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Martedì, 16 Aprile 2024
Politica

Manovra, stallo sulle coperture: il governo rispolvera le 'forbici'

Per superare l'impasse tra Di Maio e il ministro dell'Economia Tria per realizzare reddito di cittadinanza e flat tax, Lega e M5S stanno pensando di riproporre la spending review

Le coperture economiche per attuare le misure promesse da Lega e M5S, flat tax e reddito di cittadinanza su tutte, continuano ad essere il vero scoglio verso la legge di Bilancio. Per provare a superare l'impasse tra Salvini, Di Maio e il ministro dell'Economia Tria, il governo sta pensando di giocare la carta della 'spending review', una 'vecchia' arma usata in passato per combattere gli sprechi nelle spesa pubblica. Un tema rispolverato a più riprese dagli esecutivi precedenti, ma che ha spesso dimostrato la veridicità del detto “tra il dire e il fare c'è di mezzo un mare”. 

Una scappatoia utile soprattutto al M5S che rischia di soccombere nel braccio di ferro con il ministro dell’Economia Giovanni Tria che non sembra disposto a cedere sul deficit. La soluzione di puntare sulla spending review è venuta fuori al termine di un sofferto vertice a palazzo Chigi fra i principali attori della messa a punto della prossima legge di bilancio. Un modo, anche elegante, per prendere tempo e cercare di tenere a bada l’alta tensione all’interno del governo del cambiamento, che se non gestita potrebbe mettere a rischio la sopravvivenza stessa dell’esecutivo. Strategia rilanciata anche dal viceministro Massimo Garavaglia che ha riferito che nell’individuazione delle coperture si punterà su una spending review “seria, puntuale e non lineare”. Lo stesso Di Maio ha dichiarato pubblicamente che la manovra deve vedere il governo “con in mano un paio di forbici e che cominci a tagliare tutto quello che non serve”.

La spending review di Cottarelli

Un’espressione che non può non far tornare alla mente Carlo Cottarelli, ribattezzato mister Forbici dalla stampa, l’economista incaricato da Enrico Letta di combattere gli sprechi nella pubblica amministrazione. Battaglia, come sappiamo, per lo più persa. Solo una piccola parte del piano è stata attuata: circa 8-10 miliardi rispetto ai 34 miliardi di risparmi proposti racchiusi nelle 72 slide del 18 marzo 2014. 

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Nel corposo dossier lasciato in eredità dal Commissario si includevano, tra le altre voci, tagli alla spesa per beni e servizi della Pa, agli stipendi dei dirigenti pubblici, alle consulenze e auto blu, sforbiciata alle sedi periferiche dello Stato, alle prefetture, alle provincie e agli enti pubblici, chiusura delle partecipate inutili. Risparmi su tutto: dai costi della politica fino all’illuminazione pubblica. Un progetto mastodontico rimasto però nel cassetto e archiviato, almeno fino a ieri, definitivamente dopo la fumata nera sull’incarico a premier per lo stesso Cottarelli. 

Non miglior sorte è toccata al piano del successore Yoram Gutgeld – chiamato da Matteo Renzi dopo aver dato il benservito a Cottarelli – che aveva preventivato un risparmio sulla spesa dello Stato di quasi 30 miliardi di euro. Risparmi che si sono rivelati in buona parte finti perché ‘girati’ su altre voci di spesa, come il finanziamento dei servizi essenziali. Il ‘trucco’ era quello di non considerare l’incremento delle uscite che nei fatti vanificava i tagli: se si risparmia da una parte ma si spende più dall’altra, è tutto inutile. Torna alla carica adesso anche l’esecutivo giallo-verde, in evidente difficoltà nella caccia alle risorse per coprire l’avvio delle tre riforme ritenute prioritarie: pensioni, flat tax e reddito di cittadinanza. 

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I rischi della 'sforbiciata'

Il rischio, però, è che ancora una volta la montagna partorisca un topolino. Secondo quanto riferiscono fonti della maggioranza, infatti, dalla nuova sforbiciata alla spesa non si potranno incassare più di 3-6 miliardi di euro. Una cifra troppo esigua per coprire i numeri stratosferici della manovra in cantiere con voci in uscita che sfiorano i 42 miliardi di euro. Basti soltanto guardare alle partite a cui i due alleati di governo non vogliono rinunciare: l’avvio della flat tax costa circa 3-4 miliardi, per il reddito di cittadinanza servono altri 10 miliardi a seconda di come si attua, e ancora 6-8 miliardi per riformare la legge Fornero. Prima di tutto però occorre trovare necessariamente 3 miliardi per finanziare le spese non rinviabili, altri 12,5 miliardi per sterilizzare le clausole di salvaguardia che pesano come una spada di Damocle, e ancora almeno 4 miliardi per le spese aggiuntive per gli interessi sul debito. Tra le coperture, oltre ai tagli alla spesa, si lavora alla cosiddetta pace fiscale (al centro di numerose polemiche) da cui si conta di incassare altri 6-8 miliardi, dalle pensioni d’oro arriverà soltanto mezzo miliardo ma si tratta di una misura che ha un peso più che numerico soprattutto simbolico e politico.

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Last but not least, il nodo deficit su cui si sta consumando lo scontro con il Tesoro. Tria vorrebbe non spostare l’asticella del rapporto deficit-Pil oltre l’1,6-1,7% nel 2019 recuperando così più o meno 15 miliardi. Ma Salvini e Di Maio tirano la corda perché ogni punto percentuale in più (l’ipotesi del 3% è ormai stata scartata da tempo ma i due leader punterebbero volentieri al 2%) sono risorse aggiuntive per realizzare pezzetti di promesse elettorali e archiviare la tanto contestata politica del rigore in voga negli ultimi anni. Ed è proprio Luigi Di Maio quello che in questo momento ha più da perdere dal varo di una manovra rigorosa. Mentre l’alleato sta raccogliendo i frutti della propaganda sull’immigrazione, il Movimento perde consensi e la partita sul reddito di cittadinanza diventa cruciale per il suo stesso destino.

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