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Giovedì, 25 Aprile 2024
Politica

Governo, la sfida finale al Senato (ma Renzi vuole le dimissioni di Conte)

Il premier rimanda la resa dei conti in Cdm programmata per oggi e offre tre posti nell'esecutivo e la modifica del Recovery Plan. Ma il leader di Italia Viva vuole che lasci prima Palazzo Chigi. Per un arrivederci o un addio?

"Il presidente Conte ha detto 'verrò in Senato', quasi sfidandoci. Lo aspettiamo lì": mentre slitta di 24 ore il consiglio dei ministri che doveva decidere sul Recovery Plan - e quindi la possibile resa dei conti con le ministre di Italia Viva pronte a dimettersi e a lasciare ufficialmente il premier senza maggioranza - Matteo Renzi in un'intervista al Tg3 torna a dettare i tempi della crisi al buio che è sempre più prossima, immaginando un percorso che vede le dimissioni dell'inquilino di Palazzo Chigi prima del (possibile?) reincarico e della formazione di un nuovo governo. E, dimostrando che la politica italiana è la fiera dei penultimatum, offre a Conte tre giorni per decidere. 

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Con ordine. Ieri è stato il presidente del Consiglio a prendere l'iniziativa con un post su Facebook in cui, senza nominare mai Renzi, ha parlato della necessità di "rafforzare la coesione della squadra di governo", si è detto "disponibile all'ascolto" delle forze di maggioranza sul Recovery Plan e ha anche annunciato, tra le righe, che la convocazione del consiglio dei ministri prevista per oggi sarebbe stata rimandata: "Una volta messa a punto una proposta migliorativa del Piano ritorneremo in Consiglio dei Ministri per la sua approvazione e riattiveremo così il confronto con l’intero Parlamento e, quindi, anche con le forze di opposizione, aprendoci anche alla discussione con tutte le parti sociali". Prima aveva detto la sua Beppe Grillo con tutt'altri toni, ovvero tirando fuori il "Quo Usque Tandem, Catilina" di Cicerone per dire che il leader di Italia Viva stava abusando della pazienza (del M5s, evidentemente). 

Poi è stata la volta di Renzi: "Da quello che si legge il governo sembra aver cambiato idea. Evidentemente le idee del mio partito non erano male", ha esordito, passando subito dopo alle minacce velate: "Magari fosse una questione personale con Conte, quelle si risolvono. Anche noi abbiamo indicato il suo nome come premier per opporci a Salvini. Ma non si può fare politica solo contro. Conte ha detto “verrò in Senato”, quasi sfidandoci. Lo aspettiamo lì". E segnalando poi il suo obiettivo finale: "Non esistono governi di scopo. Esistono governi che devono lavorare. Se il governo è in grado di farlo, lo faccia. Sennò tocca ad altri". Il Corriere della Sera spiega oggi in un retroscena che la crisi oggi si avvita intorno all'esistenza di due schemi contrapposti:

  • lo schema Conte, che prevede "un rimpasto rapido, con un paio di ministeri e sottosegretari in più e un paio di sostituzioni";
  • lo schema Renzi, ovvero "dimissioni, ritorno al Quirinale, nuovo governo, possibilmente con un altro premier". 

In mezzo ci sono il MoVimento 5 Stelle e il Partito Democratico, che tornano a predicare calma e tranquillità mentre la situazione si fa sempre più incandescente e lo stallo messicano rende i protagonisti sempre più nervosi. Luigi Di Maio chiede "responsabilità", Nicola Zingaretti avverte che in caso di crisi l'unica soluzione sono le urne ma, come racconta oggi un retroscena della Stampa, Renzi vuole una crisi formale, con tanto di salita al Colle del premier: perché sa che a quel punto avrà la massima forza contrattuale per la stretta finale su nomi e programmi. 

