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Giovedì, 28 Marzo 2024
Politica Italia

Renzi verso le dimissioni da segretario Pd: "Voto a Giugno o congresso"

Matteo Renzi vuole uscire dall'angolo: ora è facile bersaglio per i vari leader della minoranza con il Pd costretto a portare sulle spalle il fardello del scelte ben poco popolari del Governo: lunedì al Nazareno il confronto finale

Inutili i richiami alla calma, gli inviti alla prudenza, i tentativi di congelare tutto che sono arrivati da settori importanti della maggioranza Pd. Matteo Renzi sembra aver deciso: l'unica cosa che non si può fare è stare fermi, facile bersaglio per i vari leader della minoranza e costretti a portare sulle spalle il fardello del governo.

O si va a votare in tempi brevi, dopo un accordo su una nuova legge elettorale, o si apre il congresso. L'idea della riforma elettorale è quella caldeggiata sia da Dario Franceschini che da Andrea Orlando, ma Renzi a entrambi avrebbe posto una condizione praticamente irrealizzabile: mi siedo al tavolo solo se si fa sul serio e, dunque, ci deve essere innanzitutto tutto il Pd sulla bozza di riforma. E, dal momento che i bersaniani continuano a rilanciare sui capilista bloccati e sul voto nel 2018, è quasi scontato che, alla direzione di lunedì, il leader metterà sul tavolo le proprie dimissioni per avviare il congresso.

Renzi, ancora in queste ore, continua a parlare con i big del partito, con gli altri dirigenti della maggioranza che regge il Pd. Il premier, raccontano, vuole capire se Franceschini e Orlando sono ancora con lui o no. "Renzi - spiega un deputato Pd - sa che al momento la sua maggioranza tiene ancora, perché né Orlando né Franceschini hanno alternative nell'immediato. Ma ovviamente coglie i segnali: i 40 che firmano il documento al Senato, l'area di Martina che, seguendo Damiano, guarda sempre più altrove, Orlando che parla quasi da candidato premier... Se non si andasse a elezioni e nemmeno al congresso, tutto potrebbe cambiare: a fine anno Orlando potrebbe davvero essere l'uomo sul quale provare a costruire l'alternativa. O qualcun altro".

Per questo Renzi non intende "stare fermo", raccontano i suoi. "Ci sono due opzioni - ripete un fedelissimo - la prima, quella che preferiamo, è: voto a giugno dopo una nuova legge elettorale con premio di coalizione. Ovviamente, con l'accordo di tutto il partito". Ma siccome questo difficilmente accadrà, resta l'altra strada: "Altrimenti, meglio fare subito il congresso perché sennò è una campagna congressuale perenne che non aiuta nemmeno il governo. Di sicuro, non è pensabile la terza opzione, ovvero niente voto e niente congresso mentre la minoranza continua ogni giorno a sparare su Renzi".

Il segretario, allora, gioca una mossa che costringe tutti a schierarsi. O si sigla un accordo blindato sulla legge elettorale, oppure si apre il congresso, con le dimissioni di Renzi e l'affidamento della reggenza ad Orfini. E se contro le elezioni anticipate possono essere portati molti buoni argomenti, dire no al congresso è davvero complicato, "soprattutto dopo che proprio la minoranza lo ha chiesto per settimane".

L'unico, vero, ostacolo potrebbe essere la sovrapposizione con la campagna elettorale per le amministrative. Ma è un ostacolo superabile: se Renzi si dimette lunedì, o nei giorni successivi in assemblea, il congresso può partire per la fine di febbraio e concludersi, con le primarie, ai primi di maggio. Fissando le amministrative a giugno, resterebbe un mese pieno per fare la campagna elettorale. La minoranza proverà comunque a dire che è una "farsa" una "gazebata", come ha già iniziato a fare Roberto Speranza. Ma per la maggioranza renziana sarebbe complicato dire di no.

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