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Martedì, 23 Aprile 2024
Politica

Come Salvini vuole mettere le mani sul ministero dell'Interno (e sui decreti sicurezza)

La nomina del sottosegretario Molteni è strategica: il Capitano per ora punta a pungolare la ministra Lamorgese sui suoi dossier (come quello sul taser) ma presto cercherà di scatenare un'offensiva politica sull'immigrazione. Ma c'è un problema: Draghi non è d'accordo

"Ma guardi che io sono convinto che il confronto e il dialogo siano davvero un valore": risponde così oggi il sottosegretario all'Interno della Lega Nicola Molteni alla domanda di Marco Cremonesi sul "Bocciata" che aveva riservato alla sua attuale ministra Luciana Lamorgese quando cambiò i decreti sicurezza di Matteo Salvini. 

Come Salvini vuole mettere le mani sul ministero dell'Interno (e sui decreti sicurezza)

Lamorgese, come abbiamo ricordato ieri, è proprio quella ministra che Molteni si dilettava ad attaccare spesso su Facebook in nome dei porti chiusi, della difesa dei confini e del suo segretario Matteo Salvini, facendo girare immagine con una scritta inequivocabile in sovrimpressione: "Bocciata!". Ma adesso che la Lega ha messo il doppiopetto ed è diventata istituzionale - nella scelta dei ministri, visto che lì ha prevalso il Nord produttivo mentre per i sottosegretari ha stravinto Salvini insieme a Berlusconi e Renzi - anche Molteni ha cambiato toni: "In questo momento il bene del paese viene prima di qualsiasi interesse di parte. Per questo Salvini ha scelto di portare la Lega, il primo partito italiano, a dare un grande contributo a questo governo", dice ancora con toni istituzionali nell'intervista il neosottosegretario. Che poi elenca i punti del suo programma di governo: "Il taser, la pistola a impulsi elettrici, era stata introdotta nel 2014 con ministro Alfano. Salvini ha ripreso la sperimentazione con grande successo e poi tutto si è bloccato. Il taser non è uno strumento di offesa ma di difesa. Con il taser, l’uomo che l’altra sera a Milano è stato ucciso da un poliziotto sarebbe ancora vivo. Il nostro stimolo al governo è quello di sottolineare il valore della sicurezza, che peraltro non è né di destra né di sinistra, ma di civiltà. In un momento in cui la crisi economica rischia di trasformarsi in crisi sociale e magari in crisi di ordine pubblico, lo Stato deve essere presente e visibile". 

Come si nota, Molteni di immigrazione non parla. E questo per due ragioni. La prima è che Lamorgese ha già deciso di tenere per sé la delega sull'immigrazione, che quindi non sarà appannaggio né del leghista né di Carlo Sibilia, confermato al ministero dell'Interno nonostante abbia definito Mario Draghi un gangster. La seconda è che dopo il discorsetto che gli ha fatto il premier, la strategia del Capitano e dei suoi fedelissimi nei confronti del governo Draghi ha dovuto subire una mutazione abbastanza radicale. Un primo segnale l'ha dato ieri proprio Salvini, parlando di "dossier rimasti aperti" al Viminale nel cambio da lui a Lamorgese. Si riferiva proprio ai taser poi nominati da Molteni, a dimostrazione del fatto che attualmente la regia politica dietro le dichiarazioni pubbliche c'è e dimostra grande attenzione al coordinamento tra i capi politici e i nominati. Ciò nonostante è evidente che Salvini vuole mettere le mani di nuovo sul ministero dell'Interno e che utilizzerà il sottosegretario Molteni per provarci. Questo perché il Capitano non ha mai digerito l'addio al Viminale, nel quale si trovava benissimo visto che era il megafono più adatto per fare politica. E infatti proprio Molteni ieri ha messo i puntini sulle i, citando Battisti: "I decreti sicurezza? Io li rivendico eccome, con orgoglio e dignità. Per l’80 per cento sono ancora in vigore". Ma alla seconda domanda, sulla volontà della Lega di reintrodurli, lo stesso Molteni ha fatto un passo indietro: "Lo decideranno i segretari di partito con il presidente del Consiglio", anche se "I porti vanno difesi, come il confine e come le frontiere, come fanno tutti gli altri paesi europei. L’immigrazione va governata e regolata". 

