Elezione Presidente Repubblica: Prodi si ferma sulla salita del Colle
Il Movimento 5 Stelle non arretra su Rodotà. I montiani votano compatti per Cancellieri. E un pezzetto del Pd vota ancora Massimo D'Alema. La corsa al Quirinale è sempre più in salita
L'obiettivo era 504 voti. Ma Prodi si è fermato addirittura sotto quota 400. Un film già visto. Solo che ieri la parte del protagonista bastonato è toccata a Marini. Oggi i franchi tiratoti hanno impallinato il Professore. “Torno subito in Italia”, così da Mali questa mattina il due volte presidente del consiglio. Viaggio a vuoto, visti i numeri.
Una debacle per il Partito democratico, la seconda in due giorni. E dire che in mattinata la conta parlava di 8, massimo 9 voti da trovare. Quelli da andare a prendere tra qualche dissidente di Scelta civica, non in linea con la candidatura della Cancellieri sponsorizzata da Mario Monti. Quelli dei 5 Stelle, gli stessi che preferirono Piero Grasso alla linea Grillo. Fumo negli occhi, discorsi fatti e già morti. Il problema sta dentro le mura del Pd. Sono i numeri a parlare. La spaccatura interna non si è rinsaldata e qualcuno è montato sulla diligenza di altri . Risultato? Il nome di Prodi è stato bruciato nel giro di un pomeriggio perché il Pd che sta andando in fiamme.
La giornata di ieri ha rappresentato la Caporetto della buona politica. In 24 ore è successo tutto ed il contrario di tutto. La sinistra che si spacca, i quasi 200 franchi tiratori, Marini costretto a fare il passo indietro, un patto tra destra e sinistra che si sfalda sui numeri, Bersani che ne esce con le ossa rotte e Berlusconi che si ritrova con un pugno di mosche in mano. Poi via di polemiche laceranti, di schede bianche e di proteste di piazza . Quella odierna, ancora carica di scorie, è proseguita ricalcando lo stesso solco.
IL QUARTO SCRUTINIO E IL NULLA DI FATTO DEL TERZO
IL PD PUNTA SU PRODI – Tutto è cominciato in mattinata, con il vertice tra i grandi elettori del Pd. Marini costretto a fare il passo indietro, Bersani, che già nella serata di ieri aveva promesso un cambio di rotta come primo mattone per una fase nuova, lancia Romano Prodi al Quirinale. Grandi applausi e avanti così, fin dalla terza chiamata. Una fase nuova imposta dalle circostanze. La linea intrapresa a ridosso del tappone dolomitico della politica italiana era un’altra: accordo con Berlusconi sul nome dell’ex presidente del Senato. Un patto che avrebbe fatto da contraltare al sottotitolo dell’intera vicenda, un governo di minoranza, guidato da Bersani, con il benestare travestito da lascia passare del Cav. Renzi boccia il piano, lo segue metà dei democratici. Tutto da rifare, ripartendo da Romano Prodi.
MONTI: NO A PRODI
VENDOLA "Sì", GRILLO E MONTI "NO" – La linea che muta improvvisamente, Renzi che lascia Roma e torna a Firenze soddisfatto, e sembra già fatta: Prodi al Quirinale. E invece la coperta è apparsa subito corta e l’elezione sul filo di lana. Fin da subito è mancata la matematica. Se, infatti, sul Professore si è ricompattata la sinistra – almeno per quel che riguarda la partita sul Colle – con Vendola di ritorno alla casa madre, il Movimento 5 Stelle non ha arretrato di un millimetro su Stefano Rodotà. La doccia fredda poi è arrivata da Monti, che ha lanciato nella mischia Annamaria Cancellieri. All’appello manca Grillo, ed il supporto del premier uscente. La soglia del consenso di abbassa fino a 496 preferenze, otto sotto l’asticella che apre le porte del Quirinale.
L'IRA DI BERLUSCONI
RODOTA’ – Il Pd convinto di sfondare con Prodi, i 5 Stelle che inviato a votare Rodotà. “Perché no a Rodotà?” Una domanda di ieri che si è fatta ancora più forte nel giorno dell’ex presidente dell’Iri. Gli appelli di Grillo da una parte – “Con Rodotà si aprono praterie per un governo” – e quelli dell’entourage democrat al diretto interessato, Rodotà appunto. Una richiesta scandita, un passo indietro che potrebbe portare alla schiarita. Come dire, ‘se Maometto non va alla montagna è la montagna che va da Maometto’. E per essere ancora più chiari e per far capire bene la solfa qualcuno del Pd ha pensato di chiamare addirittura la figlia del noto giurista: “Convinci papà a ritirarsi”. Passo rischioso, soprattutto nell’epoca di Twitter: 140 caratteri possono sembrare pochi, ma possono sempre assicurare una figura barbina.
IL PD CHIAMA LA FIGLIA DI RODOTA': "CONVINCI PAPA' A RITIRARSI"
PDL – In tutto questo non è mancata l’ira del Pdl. Berlusconi, con l’accordo in tasca, si è ritrovato nel giro di una notte e una mattinata tagliato fuori dai giochi. No a Marini, no al governissimo. Tanto poco che, a giochi fatti, ha ringhiato: “La candidatura di Marini è stata accantonata violando la parola data”. E ancora: “Gli eredi del Pci, il partito che prendeva rubli sporchi di sangue, non hanno abbandonato i vecchi vizi: invidia, sete di potere, statalismo, vogliono uno Stato padrone dei cittadini”. E in questa logica non sono mancate le rappresentazioni plastiche (o cadute di stile) del dissenso. Come quella dell’onorevole Alessandra Mussolini, che si è presentata nell’aula di Montecitorio con una maglietta bianca con scritto una frase più che esplicita: “Il diavolo veste Prodi”. Risultato? Laura Boldrini, il presidente della Camera, l’ha fatta allontanare dell’aula.
CAOS IN AULA PEL LA MAGLIETTA DELLA MUSSOLINI
PIAZZE – E non è mancata neppure la protesta di piazza. Stesso luogo, il piazzale davanti a Montecitorio, diverse le modalità. Ieri, la manifestazione pro Rodotà, con elettori del Pd, 5 Stelle e Sel a braccetto. Oggi lo slargo si è spaccato in due: da una parte gli stessi sostenitori di ieri, tornati sotto il Parlamento a gridare il nome dell’ex garante; dall’altra le pietre sono state occupate da chi, da destra, ha contestato la nomina di Romano Prodi. Con tanto di mortadella in mano, affettata ed ingollata, che hanno riportano alla memoria uno degli episodi più bassi della storia parlamentare: le fette di mortadella e lo spumante comparse a palazzo Madama nel 2008, nel giorno in cui Mastella negò la fiducia al Prodi bis.