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Giovedì, 25 Aprile 2024
Politica

Referendum Lombardia e Veneto, l'unica vera incognita è l'affluenza

Ben prima della chiusura dei seggi alle 23, domenica gli occhi saranno puntati soprattutto sull'affluenza. Sono 15 milioni gli italiani chiamati alle urne

Che cosa accadrà in caso di vittoria del Sì ai referendum per l'autonomia della Lombardia e del Veneto? I presidenti Roberto Maroni e Luca Zaia non avranno in tasca i 27 miliardi di euro che puntano a gestire in casa né tantomeno le relative competenze. 

L'unica sfida è sull'affluenza

Ben prima della chiusura dei seggi alle 23, gli occhi saranno puntati quasi solo sull'affluenza, il dato di solito meno interessante, che il Viminale dà in pasto agli elettori affamati di risultati ufficiali. Solo infatti con una significativa mobilitazione dei 15 milioni di italiani chiamati al voto i rispettivi governi regionali avranno un mandato forte, un potere contrattuale in grado di sostenerli, nell'eventuale trattativa con le istituzioni centrali per ottenere il diritto a gestire a livello regionale materie oggi di competenza statale.

Lombardia: come, dove e quando si vota

Si parte dal 55% di elettori lombardi e dal 58% di elettori veneti che a giugno 2017, al primo turno dell'ultima tornata di elezioni nei Comuni dove si è votato, sono andati a votare. Con la grossa differenza che mentre nel primo caso non c'è quorum, quindi l'indicazione che arriverà dall'affluenza avrà un peso solo politico, nel caso del Veneto il referendum, per essere valido, dovrà richiamare ai seggi almeno il 50% degli aventi diritto. Nel dubbio Maroni ha fissato prudentemente l'asticella sotto il 50%: "Nel 2001 andò a votare il 34%, mi aspetto di superare quella quota del referendum costituzionale sul Titolo V. Ogni voto in più sarà un successo" ha detto.

Cosa succederà da lunedì

Sulla carta in Lombardia e Veneto sono quasi tutti d'accordo sull'opportunità di affidare alle due "locomotive del Nord" più competenze e relative risorse. Il campo sul quale le forze politiche si dividono è l'opportunità dei referendum consultivi per l'autonomia di domani, a pochi mesi dal voto regionale. Dietro ci sono inevitabili calcoli politici che vedono il centrodestra, con la Lega in testa, impegnato a preparare il campo per la riconferma alla guida delle due regioni rispolverando la retorica indipendentista.

Veneto: come, dove e quando si vota

In caso (scontato) di vittoria del sì le due Regioni non potranno fare nulla di più che avviare un lungo percorso istituzionale fatto di consultazione degli enti locali, negoziato con il governo e successiva presentazione di un disegno di legge al Parlamento. A quel punto entrambe le Camere potranno approvarlo a maggioranza assoluta dei suoi componenti, non bastano cioè i presenti.

Il percorso, molto articolato, è previsto dall'articolo 116 della Costituzione, al quale Lombardia e Veneto, così come la Toscana e il Piemonte nel 2004, avevano cercato di accedere, senza successo, nel 2007. Da qui la scelta di passare per la strada dei referendum consultivi regionali, previsti dagli Statuti delle due Regioni, per chiedere ai cittadini se sono d'accordo a chiedere, nel quadro dell'unità nazionale, "ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse". Uno strumento non vincolante, ma difficile da ignorare, come insegna il caso della Brexit, in caso di rilevante orientamento a favore dell'autonomia.

Vari scenari possibili

Le materie che, in base all'articolo 117 della Costituzione, potranno eventualmente essere affidate alle Regioni sono 23, tre delle quali di legislazione esclusiva e venti concorrente. La Lombardia, in particolare, punta su istruzione; tutela e sicurezza del lavoro; previdenza complementare e integrativa; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni. Entrambi i presidenti leghisti vogliono però anche ottenere più ampia competenza da declinare sul proprio territorio anche in materia di sicurezza, immigrazione e ordine pubblico. Il tutto a fronte di maggiori trasferimenti da parte dello Stato.

A questo punto gli stessi sostenitori dei referendum si dividono sulla valutazione degli scenari possibili. Da una parte c'è chi afferma che i vantaggi deriverebbero solo da una gestione diretta di fondi, che presumono più efficiente. In questo caso non ci sarebbero però molti margini di spesa aggiuntiva. Dall'altra parte c'è chi sostiene, come la Lega Nord, che bisogna partire dal concetto di residuo fiscale, cioè della differenza tra le tasse pagate dai cittadini di una Regione all'amministrazione centrale e quanto lo Stato restituisce loro sul territorio.

Cosa cambia (davvero) con il sì all'autonomia

Si parla in questo caso di un saldo che, in Lombardia, vale più di 50 miliardi di euro, oltre il doppio dell'attuale bilancio regionale lombardo. È il più alto tra tutte le Regioni d'Italia, seguito dall'Emilia Romagna e dal Veneto. Maroni e Zaia puntano a trattenere "almeno la metà" di questo saldo anche se l'obiettivo appare estremamente ambizioso. Vale però la pena ricordare che nel 2015 la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'originario quesito referendario veneto sia laddove chiedeva di esprimersi sulla possibilità di trattenere in Regione l'80% delle tasse riscosse sul territorio, sia sull'ipotetico obbligo per lo Stato centrale di reinvestire in Regione la stessa percentuale di tributi.

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