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Giovedì, 25 Aprile 2024
Il dopo Letta

Pd, una poltrona per due: chi sono i favoriti per la segreteria

Letta passa la mano: "Tocca a una nuova generazione". Bonaccini e Schlein in rampa di lancio, ma prima servirà un dibattito interno franco: perdere in Emilia-Romagna 10 collegi su 16 e in Toscana 10 su 13 è un'umiliazione impensabile fino a qualche anno fa

Enrico Letta passa la mano. Il risultato deludente del Pd, come previsto, porterà ad un cambio di classe dirigente. Dopo il 19 per cento alle urne e la sconfitta elettorale (tra l'altro ampiamente prevista) l'attuale segretario dem non si nasconde dietro vecchie formule politiche e lo dice chiaramente: "Assicurerò la guida del partito nelle prossime settimane verso il congresso al quale non mi ripresento candidato, tocca ad una nuova generazione". Un percorso "ordinato" verso il congresso che si terrà a marzo 2023 (ma in realtà è iniziato ufficiosamente alle 23.01 di domenica). Letta considera raggiunto "l'obiettivo di tenere il Pd unito, ma non quello di fermare la destra". Addossa la colpa di quanto successo a Conte, ammette che il Pd tornerà a dialogare con il M5s, "ma saranno altri a dover gestire tutto ciò e il fatto che non sia io può agevolare".

Perdere in Emilia-Romagna dieci collegi uninominali su sedici e in Toscana dieci su tredici è un’umiliazione impensabile fino a qualche anno fa. Ripartire sarà molto complicato. 

"Bene ha fatto Letta ad indicare la strada che tutti insieme percorreremo nelle prossime settimane verso il Congresso che dovrà essere, ora più che mai, il momento per discutere della nostra identità e della nostra funzione al servizio del Paese", è la posizione espressa da fonti di Base riformista, la corrente Dem guidata da Lorenzo Guerini e Luca Lotti. Il congresso "non sia uno scontro sui nomi, che non interessa a nessuno e non risolve nulla, ma un confronto di idee per un vero rinnovamento e rilancio del Pd", scrive sui social Laura Boldrini, rieletta deputata del Pd. Il successore di Letta chi sarà, dunque? Sono solo due i candidati forti, ed entrambi provengono da quell'Emilia-Romagna che è rimasto l'unico vero grande bastione dem, grandi città a parte (e nemmeno tutte). 

A scaldare i motori per la futura guida del partito ci sarebbe Stefano Bonaccini, il "favorito" forse, attuale presidente dell'Emilia Romagna, uno dei nomi di punta di Base riformista, la corrente guidata dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini. Bonaccini non ha mai fatto mistero della sua ambizione, ma che oggi alla luce della sconfitta alle elezioni ha spiegato che il Pd adesso "non ha bisogno di ripartire dai nomi e dai cognomi: ognuno di noi farà la sua parte, ma non è oggi il momento di ripartire con una discussione" sui nomi. Prima dei nomi occorre discutere dei contenuti e "prima delle alleanze", capire "quale identità e quale profilo si vuole dare". Pretattica.

L'altra candidata è Elly Schlein, che però non è iscritta al Pd: 37 anni, ex europarlamentare, oggi vice-governatrice proprio di Bonaccini, candidata indipendente inserita in lista alle ultime politiche. Viene identificata da molti come un punto di riferimento per l'area più a sinistra e che ha già avvisato che dopo il voto bisogna ricominciare a dialogare con il M5s. La vicepresidente di quella regione, l'Emilia Romagna, ultima e unica roccaforte democratica alla luce dei risultati di queste elezioni, potrebbe avere anche il sostegno di Letta che l'ha voluta coinvolgere già nella campagna elettorale.  C’è chi la ritiene fra i pochi nomi spendibili per recuperare consensi a sinistra: è giovane, è donna. Un’anti-Meloni perfetta, sulla carta.

Più deboli sembrerebbero le eventuali candidature di Andrea Orlando, secondo il quale la "sconfitta è stata durissima" e questo vuol dire che "va ricostruita la sinistra per le nuove sfide che ci attendono, superando subalternità e divisioni, e di Beppe Provenzano. Il dibattito è solo all'inizio, e tutti i principali sindaci, da Dario Nardella da Firenze a Matteo Ricci da Pesaro e Antonio Decaro da Bari, chiedono che sia franco e approfondito. E chiedono di avere più spazio. Al Pd ora toccherà la famigerata "traversata nel deserto", ossia rassegnarsi a stare all'opposizione a lungo.

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