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Mercoledì, 24 Aprile 2024

Antonio Piccirilli

Giornalista

Qual è il vero problema della figuraccia di Salvini in Polonia

Come è ormai arcinoto ieri Matteo Salvini è stato contestato dal sindaco di Przemysl, cittadina polacca che si trova ad una decina di chilometri dal confine con l'Ucraina, che gli ha ricordato le sue (si spera passate) simpatie putiniane rinfacciandogli la famosa foto scattata nella piazza Rossa di Mosca con indosso la maglietta del leader russo. "Io non la ricevo", ha detto Wojciech Bakun, "venga con me al confine a condannare Putin". Se torniamo sull'argomento non è per infierire su un leader in difficoltà, ma perché quanto accaduto non può essere derubricato a semplice siparietto o diventare (solo) motivo di sfottò tra le opposte tifoserie.

Di spunti di riflessione per la nostra classe dirigente - e perché no, anche per i giornalisti e l'opinione pubblica - ce ne sono diversi. Intanto ciò che è avvenuto a Przemysl ci insegna che non tutto, per fortuna, può essere cancellato con un colpo di spugna. Non possiamo e non dobbiamo dimenticare che mentre il presidente russo plasmava a sua immagine e somiglianza le istituzioni di Mosca e metteva la mordacchia alla stampa, dalle nostre parti i suoi estimatori giocavano di sponda con il Cremlino e non avevano remore nel farcelo sapere. Tra questi non c'era solo Salvini, beninteso, che però per molti anni è stato uno dei più ferventi adulatori del leader russo.

Gli esempi si sprecano. "Farei cambio tra Renzi e Putin domattina, altro che dittatore" (18 ottobre 2014). "Fra Putin e Renzi scelgo Putin, senza dubbio. Non dobbiamo dipendere dalle scelte di Berlino e Bruxelles" (18 gennaio 2015). "Se devo scegliere tra Putin e Obama scelgo Putin tutta la vita: il terrorismo islamico va sradicato, con ogni mezzo necessario" (29 settembre 2015). "Sanzioni contro la Russia, follia dei cretini Ue e di Renzi! Io sto con Putin, via le sanzioni" (5 novembre 2015). "Cedo due Mattarella in cambio di mezzo Putin" (25 novembre 2015). "Renzi-Putin? Faccio cambio anche domani mattina, ditemi dove devo firmare" (20 marzo 2016). "Viva Trump, viva Putin, viva Le Pen e viva la Lega" (4 dicembre 2016).

Salvini Putin post-3

E ancora: "Se Parisi e Berlusconi scelgono la Merkel dell'euro e dell'immigrazione, no problem! Io scelgo il coraggio di Putin, Trump e Le Pen" (7 gennaio 2017). "Putin ha ridato ricchezza, prosperità e orgoglio a un popolo che usciva devastato dal centralismo comunista" (25 marzo 2017). "Se devo scegliere tra Putin e la Merkel… vi lascio la Merkel, mi tengo Putin!" (25 marzo 2017). "Secondo me Renzi non vale neanche un mignolo del presidente russo" (29 novembre 2017). "Mi auguro che domani i russi rieleggano il presidente Putin, uno dei migliori uomini politici della nostra epoca, e che tutti rispettino il voto democratico dei cittadini" (17 marzo 2018).

Ma come dicevamo Salvini non è stato l'unico a elogiare il leader russo: ci sono stati anni in cui una parte importante della nostra classe partitica (specie nel centrodestra e all'interno del M5s) ha giocato di sponda con il "nuovo Zar" di Mosca visto come l'uomo forte da contrapporre a un'Europa debole e un atlantismo in declino, oppure come antidoto allo strapotere Usa. Un esempio tra gli altri è quello di Alessandro Di Battista che il 25 gennaio del 2019, quando era ancora dirigente del M5s, scriveva "meno male che c'è Putin" sostenendo la tesi che il leader russo avrebbe evitato un intervento degli Stati Uniti in Venezuela per rovesciare Maduro. "Comunque la pensiate su Putin - affermava l'esponente M5s - dovreste riconoscere che per la pace a livello mondiale una Russia forte politicamente è fondamentale".

Putin Di Battista-2

Certo, cambiare idea è lecito, ma rivedere le proprie convinzioni dovrebbe implicare quanto meno uno sforzo di analisi e una certa dose di onestà intellettuale. Come fa notare su Twitter la giornalista Marianna Aprile "il punto non è che Salvini cambi idea (o finga di farlo) se gli conviene. È che non tenta neanche di elaborare una spiegazione che porti da una posizione all'altra. Anche finta. Anche di comodo. È il ritenere di poterlo fare senza spiegare (neanche ai suoi) un qualsiasi perché".

Ma siamo costretti a ripeterci. Salvini non è certo l'unico ad aver peccato di scarsa coerenza: cambiare casacca senza fare abiura è invece un vezzo ben noto della nostra classe dirigente che (con qualche sparuta eccezione) confida di poter dire tutto e il contrario di tutto senza pagare dazio né temere contraccolpi elettorali. Come diceva Kundera "tout sera oublié et rien ne sera réparé" (tutto cadrà nell'oblio e nulla sarà riparato).

Infine qualche parola andrebbe anche detta sul contestatore di Salvini, ovvero il sindaco Wojciech Bakun, eletto nel 2018 con Kukiz 15, un movimento di destra che ha espresso a più riprese posizioni nazionaliste ed euroscettiche. Il fatto che sia stato proprio un esponente della destra radicale a rinfacciare a Salvini le sue simpatie per Putin ci dice forse qualcosa sui limiti del sovranismo che funziona finché si resta nei propri confini, ma va in crisi quando si tratta di costruire alleanze solide e proficue all'estero. Lo abbiamo già visto nel recente passato quando a rifiutare i meccanismi di redistribuzione dei migranti erano stati i Paesi sovranisti del blocco di Visegrad. Il paradosso è tutto qui: se ogni nazionalismo va per conto suo, trovare una posizione che garantisca tutti diventa difficile. Non è un giudizio di merito, ci sembra solo un dato di fatto. 

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