"Perché sì e perché no": anche il Pd si divide sul referendum costituzionale
Punto per punto, sintetizzati i dubbi principali e le tensioni interne alla maggioranza che portano i rigorosi censori della riforma partorita dal Governo Renzi a votare Sì oppure No al quesito referendario
"Dobbiamo tutti scalare, abbassare una marcia, abbassare i toni, lo dico io per primo". Matteo Renzi a 10 giorni dalla consultazione referendaria sulla Riforma Costituzionale prova a raffreddare un dibattito politico che vede lacerarsi il suo stesso partito. "Decidono i cittadini" ha aggiunto il premier ben consapevole che la mattina del 5 dicembre alla lettura della sentenza delle urne il paese avrà impartito una direzione non solo al governo ma allo stesso Pd.
"D'Alema non ha più un posto nella politica: nel Pd c'è una schizofrenia ideologica"
Nel partito che fu di Veltroni, Bersani e D'Alema rottamati e messi in minoranza dopo il congresso del partito nel 2013, i democratici si ritrovano sempre più divisi al loro interno, incapaci di una sintesi se non nell'atomizzazione delle discussione e del confronto. Se il comitato del Sì segue le linee di palazzo Chigi, già ad agosto le voci in disaccordo avevano dato vita ad un documento di contrasto con le linee di indirizzo della direzione "dem". Sono dieci i parlamentari democratici che argomentano il proprio NO di merito al referendum riuniti intorno al senatore Walter Tocci: Corsini, Dirindin, Manconi, Micheloni, Mucchetti, Ricchiuti al Senato; Bossa, Capodicasa, Monaco alla Camera.
Da ultimo è l'ex ministro ed economista Fabrizio Barca, democratico metà politico metà tecnico, già braccio destro di Matteo Orfini nella rifondazione del partito romano dilaniato da Mafia Capitale, pubblica oggi sul suo blog le sue perpessità circa una riforma che lo lascia "indifferente" per poi inerpicarsi in una giravolta che lo porta a considerare il senso politico della consultazione con un occhio alle conseguenze che la vittoria del "No" produrrà all'alba del 5 dicembre.
Ecco dunque, punto per punto, sintetizzati i contrasti principali che portano i rigorosi censori della riforma partorita dal Governo Renzi, a votare "Sì" oppure "No" al quesito referendario senza risparmiare tuttavia le critiche ad un testo definito dai suoi stessi estensori come "perfettibile".
REFERENDUM COSTITUZIONALE
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BICAMERALISMO PERFETTO
BARCA (Perché sì): L'efficienza, intesa come tempestività dell'azione legislativa parlamentare, appare accresciuta dalla riforma, per via del passaggio di molte norme da una sola Camera. O comunque tale tempestività dovrebbe dipendere meno di oggi dalla volontà dell'esecutivo. L'importanza di questo miglioramento non va sovrastimata. Infatti, di leggi ne approviamo già troppe e le cambiamo di continuo: la tempestività che ci manca è amministrativa.
TOCCI (Perché no): L’alluvione normativa soffoca le energie vitali del Paese. Si è drammatizzata la lungaggine della doppia navetta, ma riguarda solo il 3% dei provvedimenti. I più veloci sono anche i peggiori: il decreto Fornero convertito in quindici giorni viene revisionato ogni anno; le norme ad personam di Berlusconi furono come lampi in Parlamento, il Porcellum fu approvato in due mesi circa, ecc.. I tempi sono rapidi quando c’è la volontà politica, soprattutto se negativa.
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TITOLO V: NUOVO CENTRALISMO
BARCA (Perché sì): Il nuovo riparto di competenze fra Regioni e Stato dovrebbe complessivamente avere un effetto positivo: è così per alcuni settori, quali infrastrutture strategiche e politiche sociali (importante novità); mentre in altri, quali istruzione, salute e governo del territorio, di fatto poco o nulla cambia, visto che la "concorrenza" di competenze dell'attuale Costituzione viene sostituita da una "doppia esclusività", per cui allo Stato vanno "disposizioni generali e comuni" e alle Regioni "programmazione e organizzazione".
TOCCI (Perché no): Se il problema è di funzionalità nel rapporto Stato-Regioni, la soluzione è inadeguata o apparente. Molte competenze che prima appartenevano alla legislazione concorrente -istruzione professionale, salute e politiche sociali, governo del territorio, attività culturali - ora ricadono sotto le "disposizioni", le quali però sono legiferate esclusivamente dalla Camera, senza che il Senato possa garantirne la compatibilità con le autonomie territoriali. La verifica di compatibilità che oggi svolge la Conferenza Stato-Regioni sarà in Senato più forte simbolicamente ma meno ampia giuridicamente. Ad esempio, una legge controversa come la Buona Scuola ha avuto un'istruttoria in Conferenza, ma non l'avrebbe in Senato, nonostante il forte ruolo delle Regioni sulla formazione. Lo scambio ineguale rivela la vera intenzione della revisione costituzionale: si torna al centralismo statale; a definire in dettaglio le competenze sarà la maggioranza di governo; all'opinione pubblica viene raccontata la vecchia storiella del Senato delle Regioni. Sembra vera perché viene ripetuta da trent'anni.
