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Martedì, 16 Aprile 2024
Riforma senato

"Non costo, non voto e non mi eleggi": c'era una volta il Senato

Il Consiglio dei ministri ha dato l'ok al disegno di legge per la riforma di Palazzo Madama. La 'rivoluzione' di Renzi: solo 148 senatori e senza voto. Il premier: "Chiuso dibattito trentennale"

ROMA - Ore 18:05. Prima, il Senato della Repubblica italiana: quello eletto, quello che vota, quello che "controlla". Dopo, il Senato di Matto Renzi: quello snello, quello che costa poco o nulla, quello che non decide. In mezzo, il caos - tanto - e la personale battaglia del premier, sempre più deciso a dimostrare di non essere solo chiacchiere e "televendite", anche se quel "Venghino signori venghino" gli ha macchiato il curriculum. 

Ma tant'è. Il consiglio dei ministri ha ascoltato Renzi e ha "ubbidito". Addio insomma al voto di fiducia a Palazzo Madama, al voto alle leggi di bilancio, alle elezioni e alle indennità. "I rappresentanti delle Regioni e dei Comuni - che prenderanno il posto dei senatori - sono già pagati per le loro altre funzioni" aveva chiarito il premier.

"Mettiamo la parola fine ad un dibattito trentennale" ha commentato a caldo il premier Matteo Renzi. "Voglio essere l’ultimo presidente del consiglio ad avere ricevuto il voto di fiducia dall’aula di Palazzo Madama" ha poi aggiunto. Tra le novità c’è anche il nome: la nuova Camera si chiamerà, infatti, Senato delle autonomie. Resta dunque il riferimento alla denominazione originaria e viene sottolineato il ruolo degli enti locali. Sono poi state definite le linee con cui sarà determinata la composizione dell’assemblea: i senatori - ha spiegato il ministro alle Riforme, Maria Elena Boschi, saranno 148, compresi i 21 tra senatori a vita e personalità nominate dal capo dello Stato.

"I nomi e i cognomi di chi vuole cambiare il cambiamento li dirò alla fine della votazione - ha chiarito il presidente del Consiglio -, ma saranno minoranza al Senato e nel Paese. Credo che ce la faremo". E anche sulla tenuta del Pd Renzi si è mostrato sicuro: "Io non sono preoccupato". 

La riforma del Senato, insomma, s'aveva da fare e, Parlamento permettendo, si farà. Inutili i tentativi - convinti e sinceri - di chi ha provato ad opporsi al piano del segretario Pd. In mattinata si era sbilanciato nientemeno che il presidente, Piero Grasso: "Nessuno parla di abolire il Senato. Al posto di Renzi farei quello che sta facendo lui, lavorando con tutte le mie forze per superare il bicameralismo perfetto, diminuire il numero dei parlamentari, semplificare l'iter legislativo. Il Senato dovrebbe però avere anche componenti eletti dai cittadini". La seconda carica dello Stato, insomma, aveva provato a giocare sul bisogno di rappresentanza dei cittadini. Dopo di lui, in rapida successione aveva fatto un tentativo Stefania Giannini, ministro all'Istruzione di Scelta Civica. "E' un po' inconsueto che sia il governo a presentare una proposta di legge su questo tema - aveva fatto notare - serve che il Parlamento ne discuta per ritoccare e migliorare alcuni aspetti". Quindi, come se non fosse bastato: "Meglio non farne una questione di calendario e non confondere l'irrinunciabile dibattito parlamentare con la manfrina di chi non vuole cambiare le cose". 

"Chi non vuole cambiare le cose", appunto. Cinque parole non casuali usate del ministro per replicare - indirettamente ma non troppo - al "suo" premier. Renzi, infatti, aveva incassato le parole di Grasso, metabolizzato e replicato senza troppi giri. Anzi. "Sarà uno spartiacque tra chi vuole cambiare e chi vuole far finta di cambiare - aveva 'urlato' in mattinata - Io mi gioco tutto, se fallisco finisco la mia carriera politica. Entriamo nei canapi. Vedremo chi correrà più forte". E aveva ribadito: "Non è più possibile giocare al 'non c'è stato tempo per discutere'. Ne abbiamo discusso. Venti giorni fa, nella conferenza stampa su cui avete tanto ironizzato, quella della 'televendita', abbiamo presentato la nostra bozza di riforma costituzionale. L'abbiamo messa sul sito del governo. Abbiamo ricevuto molti spunti e stimoli, anche da Confindustria e Cgil, gente che non è che ci ami molto. Abbiamo incontrato la Conferenza Stato-Regioni e l'Anci. Abbiamo fatto un lavoro serio sui contenuti. Ora è il momento di stringere. Il dibattito parlamentare può essere uno stimolo, un arricchimento. Ma non può sradicare i paletti che ci siamo dati".

E a quanto pare i paletti sono ben saldi. Con il premier di guardia a dettare limiti e tempi. 

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