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Mercoledì, 24 Aprile 2024

Charlotte Matteini

Opinionista

Per Letta è sempre colpa degli altri

Giorgia Meloni ha vinto, Enrico Letta e Matteo Salvini sono i conclamati sconfitti, Giuseppe Conte è riuscito nell’impresa di resuscitare i resti di un M5S post-scissione dato per morto fino a poche settimane fa e l’agenda Draghi non scalda granché i cuori degli elettori italiani. Questo, in breve, è il riassunto del risultato restituito dalle urne. Fratelli d’Italia si attesta come primo partito e, sebbene il Pd possa vantare la seconda posizione, il risultato portato a casa dal segretario dem è uno dei peggiori della storia recente.

Dopo un’intera nottata e un’intera mattinata trascorse fingendosi morto, Enrico Letta apre la conferenza stampa dicendo di assumersi le responsabilità della sconfitta, ma passa tutto il tempo ad attribuire più colpe agli avversari e alla guerra in Ucraina che a se stesso. Su tutti Giuseppe Conte, reo di aver fatto cadere il Governo Draghi, e Carlo Calenda, il fuoco amico che ha contribuito a far perdere il collegio di Roma Centro a Emma Bonino. Nonostante ciò, annuncia l’intenzione di recuperare i rapporti con i partiti di opposizione per non fare ulteriori regali a Giorgia Meloni e al centrodestra. Un’illuminazione, peccato arrivi ormai fuori tempo massimo.

Pd: una pessima strategia elettorale

Il risultato del Partito Democratico è senza ombra di dubbio figlio della pessima strategia elettorale messa in piedi dal segretario dem, incaponitosi sulla creazione di alleanze e grotteschi diritti di tribuna che non hanno minimamente pagato in termini elettorali e che, anzi, sembrano aver contribuito a drenare consensi al partito, portando il Pd al di sotto del 20% e a perdere in quasi tutti i collegi uninominali. “Votate per noi, altrimenti vince la destra”, con queste sette parole potremmo facilmente riassumere la campagna elettorale del Partito Democratico. Una campagna elettorale per nulla innovativa, combattuta elemosinando il sempreverde “voto utile” e carente verve politica e di proposte concrete. Non ha pagato, stranamente. Così come non hanno pagato la figuraccia mondiale dell’alleanza con Carlo Calenda di inizio agosto, durata come un gatto in tangenziale, e l’insensato accordo elettorale con Impegno Civico dell’ormai ex parlamentare Luigi Di Maio, che è riuscito a perdere nel collegio blindato di Napoli Fuorigrotta contro l’ex ministro Sergio Costa del Movimento 5 Stelle e a non arrivare nemmeno a raccogliere l’1% dei voti necessari alla sopravvivenza parlamentare della lista.

Di collegi uninominali pesanti il Pd ne ha persi molti, dimostrazione plastica del fatto che il problema più evidente per la classe dirigente dem è proprio la classe dirigente stessa, ormai scollata dalla propria base elettorale sul territorio. Il Partito Democratico è andato molto bene solamente nei centri storici delle grandi città e malissimo nei territori più periferici dove Meloni e alleati hanno sbancato, segno che il partito è ormai percepito come una struttura più vicina a quella parte più elitaria e benestante dell’elettorato.

Dov'è la sinistra?

Da anni, ormai, a ogni tornata elettorale gli analisti segnalano che il Partito Democratico non è più sentito come un movimento “di sinistra” vicino alle problematiche dei lavoratori e della parte più fragile del Paese, un partito non più in grado di parlare a quel pezzo di Paese disilluso e in cerca di una rappresentanza. Un’offerta politica che anche questa volta è venuta pesantemente a mancare, e a certificarlo è quel drammatico 63,9% di affluenza che determina la più alta percentuale di astensionisti della storia della Repubblica Italiana alle elezioni politiche. Negli ultimi anni la percentuale di non votanti è sempre cresciuta, ma questa volta l’incremento assoluto e temporale è troppo pesante per essere ignorato: il 10% in più rispetto a solo quattro anni fa, una catastrofe di proporzioni epiche. Non sono fantasmi e nemmeno un plotone di ignoranti egoisti che non hanno a cuore il Paese questi elettori, sono milioni di persone che, sconfortate e deluse da una classe politica incapace di mantenere programmi e promesse, hanno deciso di non recarsi più alle urne e di non scegliere il classico “meno peggio”. E di questo tragico dato dovranno tenere conto anche i vincitori alle urne.

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