Referendum, rischio astensione record
Ci sono molti dati che spiegano il perché la consultazione popolare del 12 giugno 2022 non arriverà al quorum e anzi rischia di essere un fallimento
Il 12 giugno 2022 l’Italia va al voto. I cittadini che non saranno chiamati alle urne per le elezioni comunali, saranno comunque interessati dal referendum abrogativo sulla giustizia. La differenza fra le elezioni comunali e l’istituto di democrazia diretta è che quest’ultimo, perché sia valido, deve raggiungere il quorum della maggioranza assoluta (50 percento più uno). Ce la farà?
Intanto spieghiamo perché è necessaria una soglia minima di adesione da parte degli aventi diritto al voto. Il quorum è previsto dalla Costituzione perché il referendum è comunque la modificazione di una norma (o di parte di essa), richiesta da una minoranza del Paese, senza passare per il vaglio del Parlamento. Per questo i padri fondatori hanno ritenuto giusto che anche una esigua minoranza potesse agire in modo diretto sulla politica, ma che la decisione, attraverso il voto, fosse presa però con la partecipazione di un numero di elettori rappresentativo del corpo elettorale. Per cui l’esito del referendum, qualunque esso sia, diventa valido solo se a votare va la maggioranza assoluta degli elettori. Detto questo cerchiamo di rispondere alla domanda sul futuro del referendum giustizia al quale, va detto, non diamo molte possibilità per vari motivi.
Intanto c’è un tema di argomenti. Le campagne referendarie di solito hanno sempre un tema trainante, quello più sentito dall’opinione pubblica e che ha la forza di spingere gli elettori a interessarsi anche agli altri quesiti perché, visto che si va a votare, ci si esprime su tutti gli argomenti. Andiamo a vedere i numeri di quelli proposti lo scorso anno. La proposta sulla legalizzazione dell’eutanasia (abrogazione della norma che punisce l’omicidio del consenziente) aveva ricevuto il maggior numero di firme, con la sottoscrizione di 1,24 milioni di italiani. Quelli sulla giustizia hanno raccolto 700 mila firme, passando per i consigli regionali di Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Umbria e Veneto. La cannabis è andata ancora peggio con 630 mila firme, raccolte esclusivamente online. Se prendiamo per buono il fatto che gli interessati alla giustizia non siano proprio gli stessi interessati alla cannabis, con la decisione della Corte Costituzionale, di stoppare i referendum su cannabis e fine vita, non solo si è eliminata una fetta di popolazione che sarebbe andata alle urne (per la cannabis) ma si è anche stroncato il tema trainante: l’eutanasia.
Il confronto con il referendum del 2020
Ci sono però le elezioni comunali in quasi mille comuni? Non è forse questo un motivo sufficiente per portare al Paese alle urne il 12 giugno? Vediamo. Se escludiamo il referendum costituzionale del 2016, voluto dall’allora presidente del consiglio Matteo Renzi, quando andò a votare il 65,5% degli italiani, uno dei referendum con più seguito degli ultimi trent’anni è proprio l’ultimo, cioè quello del 2020 sul taglio dei parlamentari, che tra l’altro si tenne in concomitanza con le regionali in Veneto, Liguria e Campania e con le amministrative in 1.184 Comuni. In quella occasione venivano chiamati al voto circa 47 milioni di italiani, di cui sei milioni hanno avuto la possibilità di recarsi alle urne anche per il rinnovo di sindaci e consigli comunali e 750mila hanno anche votato per le elezioni suppletive dei seggi vacanti al Senato. Nel 2020 il referendum sul numero dei parlamentari, ha goduto di un vento in poppa però dovuto a diversi fattori.
- effetto propaganda
- effetto spinta politica
- effetto elezioni comunali e regionali
Da una parte c’è una differenza enorme fra il taglio dei parlamentari e la giustizia. Il primo è sempre stato un tema che ha attecchito di più in un Paese dove da anni si parlava di una spesa, quella del Parlamento, da ridurre, basato anche su un’onda populista alla ricerca di consenso attraverso la diminuzione dei “privilegi della politica”. Infatti ci sono stati partiti, i 5 Stelle in primis, che ne hanno fatto una battaglia. L’hanno vinta quando hanno portato la riforma costituzionale nell’accordo del Governo Conte uno. La riforma ha passato il vaglio delle Camere e quella del referendum e dalla prossima legislatura sarà effettiva. Dunque era stata spinta fortemente dalla prima forza parlamentare, cioè i 5 Stelle.
Inoltre c’era stato l’effetto richiamo delle elezioni comunali e regionali. Secondo una ricerca del think-tank italiano Tortuga, nel 2020, nei comuni dove si erano tenute entrambe le consultazioni, l’affluenza era stata maggiore, con una media di venti punti percentuali. Presi alcuni comuni di riferimento per la statistica, dove si è votato anche per le regionali, l’affluenza è arrivata anche al 65%, mentre in altri comuni in cui si era tenuto solo il referendum, ma non geograficamente lontani dai primi, l’affluenza scendeva al 54%. In pratica le elezioni locali erano state una spinta per il referendum, con un aumento di media undici punti se in concomitanza delle regionali e venti con le comunali.
Referendum giustizia: cosa c'è da sapere per votare il 12 giugno
Ora è possibile dire che quel vento possa soffiare anche il 12 giugno e spingere la campagna referendaria promossa da Radicali e Lega? No. Intanto non c’è quella spinta politica di cui aveva goduto il taglio dei parlamentari. Anzi, nonostante il referendum sia stato promosso da una forza importante come la Lega, che è tra i primi partiti del Paese, dei cinque quesiti non se ne sente parlare spesso. Sembra quasi scomparso dai radar della politica. Ma ci sono le altre elezioni. Intanto non ci sono le Regionali. Sì, ci sono le comunali che portano al voto anche più persone di quelle del 2020 (otto milioni contro i sei del 2020), ma negli ultimi due anni, dati alla mano, l’affluenza al voto, anche nei comuni, è in continua discesa. Alle ultime comunali del 2021 si sono visti numeri da allarme rosso con il 54,69% degli aventi diritto nelle urne del 3 e 4 ottobre scorso, con le più grandi città (Roma, Napoli, Torino e Milano) dove non si è arrivati neppure al 50%. I sondaggi poi non sono portatori di numeri ottimistici. Secondo Swg, un terzo dei cittadini, se va bene, andrà a votare il referendum sulla giustizia, con quesiti che non arriverebbero neppure al 30%. Così il quorum non si raggiungerebbe.
Insomma non ci sono elementi che possano aiutare questo referendum a vedere la luce. Non solo non si raggiungerà il quorum, ma è anche possibile prevedere che queste votazioni potranno lasciare un segno in negativo, con numeri di astensione da record.