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Il rimpasto, il Conte-Ter, le dimissioni del premier 

Ma da quell'orecchio il premier non vuole assolutamente ascoltare. Perché, come spiega Carlo Bertini, il sospetto che aleggia invece a Palazzo Chigi, è che una volta sceso dal Colle, dopo le dimissioni che sarebbero necessarie per aprire a un Conte Ter, il capo del governo si potrebbe veder sfilare la fiducia da Renzi durante le consultazioni.

Sarebbe la sua fine. Per questo preferisce limitarsi a parlare di rimpasto e non smette di corteggiare i «responsabili», cioè i senatori disposti a votargli la fiducia per sostituire i voti di Iv. «Se pensano di fermarmi con questa minaccia non mi conoscono», è la replica di Renzi.

La novità è che nella chat con i parlamentari di IV Renzi ha scandito il timing di una crisi che si chiuderà forse nel week end: "Abbiamo 24 ore per dire la nostra a Gualtieri, sappiamo che la nuova bozza è molto modificata sulla base delle nostre richieste. Ma aspettiamo i fatti". E per Renzi tra i fatti ci sono anche il Mes, il fondo Salva-Stati europeo e la giustizia. Tutti "fatti" che potrebbero finire o per causare il defenestramento di Conte se li rifiuta, o la disintegrazione del M5s e la spaccatura del Pd se li accetta. Intanto il borsino del rimpasto vede in salita Andrea Orlando, Maria Elena Boschi e Goffredo Bettini e in discesa Nunzia Catalfo, Paola Pisano e Paola De Micheli. Due su tre sono ministre del M5s, mentre per oggi non ci sono novità su Luciana Lamorgese, in bilico al ministero dell'Interno nonostante l'ottimo lavoro svolto.

L'ipotesi alternativa è che Conte si presenti in Senato alla caccia di quei sei voti che gli permetterebbero di tenere in piedi una maggioranza anche senza i renziani. Si tratta di un rischio che un politico non dovrebbe mai correre, e la storia italiana (vedi Romano Prodi) insegna che è sempre pericoloso fare i conti tenendosi un margine minimo, visto che tutto può cambiare da un momento all'altro quando scendono in campo i "responsabili". Secondo Repubblica il premier potrebbe provare a spaccare i renziani accogliendo eventuali “costruttori”: "Se poi dovesse ottenere una fiducia risicata, potrebbe anche decidere di sfruttare quella posizione come trampolino per chiedere il voto". Intanto Matteo Salvini propone Marta Cartabia, presidente della Corte Costituzionale, o addirittura Carlo Cottarelli come presidente del Consiglio al posto di Conte. 

Intanto, dopo l'intervista a D'Alema di ieri e la frase "Non si manda via l'uomo più popolare del paese per volere del più impopolare" dedicata dal Lìder Maximo rispettivamente a Conte e a Renzi (ma che forse poteva valere anche quando i contendenti erano lui e Prodi), sempre Repubblica fa notare che oggi l'Avvocato può contare sulla scorta della Ditta, ovvero quella vecchia guardia del Pd che ancora oggi conta molto nei palazzi romani: oltre che D'Alema, il quale ieri ha negato di svolgere il ruolo di consigliere di Palazzo Chigi - e per questo, secondo i maligni, forse ambisce a esserlo - ci sono Pier Luigi Bersani, Goffredo Bettini e il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri. E questo perché:

Ha l’aria, Conte, di quei cattolici democratici alla Romano Prodi che più volte gli ex Pci hanno considerato più adatti di loro alla guida di una coalizione complessa.

Il premier ha convinto anche Zingaretti, che all'epoca della crisi del governo con Salvini chiedeva "discontinuità" a Palazzo Chigi ma oggi sostiene che Conte sia un "fortissimo punto di riferimento per i progressisti", evidentemente immaginando per lui un ruolo importante anche in caso di elezioni. Non male, per uno che è stato scelto da Grillo, Di Maio e Casaleggio. 

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