E Lamorgese? Repubblica scrive che a chi l’ha sentita la ministra ha ribadito che la linea in questo settore la attua non un sottosegretario ma il responsabile del ministero ed è comunque di competenza del governo nella sua interezza. Le modifiche ai decreti Salvini, si fa inoltre notare, le aveva indicate il Capo dello Stato Sergio Mattarella. E sull'argomento taser il quotidiano fa sapere che "è stata la stessa ministra contestata a più riprese da Salvini a firmare il decreto che aggiunge le pistole elettriche all’elenco delle armi in dotazione: c’è stata una gara ma le tre società che si sono presentate non hanno superato la prova tecnica e un’altra si svolgerà ai primi di marzo". Nessun rallentamento, quindi, nessun dossier dimenticato e anzi c'è da discutere anche la nomina del capo della Polizia dopo la nomina di Gabrielli a sottosegretario con delega agli 007, per la quale il favorito sembra Lamberto Giannini. Se Salvini vuole riprovare a mettere le mani sui decreto sicurezza dovrà farlo con molta attenzione e al momento giusto, ovvero quando l'emergenza sarà in fase di conclusione. Adesso rischia di scontrarsi con Draghi. 

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Cosa vuole fare il governo Draghi sui migranti

Il quale, come abbiamo raccontato, ha già dimostrato un cambio di paradigma sui migranti anche rispetto al Conte Bis: quando la Ocean Viking e la Open Arms sono arrivate in acque italiane il Pos (ovvero l'indicazione del porto sicuro dove sbarcare) è arrivato a 15 ore appena dalla richiesta, ed erano anni che non accadeva. Un cambio di prospettiva piuttosto visibile rispetto a quello che è stata la politica di questi anni: prima era "prima i ricollocamenti e poi gli sbarchi", adesso è "prima gli sbarchi e poi i ricollocamenti". Dagli uffici del Viminale sono uscite anche le richieste per il ricollocamento, ma il tutto, seguendo la legge, è stato fatto dopo lo sbarco. Draghi in parlamento ha ribadito che "in tema di migrazioni, il concetto di Solidarietà europea dovrà" coincidere con un obbligo di redistribuzione di quote tra Paesi di primo approdo e non", confidando nell'ottimo rapporto che lo lega alla Germania. E Salvini? "Sui migranti, visto che si parla tanto di Europa, spero che ci sia una gestione 'all'europea'. Ieri Draghi lo ha detto due volte: cambiare le norme europee. Noi siamo per una politica europea di rimpatri e ridistribuzione", è tornato a ribadire secondo il suo nuovo modello "governista". 

Nella replica al Senato sul tema aveva risposto così: "Mi scuso per non aver esplicitamente sollevato il problema della migrazione; farò qualche osservazione nel merito. Per quanto riguarda il problema, la risposta più efficace e duratura passa per una piena assunzione di responsabilità sul tema da parte delle istituzioni comunitarie ed europee. È d'altronde uno dei dossier politici più rilevanti a livello europeo quello sulle proposte normative presentate dalla Commissione nel settembre dello scorso anno, nell'ambito del cosiddetto Patto europeo su migrazione e asilo. Si tratta di nuove proposte che fanno seguito al fallimento dei negoziati, svolti nel periodo 2014-2019, per la riforma del sistema comune europeo di asilo, ma che non sciolgono lo stallo politico che continua a bloccare l'azione dell'Unione europea, specie sulla declinazione del principio di solidarietà. Permane infatti la contrapposizione tra Stati di frontiera esterna, maggiormente esposti ai flussi migratori (Italia, Spagna, Grecia, Malta e in parte Bulgaria) e Stati del Nord ed Est Europa, principalmente preoccupati di evitare i cosiddetti movimenti secondari dei migranti dagli Stati di primo ingresso nel loro territorio. L'Italia, appoggiata anche da alcuni Paesi mediterranei, come la Spagna, Grecia, Cipro e Malta, propone come concreta misura di solidarietà - per segnare la specificità della gestione delle frontiere marittime esterne - un meccanismo obbligatorio di redistribuzione dei migranti pro quota".

In più, il premier è un fervente cattolico con buoni uffici ed entrature in Vaticano, e quindi difficilmente si discosterà dalle raccomandazioni di Papa Francesco o sfiderà il Pontificato come ha fatto in qualche occasione Salvini. Il secondo, più interessante, è che Draghi è uno dei pochi in Europa che può vantare un filo diretto con Angela Merkel: con il Whatever it takes salvò l'euro, sì, ma anche la rielezione della Cancelliera. Che gli rese il favore nella battaglia condotta contro la Bundesbank di Weidmann prima e con il ricorso alla Corte Costituzionale tedesca sul Quantitative Easing poi. A partire dal gesto sui siriani, la politica dell'accoglienza della Germania in questi anni è stata di grande apertura (ed è costata al partito di Merkel anche molti voti oltre alla crescita dell'opposizione interna). 

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