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Venerdì, 29 Marzo 2024
Legge elettorale

Matteo, Silvio e il Pd: il cerchio ora è quadrato (ma a che prezzo!)

Proporzionale monocamerale con soglia di sbarramento numerale e premio di maggioranza alla coalizione che supererà il 35% dei voti. Doppio turno, piccole circoscrizioni e mini liste bloccate. Sembra uno sketch da "Amici miei", è la legge elettorale di Renzi e Berlusconi

Prima la morale, poi il lavoro. Anzi la morale subito e intanto, altrettanto subito ma con tempi un po’ più lunghi, il lavoro. Che roba è? Si tratta del piano Renzi. Vecchia vicenda, in Italia, la questione morale. Il primo a sollevare il caso fu Berlinguer da segretario del Partito comunista all’interno di una celebre intervista rilasciata ad Eugenio Scalfari. Tanto vecchia da diventar letteratura, tanto semplice da essere vera. L’idea: quella di un politico santo, una sorta di frate laico. Così autorevole da essere autorizzato a chiedere agli italiani ‘cose’ come sacrifici.

2014, gennaio. La questione è sempre lì, con un aggravante: si è fatta mitologica, utopia, visto che se qualcuno avesse lo stomaco di raccogliere e mettere insieme gli scandali pubblici degli ultimi venti anni non basterebbe la Treccani.

Per questo il sindaco di Firenze, da segretario del Pd, ha voluto ripartire da qui. Dare credibilità nuova alle istituzioni, non una semplice rimbiancata. Così ha sì lanciato la riforma del lavoro, da fare in otto mesi, un annetto al massimo, ma ha accelerato e stretto sulla legge elettorale. E più in generale sul pacchetto di riforme costituzionali: abolizione del Senato, quindi l’approdo monocamerale e la fine del bicameralismo perfetto, la riforma del titolo V della Costituzione, la potatura delle province, la semplificazione del ruolo delle Regioni (con energia, turismo, e grandi reti che ritornerebbero in mano dello Stato). Il tutto per un risparmio di un miliardo sul costo della politica. “Un accordo trasparente, alla luce del sole, per ridare credibilità alla politica. Per recuperare la dignità perduta”. Perché senza quella credibilità, secondo Matteo, verrebbero male le riforme, Jobs Act compreso.

Quindi, messo in campo il pacchetto credibilità, ha spinto per chiudere la pratica nel giro di un mesetto. Ha incontrato tutti, ha incontrato Berlusconi, in casa, al Nazareno, nella sede del Pd. Con Fassina “che si è vergognato” e chi, in quell’incontro, ci ha visto la pietra angolare della Terza Repubblica. Piccola postilla: di riforme costituzionali, con Berlusconi, si parla da vent’anni. Vi ricordate la Bicamerale di Massimo D’Alema? E andando ancora più indietro, prima di Berlusconi, prima di Tangentopoli, di restyling istituzionale si discute dall’inizio degli anni ’80.

LEGGE ELETTORALE – Fatto il preambolo, il merito della faccenda. I punti su cui si strutturerà la riforma del marchingegno elettorale. Quello in sostanza che Renzi ha concordato con il Cavaliere e ha mediato con Alfano. Un quarto modello. Sì perché c’era il sindaco d’Italia, il Mattarellum rivisto e lo spagnolo. Ha vinto il quarto, ‘l’Italicum’ (a cui un po’ ha lavorato Verdini, un po’ il fido professor D’Alimonte).

Per punti, quelli enunciati da Renzi quest’oggi:

- Un proporzionale monocamerale con soglia di sbarramento modulare: per oltrepassare la soglia della Camera i partiti dovranno oltrepassare il 5% se coalizzati, l’8% se correranno da soli, il 12% le coalizioni.

- Governabilità assicurata dal premio di maggioranza alla coalizione che supererà il 35%, con i seggi di maggioranza che oscilleranno tra il 53% al minimo e il 55% al massimo. Il premio dunque non oltrepasserà il “18%”.

- Doppio turno, quindi ballottaggio, nel caso in cui nessuna coalizione o partito raggiunga la soglia del 35% dei consensi: “Non tra due candidati premier ma tra due coalizioni, simboli o agglomerati di simboli che senza apparentamento rigiochino la partita di fronte agli elettori”.

