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Venerdì, 29 Marzo 2024

E' morto Charles Jenkins, il disertore americano fuggito in Corea del Nord

Sposò Hitomi Soga, rapita dalle spie nordcoreane. La sua storia, all'epoca, fece scalpore

Disertore, prigioniero, attore, padre di famiglia. Charles Jenkins ha avuto una vita da raccontare. L’ex soldato americano che fuggì in Corea del Nord perché stanco di fare pattuglie e timoroso di essere spedito in Vietnam, che sposò poi una donna giapponese rapita dagli agenti nordcoreani e che, infine, riuscì a riparare in Giappone con l’intera famiglia, è morto ieri per attacco di cuore all’età di 77 anni. La moglie, Hitomi Soga, ha detto di essere “molto sorpresa” dal decesso del marito e di “non riuscire a pensare nulla”. Jenkins viveva con la famiglia nell’isola di Sado, dopo essere stato liberato nel 2006 dal regime di Pyongyang assieme alle due figlie. Jenkins ha raccontato la sua rocambolesca vita in un libro: “The Reluctant Communist”.

Nel 1965, a 24 anni, disertò e riparò in Corea del Nord. Lì fu preso sotto il controllo del regime, assieme ad altri tre disertori americani, che furono prevalentemente utilizzati come “cattivi” nei film di propaganda di Pyongyang. Tra questi John Dresnok, morto in Nordcorea lo scorso anno secondo i due figli che vivono ancora sotto il regime di Kim Jong Un. Anche Dresnok fu fatto sposare con una donna rapita: la pittrice romena Doina Bumbea, attirata nel paese asiatico con l’inganno mentre viveva a Roma e morta 25 anni fa. I quattro disertori condussero una difficile convivenza e furono sottoposti a un serrato indottrinamento da parte dei loro “controllori” alle teorie di Kim Il Sung. Queste sedute ideologiche erano spesso noiose e ripetitive in maniera ossessiva, talvolta delle vere e proprie torture psicologiche. Le condizioni di vita, tuttavia, erano migliori rispetto a quelle dei normali nordcoreani, con razioni di cibo più ricche.

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Nel 1980 a Jenkins fu data in moglie Hitomi Soga, una dei tanti giapponesi rapiti dalla Corea del Nord con scopi diversi, tra i quali quello d’insegnare la lingua e il modo di vita nipponico alle spie nordcoreane. Con Hitomi, Jenkins fece due figlie: Mika e Brinda. Nel 2002, Hitomi Soga fu restituita al Giappone assieme ad altri quattro rapiti. Cominciò così una difficile trattativa per consentire che anche le figlie e lo stesso Jenkins potessero lasciare la Corea del Nord. La cosa fu possibile solo dopo due anni, quando Jenkins e le bambine – che erano state educate in Corea del Nord e non sapevano nulla del mondo esterno – poterono riparare in Giappone attraverso un paese terzo. Da allora Charles Jenkins condusse una vita tranquilla nell’isola di Sado, da dove proveniva la moglie che era stata rapita assieme alla madre di cui non s’è saputo più nulla.

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L’unico timore, espresso dallo stesso ex soldato Usa, era quello che Pyongyang volesse vederlo morto. Anche le autorità militari Usa, alle quali si consegnò al suo arrivo in Giappone, non infierirono su di lui, condannandolo solo a 30 giorni di prigione. La vicenda dei rapiti giapponesi da parte degli agenti nordcoreani ha avuto una nuova notorietà dopo che quest’anno, su impulso del premier nipponico Shinzo Abe, il presidente Usa Donald Trump ha sollevato la questione di Megumi Yokota – che fu sequestrata nel 1977 a 13 anni di età e di cui non si conosce la sorte ancora oggi – e degli altri rapiti, anche incontrando le famiglie durante il suo recente viaggio in Giappone e in Asia. Per Tokyo il problema dei rapiti è particolarmente rilevante: la sua soluzione è una precondizione per qualsiasi accordo con Pyongyang.

Vita quotidiana nella Corea di Kim Jong-Un (Ansa)

Fonte: Time.com →
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