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Sabato, 20 Aprile 2024
Politica

Letta 'il duro' minaccia Renzi: "Voglio che mi sfiduci a viso aperto"

Al termine di una giornata ad alta tensione il premir va allo scontro con il segretario: "Non si danno le dimissioni per dicerie. Se qualcuno vuole venire al mio posto, lo deve dire alla luce del sole"

Primo punto: “Quando ci sono troppi galli a cantare, non si fa mai giorno”, recita il vecchio adagio. Secondo: “Elezioni? Non diciamo sciocchezze”. Così, secco, da Lisbona, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano che ieri ha sistemato la palla al centro: “La parola tocca al Pd”. O meglio a Letta e Renzi e a quel farsi giorno.

Sì, perché, se il Capo dello Stato ha muscolarmente escluso il ritorno alle urne, per quel che riguarda la staffetta tra l’attuale premier e il segretario del Pd ha allentato le briglie. Della serie, scannatevi a vicenda, ma trovate una soluzione all’impasse prima possibile. Ora, a questo punto, visto il clima, a chiamarla staffetta ci vuole un bel coraggio. Nell’agosto del 2012, la nazionale giamaicana targata Usain Bolt ha percorso i quattrocento metri piani della 4 per 100 stoppando il crono sui 36 secondi e 84 centesimi. Quattro atleti, soli per cento metri, sguardo fisso in avanti; poi l’urlo ai novanta, “hop”, il braccio del compagno che si protende indietro e il testimone che passa dalle mani di chi ha concluso la sua fatica a chi, un metro dopo, si lancia nella propria. Sincronia e forza, pretende la legge dello sport.

Ora, stando al record del mondo della Giamaica, se Renzi è il Bolt della politica italiana e Letta si calasse nei panni di Asafa Powell, paradossalmente il tempo si sarebbe fermato a pochi centimetri dall’ultimo cambio in una sorta di slow-motion infinito. In mezzo, ci sta giusto appunto l’Italia; che più di un instant replay avrebbe bisogno di macinare politica come quei giamaicani macinarono i metri. Invece no, i due galli, sono arrivati allo scontro finale. Al muro contro muro. E non si tratta di un’accelerata improvvisa, è stato sempre così.

Dove eravamo rimasti? Ai due galli, per l’appunto, che verso l’ora di pranzo si sono incontrati. Un’oretta di faccia a faccia. Dopodiché Renzi, alla guida di una Smart blu, lasciato Palazzo Chigi si è rinchiuso al Nazareno con i suoi stretti collaboratori. In un silenzio rotto solo da un tweet di metà pomeriggio: “Leggo tante ricostruzioni sul governo. Quello che devo dire, lo dirò domani alle 15 in direzione. In streaming, a viso aperto”.

Che può vuol dir tutto e può voler dire niente. Versione mistica, direttamente da chi è avvezzo al ‘cerchio magico’: “Quello che dirà domani nessuno, nemmeno i suoi più stretti collaboratori, lo saprà fino a che non comincerà a parlare”. Versione spifferi, quelli di Palazzo Chigi: “Incontro positivo”. Versione democristiana: “L’incontro? Benino”. “Incontro franco” versione di Letta. Tradotto, elettrico. Ricostruzioni fatte a cazzotto da cui la letteratura politologica ha tratto la conclusione: tra i due è calato il gelo polare.

Letta così, dopo il faccia a faccia interlocutorio, alle 18 si è presentato in conferenza stampa è ha illustrato “Impegno Italia” (con tanto di logo), la proposta che dovrà strutturare il patto di coalizione tra i partiti che sostengono il governo. Tirato in volto, gola secca, perché fare duro non è nelle sue corde, ha subito puntato i piedi: “Non si danno le dimissioni per dicerie. Se qualcuno vuole venire al mio posto, lo deve dire alla luce del sole. E deve dire cosa vuol fare per l’Italia". Poi, per smorzare un attimo la tensione, c'è scappata anche la battuta: “Sono sereno. Dovesse andare male questa vicenda, potrò insegnare pratiche zen in qualunque scuola orientale”.

Una cura annunciata ad inizio gennaio, che approda sulle scrivanie della politica (“Lo offro – il patto – ai partiti e al Parlamento”) a poco meno di 24 ore dalla Direzione della verità (e in questo Letta non ha voluto sentir parlare di immobilismo, con tanto di frecciata: “Sono un uomo del Pd e il mio partito ha preferito opportunamente concentrarsi sulla legge elettorale. Se si è perso tempo, però, su 'Impegno Italia', non è stata colpa mia”).

La palla da Letta, mentre sia su Repubblica che sul Corriere è cominciato il toto ministri del Governo Renzi, passa direttamente al Nazareno. Al vertice che, a maggioranza, certificherà o meno il nuovo giro in giostra di ‘Enrico’, il bis, oppure spalancherà le porte al ‘Renzi I’.

Passerà al sindaco, che è pronto a prendersi l’Italia sulle spalle senza dover passare dalle urne, magari sognando quel che ha fatto la Merkel in Germania. Ma che questa notte, prima di avviarsi verso via Sant'Andrea delle Fratte - anche se a Palazzo Vecchio ha già chiuso gli scatoloni - dovrà far di conto. Il baricentro della questione, infatti, ora si è focalizzato sui numeri. Ci sono quelli di Renzi in Direzione: quel 70% figlio delle primarie. Lì, il sindaco, non ha problemi, tanto da sfiduciare uno dei suoi. D’altra parte però ci sono anche i numeri del Parlamento, quelli delle liste redatte da Bersani. Uno zoccolo duro, o quel che ne rimane, fedele alla linea del vecchio apparato; che potrebbero aprire la spaccatura parlamentare e in questo mettere in croce proprio Renzi, magari sull’Italicum.

Alle 19 di mercoledì 12 febbraio, al netto delle “sfumature”, Renzi si ritrova costretto a ragionare su un inedito: Letta a denti stretti e guantoni alzati. Quell'Erico deciso ad un nuovo incarico, visto che un rimpasto dopo la fuoriuscita di Berlusconi dalla maggioranza, “un aggiustamento” ha detto, non basta più. Un nuovo mandato senza scadenze, legato a doppio filo con le riforme. E che pretende di cadere a viso aperto, alla luce del sole. In seno al suo partito.   

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