- Piccole circoscrizioni e mini liste bloccate, formate da pochi nomi, cinque, sei al massimo. Senza preferenze, il che, tuttavia, non va a collidere con la posizione della Corte Costituzionali che non ha cassato le liste bloccate in sé, ma ha stabilito un principio di chiarezza: i candidati devono essere facilmente individuati dagli elettori. Per questo nell’accordo è stato accorciato il contenitore, i posti all’interno delle liste di circoscrizione. E tuttavia, Renzi, ha piantato, in ottica Pd, due paletti: “Se toccherà a me due sono gli impegni: le primarie e il vincolo assoluto della rappresentanza di genere”.

RENZI IN DIREZIONE – “Dopo poco più di un mese – ha detto il segretario al Nazareno – il Pd dice agli italiani: questa è una proposta concreta che si può realizzare con tempi certi”. E ancora, sempre sul tema delle riforme, perché il "pacchetto" sta in piedi nella sua interezza: “Il 15 febbraio la segreteria andrà a chiudere sul superamento del Senato e avremo 20 giorni per discutere con altri partiti. Nella seconda metà di febbraio presenteremo il ddl costituzionale per arrivare all’ok in prima lettura al Senato entro il 25 maggio”. Da qui l’annuncio: “Oggi noi diciamo ‘ciao-ciao’ alla prima Repubblica, alla voglia di ritorno al passato, che c’era anche tra di noi”. E l’avvertimento: “Chi pensasse in Parlamento di intervenire a modificare qualcosa, manda all'aria tutto, incluso titolo V e riforma costituzionale. L’Italicum consente al Pd di potersi giocare la partita per il governo. E non esclude le alleanze, quelle però per governare e non solo per vincere”.

BERLUSCONI – L’accordo in sostanza punta deciso ad un rafforzamento del bicameralismo ed è “a vocazione maggioritaria, che non nego e a cui non rinuncio”. Ma prima ancora il dietro le quinte. E la politica dei sassolini sulle scarpe. Partendo da Berlusconi e dalle polemiche per quell’invito in sede: “Sintonia piena”, l’aveva già detto sabato. “Gratitudine” per aver accettato l’invito, l’ha detto oggi. E ancora: “Con chi avrei dovuto parlare, con Dudù? Non ho resuscitato Berlusconi, cosa che fa a cozzi con la teologia. E’ evidente che Berlusconi è il capo del centrodestra, riconosciuto da chi sta in alleanza con lui in tutte le città. Posso non pensarla come Berlusconi ma quando lui condivide le mie idee io non ho paura, non sono subalterno al punto da cambiare le mie idee. Le regole si fanno insieme, se ci mettiamo d’accordo su questo poi sarà più semplice affrontare i nodi del Jobs Act”.

Renzi lo ringrazia, Berlusconi, nel tardo pomeriggio, gli fa una carezza: “Esprimo sincero e pieno apprezzamento per l’intervento del segretario del Pd Matteo Renzi alla direzione del suo partito, che ha rappresentato in modo chiaro e corretto il contenuto dell’intesa che abbiamo raggiunto. Vogliamo realizzare, in un clima di chiarezza e di rispetto reciproco, un limpido sistema bipolare”.

GOVERNO – Sussulti a Palazzo Chigi? Diversi. E paradossali. L’accordo Renzi - Berlusconi da fiato al progetto Letta perché, in definitiva, ha estromesso il premier dal dibattito in corso. Questa sorta di piattaforma programmatica sulle riforme, parallela e altra alla maggioranza di governo, ha bisogno infatti di tempi certi e di vincoli (la riforma elettorale in discussione non sta in piedi senza l'abolizione del Senato). Ed è proprio dentro a questi tempi, e nel vincolo stretto tra Matteo e Silvio, che Letta proverà a sopravvivere. Letta, o come si augura Alfano, un Letta bis. Insomma, semplificando ma non troppo, da oggi ci saranno due badanti esterni che veglieranno su Palazzo Chigi: Renzi e Berlusconi. E Letta durerà se non tradirà il patto che il suo segretario ha siglato con il Cavaliere.

VOTO – Alla fine di questa lunga giornata la direzione del Pd, al netto dei battibecchi tra Cuperlo e il sindaco sulle preferenze (“Funziona così un partito? Io spero di no. E credo di no”; e il segretario: “La tua critica non è accettabile visto che sei passato dal listino, non l’accetto”), ha approvato l’accordo con il Cav con 111 favorevoli, 34 astenuti e nessun voto contrario.

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