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NUOVO SENATO
BARCA: Ma la prevedibile perdita di qualità dei Senatori fa pendere la bilancia dell'efficacia in senso negativo che potrà essere contenuto solo se la legge che dovrà regolare "le modalità di ... elezione" dei senatori da parte dei Consigli regionali vincolando tale selezione alla scelta degli elettori - come nel disegno di legge Fornaro-Chiti. E' l'ipotesi contenuta nel Documento Guerini-Orfini-Zanda-Rosato-Cuperlo sottoposto all'Assemblea nazionale del PD.
TOCCI (Perché no): Se il problema è di rappresentanza dei territori, essa è assicurata in ogni caso, sia dal senatore eletto direttamente sia dal consigliere regionale. Infatti, già oggi a Palazzo Madama il punto di vista locale è ben presidiato, a volte fino all'eccesso del particolarismo. Il consigliere però esprime una rappresentanza povera e incongruente, poiché non rappresenta la Nazione ma una parte, e non gode effettivamente della libertà del mandato ma è vincolato all'indirizzo della sua istituzione regionale. C'è un'evidente contrasto con l'articolo 67, che pure viene formalmente confermato, non senza ipocrisia.
Per fare buone leggi valeva la pena di riformare il bicameralismo. Era meglio eliminare il Senato, imponendo alla Camera maggioranze qualificate sulle leggi di garanzia costituzionale; oppure si poteva specializzare il Senato come Camera di Alta legislazione, priva di fiducia, ma dedita alla produzione di Codici al fine di assicurare l'organicità, la sobrietà e la chiarezza delle norme. Erano soluzioni forse troppo semplici. Si è preferito invece un assetto tanto arzigogolato da pregiudicare perfino l’obiettivo della velocità.
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GOVERNABILITA'
BARCA: Poiché la "fiducia" è affidata a una sola Camera, sale la probabilità di avere un governo stabile dopo ogni elezione.
TOCCI (Perché no): La bulimia legislativa è la causa principale del degrado dello Stato italiano. Le chiamiamo ancora leggi ma sono diventate accozzaglie di norme eterogenee e improvvisate che fanno impazzire le amministrazioni, i tribunali e le imprese. Si dovrebbe rallentare la produzione legislativa - come insegnava Luigi Einaudi – certo non per perdere tempo, ma per approvare poche leggi, organiche, efficaci, leggibili, e delegando i dettagli l'Amministrazione. Per il resto del tempo il Parlamento dovrebbe dedicarsi al controllo degli apparati, all’indirizzo politico e alla verifica dei risultati.
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DEMOCRATICITA'
BARCA (Perché sì): E' positivo e importante il rilancio del referendum abrogativo, il cui quorum (del 50%+1) verrebbe calcolato sui votanti delle ultime politiche (anziché sugli elettori) qualora le firme arrivino a 800mila. Ma non ci sono aperture a forme moderne di democrazia deliberativa, la vera novità di questa stagione della democrazia. E soprattutto non posso sottovalutare l'affievolirsi dell'espressione diretta di volontà popolare nella scelta dei senatori, sempreché, di nuovo, non sia approvata la legge Fornaro-Chiti.
TOCCI (Perché no): Con la scusa di riformare il bicameralismo, e con l’aggiunta dell’Italicum, in realtà si cambia la forma di governo, senza neppure dirlo. È il “premierato assoluto” tanto temuto da Leopoldo Elia: un leader in partenza minoritario può vincere il ballottaggio e conquistare il banco, non solo per governare il paese, ma per modificare a suo piacimento le regole e le istituzioni di tutti. Ormai se ne è accorto anche il presidente Napolitano del pericolo di “lasciare la direzione del Paese a una forza politica di troppo ristretta legittimazione nel voto del primo turno”.
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CONCLUSIONI
BARCA (Perché sì) : Il confronto fra una Costituzione e l'altra continua a suggerire indifferenza quanto ai presumibili effetti di lungo periodo. E dunque dovrei astenermi. Ma l'esito del voto è carico di conseguenze politiche immediate. Negative, in entrambe i casi. Particolarmente negative nel caso di vittoria del NO. "Abbattere" o indebolire Renzi vuol dire minare l'argine contro la sfiducia nelle pubbliche istituzioni, creare un vuoto che non sarà certo la "sinistra" a colmare, bensì l'autoritarismo che promette barriere, protezione, sicurezza, identità. E dunque, visto che alla riforma sono indifferente, voterò SI, per sostenere quell'argine.
TOCCI (Perché no): L'ossessione nel cambiare la Costituzione è una malattia solo italiana, non ha paragoni in nessun paese occidentale. Eppure tutti i sistemi istituzionali sono prodotti storici e quindi naturalmente difettosi. Il contenzioso verrà alimentato da una pessima scrittura del testo. In certe parti assomiglia a un regolamento di condominio, è come uno scarabocchio sullo stile sobrio della Carta. Ora perfino gli autori dicono che si poteva fare meglio. Quale demone ha impedito di scrivere un testo in buon italiano? Il linguaggio sciatto è sempre il sintomo di un malessere inconsapevole.
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