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Giovedì, 28 Marzo 2024
PRIMARIE CENTROSINISTRA

Renzi che batte Bersani nelle regioni rosse non è una sorpresa: era tutto scritto

Un sondaggio pubblicato da Libero domenica 25 novembre, giorno del primo turno, vedeva chiaramente in vantaggio il sindaco di Firenze anche negli storici feudi 'ex comunisti'. Nessuna sorpresa, quindi, ma un dato su cui riflettere

Il primo turno delle primarie ha emesso tre verdetti inequivocabili: il ballottaggio, l’affermazione di Pierluigi Bersani al sud e quella di Matteo Renzi nelle roccaforti rosse. Un dato quest’ultimo che ha fatto molto scalpore, ed è facile capire il perché. Mesi di campagna elettorale con il fronte bersaniano-vendoliano a dipingere Renzi come il più ottuso dei liberisti, oppure a tratteggiarlo come la costola di destra della sinistra (‘berluschino’). 

Risultato? Il sindaco di Firenze ha fatto la voce del padrone nei storici fortini del Partito Comunista. Un dato che indubbiamente ha sparigliato gran parte della letteratura politica e che ha scosso l’ortodossia e la struttura del partito, radicata proprio in quella storia. Toscana, Umbria, il gran balzo in avanti in Emilia Romagna, Renzi nel triangolo rosso si è portato a casa il banco.

IL DATO TOSCANO. Un dato su tutti arriva proprio dalla sua Toscana, dove il rottamatore è maggioranza assoluta con il 52,2% dei voti, e dove c’è un comune, Castelfiorentino legato visceralmente al Pci. In quel comune alle politiche il partito di Togliatti e Berlinguer arrivava ad oltrepassare agevolmente l’80%. Alle primarie il 61% dei cittadini ha consegnato il lasciapassare al sindaco di Firenze. E non si tratta dell’eccezione che conferma la regola ma di un trend regionale.

C’è  chi, proprio come Enrico Rossi, il presidente della Regione Toscana, bersaniano convinto, si è spiegato il dato affermando come Renzi abbia “colto quell’esigenza di rinnovamento che chiede il nostro elettorato e che anche io, se pur in altri modi ho posto”. C’è poi la posizione di Rosy Biondi, anch’essa toscana, che con Renzi prima e durante le primarie ha intavolato un lungo contenzioso (e viceversa).

Analizzando il dato sulle pagine del Fatto Quotidiano, il presidente del Pd, ha dichiarato come la base abbia letto nel sindaco quel  “grimaldello con cui scardinare un partito che è percepito ancora come la continuazione dell’asse Pci-Pds-Ds, dove le sedi del Pd sono le case del popolo e le feste democratiche sono dell’Unità”.  

SONDAGGIO. Eppure c’è chi il voto rosso consegnato a Renzi l’aveva predetto da tempo. Ad avvertire il vento del cambiamento un sondaggio dell’istituto Ferrari Nasi, su commissione di Libero. Un’indagine pubblicata proprio domenica 25 novembre, nel giorno del voto. Tra le varie domande sottoposte agli intervistati ce n’era una che puntava proprio sulla geografia e l’appartenenza. In quelle risposte si annunciava quello che poi sarebbe successo qualche ora più avanti: le zone rosse avevano già scelto. Lo studio infatti mostrava come il 50% avrebbe affidato la propria crocetta a Renzi e solo il 28% a Bersani. 

RENZI. Voto contro l’apparato, possibile. Oppure anche nelle regioni rosso fuoco si è ripresentato quello schema che ha caratterizzato i flussi elettorali al nord, dove i voti degli operai sono confluiti nel bacino della Lega. Qualcosa è successo e ha fatto molto rumore. Il diretto interessato, Renzi, se la spiega da uomo che in piena campagna elettorale, senza troppi sofismi accademici: “Abbiamo dimostrato di non essere solo dei chiaccheroni. Con i fatti abbiamo dimostrato che siamo politici del fare”. E contro chi gli ha rinfacciato che per il voto si siano mosse fronde elettorali di centro destra, per arrivare a nobili, principi e marchesi (come ha accusato il segretario metropolitano del Pd fiorentino, Patrizio Mecacci), il rottamatore risponde secco: “Quando dicono queste cose sono ridicoli. La verità è che hanno perso il contatto con la realtà”.

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