Il processo riformatore, invece, potrebbe allungare la vita della legislatura almeno di un anno e mezzo. Nel frattempo Renzi, a meno che non frani il governo Letta (ipotesi sempre dietro l’angolo, spesso a giorni alterni) e se non si farà “ingabbiare” dalle cucine della politica o delle “stanche liturgie”, allenerà il Pd  e “partitini” agli aut-aut secchi e alla filosofia dell’uomo solo al comando.

FI: UN CAPO ALLA DISPERATA RICERCA DI RENZI – Se il Pd ha forzatamente ritrovato l’unità, in Forza Italia è di nuovo il tempo dei ‘falchi e delle colombe’. Anzi, visto che sono tutti ‘falchi’, è il tempo della guerra di Arcore. Sembrava ci fosse di mezzo Renzi. E invece, nella giornata di ieri, anche se un po’ di freddo polare c’è stato (Renzi: “Se qualcuno vuole far saltare tutto, lo faccia a viso aperto e lo spieghi al Paese”), è stata diffusa la velina di fitti e costanti colloqui tra il segretario e il cavaliere. Telefonate (due ieri) tra padri della riforma e accordo vicinissimo, visto che la partita dell’Italicum potrebbe chiudersi sulla soglia del 37% di consensi per accedere al premio di maggioranza (Renzi: “Siamo a un passo”). E tuttavia la faccenda, finché non è stata sbloccata da Silvio in persona, si era parecchio impastata e rischiava la notte profonda. Sì, perché, prima del patto del cellulare che ha azzittito le animosità, i fedelissimi del Cav si sono ‘scannati’ per bene. Verdini che tratta con Renzi sulla soglia del premio di maggioranza. Comincia a circolare la convergenza sul 38%. Poi il dietrofront. Le “smentite ufficiali” prima di Brunetta, poi della Santanchè. Che è successo? C’è che in Fi l’aria è sempre più spessa. Per via di una scelta improvvisa, quella ricaduta su Giovanni Toti, ex direttore di Tg4 e Studio Aperto, come gran consigliere del Cav. Che ha ipotizzato un governo Renzi-Berlusconi come soluzione all’impasse sull’Italicum; idea stroncata da Romani, sempre all’insegna del buon per la pace, perché “non è all’ordine del giorno”. E che da giornalista ha dato subito il titolo ai colleghi annunciando la nuova strategia di ‘Silvio’: “Aria fresca”. Che, se non è un riferimento esplicito ad un vecchio programma televisivo di Carlo Conti e Giorgio Panariello, potrebbe far pensare ad una rivoluzione copernicana dell’establishment di Forza Italia. Con qualche testa che potrebbe saltare. Da qui il nervosismo palpabile che potrebbe sfociare, a breve, nella resa dei conti – finale – tra le mura di Arcore e Palazzo Grazioli. Attenzione, la ‘Guerra dei Bondi’ ancora non è scattata. È bene non creare allarmismi. Siamo alle prime schermaglie, quelle che arrivano quando il ‘padrone’ vuol cercare tra i suoi un volto buono per l’ultima battaglia elettorale e non lo trova. Un Renzi di destra, giovane, brillante, a cui non scomoderebbe prestargli il cognome nel simbolo. Un capo senza eredi e senza “Tu quoque, Brute, fili mi!”

M5S, PRIGIONIERI DI UN CAPITOLO A PARTE – Il Movimento 5 Stelle la scorsa primavera ha perso il treno del governo. Intendiamoci, allora non era obbligato a salirci. E tuttavia, in quella occasione, si è capito che prima dell’Italia parlamentare, quella dei demeriti, ci sarebbe stata quella dei 5 Stelle. E pace se i meriti dei secondi avrebbero colmato i demeriti dei primi, a vantaggio del sistema Paese. No, Grillo si è voluto prendere l’esclusiva dei meriti. Ha preso il brevetto della ragione-ragioni e ha chiuso a doppia mandata il compartimento stagno. Risultato? Il Movimento è sull’orlo di una crisi di nervi. Sorial che da del “boia” a Napolitano e conferma le parola di Grillo: “Presto l’impeachment” a un Capo dello Stato reo di un “colpettino di Stato”. Impeachment a cui i legali del Movimento, stando alle parole di Grillo, starebbero lavorando alacremente. Il condizionale è d’obbligo visto che sono mesi che il leader ne parla ma ancora non si è vista una carta. Va bene “la complessità” del caso, ma alla lunga qualcuno la potrebbe prendere come una mossa propagandistica-elettorale; ad affetto, da tirar fuori sotto le elezioni europee. Ora, la libertà è sacra ed ognuno si muove come meglio crede (treni persi e ipotesi di governo sfumate comprese). Il fatto è che i 5 Stelle sembrano prigionieri di se stessi. I grillini in Parlamento danno battaglia sugli F-35, su Bankitalia, sul finanziamento ai partiti, sul reddito di cittadinanza. Ma non bucano più e la colpa è sempre della stampa, tutta cattiva, di regime. Un vecchio ritornello, smentito dai fatti: come è possibile un così largo successo prima, ottenuto dentro l’accusa antica (evidentemente propagandistica), e ora questa nuova improvvisa costante premura sul tema. “Non ve lo diranno mai” è oramai il ritornello acchiappa click più utilizzato da Grillo su Facebook. Come se il blog, il suo, fosse il solo sacro custode della verità. Eppure se l’accusa era vera prima e il Movimento ha spopolato, alle europee o alle politiche, lo stesso scacchiare di merito dovrebbe portare gli stessi risultati. Eppure la riconferma appare lontana. La sensazione è che i grillini abbiano perso il filo. E che quel buono che fanno sia inficiato da un immobilismo quasi autistico della struttura verticistica. Da quei post spacca pomeriggi, da quelle sparate sul blog che oscurano il lavoro di fino e ‘di gomito’ in Aula e nelle commissioni. Così sulla Tav, per dire. Così sulla legge elettorale: nei giorni più caldi della trattativa post ‘Porcellum’, il grillismo si è rifugiato su una consultazione, l’ennesima, tra il collegio uninominale, collegio unico nazionale o collegio intermedio. Nove ore per esprimere la preferenza, dalle 10 alle 19, poi il verdetto dei pochi che condizionerà la volontà di tutti. Parlamentari compresi, che nella sostanza, al netto delle sottrazioni per via del premio di maggioranza, rappresentano quasi nove milioni di voti. Democrazia 2.0? No, così la discussione rimane ingessata in una logica che assomiglia sempre più ad una gabbia sprovvista, tuttavia, della sfera di cristallo. La purezza, quando è sterile, si secca nel fine a se stessi.

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