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Giovedì, 25 Aprile 2024
CRISI DI GOVERNO

Chi va a Sochi perde la poltrona, è crisi di governo: Letta sempre più solo

Il premier "scappa" in Russia per le Olimpiadi e - chissà - per tenere lontano il fantasma di Matteo Renzi. Da Sochi giura: "Risolvo tutto". Ma la direzione Pd ha deciso: è crisi di governo. Renzi pronto a fare la Merkel?

“Lunedì, dopo avere consultato il Capo dello Stato, prenderò una iniziativa per sbloccare la situazione. Ho giudicato positivamente la riunione del Pd dell’altro giorno e mi fido dei vertici del mio partito. Credo che questa iniziativa avrà effetti positivi, ma ne parleremo in Italia”. Così da Sochi Enrico Letta, perfettamente calato e persuaso dal clima olimpico. In cui, con il rispetto, la fatica, il sogno, non manca mai l’agonismo. La percezione dell’avversario da battere. Sarà per questo che, in punta di metafora sportiva, ha ritenuto opportuno mandare un messaggio camuffato a Renzi: “Lo sport non è un ‘one man show’ ma un gioco di squadra dove tante professionalità e persone giocano insieme”. Da Sassari non si è fatta attendere la risposta del sindaco/segretario: “Benissimo, era ora. Adesso non ci rimane che aspettare”.

Quel che non ha detto Letta dalla Russia (e che Renzi ha sottolineato seccamente dalla Sardegna), tuttavia, è che la Direzione di giovedì scorso del Partito democratico ha aperto la crisi di Governo. E’ questa la vera notizia emersa dal parlamentino Pd. Ora, la formula – ‘crisi di Governo’ – non trova spazio nella lettura di quel che è stato e si è consumato al Nazareno. E la questione comincia a sorprendere. In effetti in questa storia di stranezze ce n’è più di una: in piena crisi politica Letta prende l’aereo di Stato e va a respirare “24 ore di ossigeno” olimpico; dal canto suo, il Pd, in un Paese in cui i problemi andrebbero affrontati a velocità di curvatura, si prende due settimane di tempo, innesca la crisi all’orologeria.  

Tornando alla fredda cronaca. Renzi ha concesso due settimane di tempo al premier. ‘Matteo’ “ci sta pensando”, dicono i più buoni. I più cattivi: ‘lo sta cucinando’, lo tiene a bagnomaria, lo sta sfiancando. E visto che siamo in pieno spirito olimpico e a Sochi tutto il mondo è paese, sono andate forti le metafore sportive: la staffetta, il testimone della legislatura che passerebbe dalle mani di Letta a quelle di Renzi. Tutto qui? No, decisamente no. Il punto vero non è la staffetta ma la sfiducia che il Pd, di fatto, ha certificato a Letta. Un partito che sfiducia il suo uomo alla guida del Paese. Questo si è consumato in direzione. Questo è lo stato dell’arte.

Letta è arrivato in via Via Sant'Andrea delle Fratte con pochi ‘amici’, quando il tormentone sulla staffetta era praticamente già incontrollabile. E’ uscito, dopo un discorso morbido, dopo aver dato praticamente sempre ragione a Renzi (sulle riforme, sul cambio di passo, sull’esigenza di “aggredire i problemi”, senza voler “galleggiare”), in un clima tiepido gelido, solissimo. Con il suo partito che, di lì a poco, qualche ora dopo la sfiducia senza se e senza ma di Confindustria (Squinzi: “Se viene con la ‘bisaccia vuota’, non ci resterebbe che appellarci al presidente della Repubblica”), gli ha inviato la lettera di sfratto.

“Io sto allo schema – (18 mesi di governo Letta) –. Vogliamo cambiare schema?”, ha risposto Renzi a Cuperlo, Orfini, Zoggia, Fassina, la minoranza del Pd che, quella che poco prima aveva chiesto la testa del premier in versione soft: o la sintesi tra i due, quindi un Letta bis, o il voto; o la solita sintesi, o il “Renzi I”. Una richiesta furba sapendo perfettamente che la sintesi, ad oggi, non sta nelle cose. Perché Renzi se proprio dovrà montare in macchina si sistemerà al posto di guida.

Quindi, tanto per dare i nomi e i cognomi alle situazioni. L’azionista di stragrande maggioranza del Governo, il Pd, il partito del capo del Governo, è in preda ad una crisi esistenziale. Si è dato appuntamento tra 12 giorni per decidere la via da percorrere. E in questo ha messo all’ordine del giorno la possibilità di negare la via attuale. Mancherà di prassi, di giurisprudenza, non ci sarà la bolla papale, ma se questa non è una crisi di Governo ci raccontiamo le barzellette. Tra le tante – vedi la condanna di Berlusconi la scorsa estate; e ancora, e di conseguenza, la decadenza del Cav al Senato – questa è la vera crisi.

Con tanto di raccomandata A/R. Mai scritta ma che sta dentro i commenti delle ultime 48 ore: la necessità di un “cambio di passo”, “l’impegno per l’Italia che non c’è e siamo a febbraio”. E ancora, sta nelle strategie dietro le quinte e le fila, nel ricercare le teste di legno da mandare allo sbaraglio per sbaragliare: i franchi tiratori sull’Italicum; le imboscate sul decreto Salva Roma.

Ora, cosa è successo? Perché questa accelerata verso la sfiducia? Risposta facile: la responsabilità (se c’è una responsabilità) è di Renzi. E’ lui il regista e allo stesso tempo l’attore protagonista di quest’operazione disarcionamento lento. Possibile? Renzi è da luglio che gioca alla pace armata con Letta. Perché, quindi, prima no e ora si? Oddio, nel Pd, oramai sono quasi tutti renziani; la new generation (anche per chi è della old generation) ha fatto breccia e presa. Senza dimenticare che è sempre suggestivo pensarla in termini agricoli, la raccolta di quel che si è seminato. E sicuramente, in questo caso, c’è anche del vero. Ma questo vero non fa l’intero.

Il grosso di questa scelta, infatti, è arrivato dal senso di autoconservazione. Dall’idea che i democratici potessero perdere voti, quindi peso, ad un tiro di schioppo dalle elezioni europee di fine maggio. I dem si sono fatti una domanda – siamo ancora in grado di sostenere un governo che ci potrebbe far perdere? Che è sprofondato nei sondaggi ed è affetto da immobilismo? – e si sono dati la risposta. Guarda caso proprio nei giorni in cui Grillo sta risalendo nei sondaggi. Può essere una casualità; ma può essere quella vecchia regola in cui generalmente, al netto della retorica a buon mercato e del populismo di gran carriera (e che fa far carriere), in questo strano Paese, affetto da influenza cronica, la politica, per in politici, viene sempre prima di tutto.

DA LUNEDI’ – Scartando il voto, l’ultima ratio, Letta salirà al Quirinale e proverà a fare fortino con Napolitano. Che tuttavia ha bisogno di certezze, di numeri. Quelli che il premier ha perso con le parti sociali (durissima Susanna Camusso, segretario generale della Cgil: “Questo è un governo che ha solo opposizioni, il che significa un governo alla paralisi. Meglio che se ne vada”), con gli imprenditori, con il Pd. E che avvicinano, anche al Colle, l’ipotesi staffetta, perché “a me conviene votare, agli italiani no”. Che vista al rovescio, la massima del sindaco Renzi può essere tradotta: sono pronto a fare l’Angela Merkel d’Italia. Per adesso, senza passare dalle elezioni.

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