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Sabato, 2 Dicembre 2023
Lega Nord

Lega Nord, troppi scandali: il Sole delle Alpi è tramontato

Con la vicenda di Adro, con l'arresto di uno degli "sceriffi" con la camicia verde, cala il sipario sulla Lega Nord. Il Sole delle Alpi tanto caro a Oscar Lancini è definitivamente tramontato. Da Belsito ai Bossi, il racconto del fallimento

C'era una volta, incastonato tra le Alpi, un sole verde. Un sole che si è acceso e spento nel giro di un ventennio. C’era una volta la Lega Nord.

C’era una volta, nonostante l’impegno di Roberto Maroni e nonostante Maroni sia il governatore della Lombardia con il fazzoletto verde sul taschino della giacca. C’era una volta nonostante il governatore della Lombardia stia provando a rottamare il padre spirituale del Carroccio: Umberto Bossi. Che l’ha fondata, la Lega, e l’ha affondata, o meglio, ha lasciato fare.

Questa mattina l’ultimo capitolo di una storia esplosiva e poi pian piano sempre più fioca, paradossale. Per Oscar Lancini, sindaco di Andro, comune nel bresciano, sono scattate le manette per “turbata libertà degli incanti e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente” e “falso in atto pubblico”. La manette dei carabinieri e i domiciliari per uno che tra i teorici della ‘Padania’ era considerato uno sceriffo del ‘ce l’ho durismo’. Uno di quelli spietati, pronto a negare il pranzo ai piccoli stranieri i cui genitori non potevano pagare la mensa scolastica. Un ‘accademico’ vero, con in testa la scuola padana con tanto di simboli ovunque, anche nei cestini (per la cronaca: lo sdegno pubblico, sprecobe di soldi pubblici, con tanto di indagine della Corte dei Conti).  L’ultima bufera arriva da Adro, dalla periferia, ma picchia diritta ad un cuore già malandato. Sì perché lo storico parla chiaro.

Per pillole. E’ l’inizio della primavera del 2012, scoppia lo scandalo Belsito. Truffa ai danni dello Stato e finanziamento illecito ai partiti. I pm fin da subito parlarono di “elementi di opacità nella tesoreria del Carroccio fin dal 2004”. Fiumi di denaro nelle casse del partito e rendiconti “irregolari”, scrivevano allora i magistrati. E poi il tesoriere, Belsito, che acquista le quote in un fondo Krispa a Cipro e in uno in Tanzania. Il tutto per circa “6 milioni”. Le indagini di tre procure (Milano, Napoli e Reggio Calabria), gli indagati, come Belsito, le perquisizioni nelle sedi storiche, i 12 diamanti in cassaforte, i rapporti tra il tesoriere verde e Romolo Girardelli, un procacciatore di business in odore di ‘ndrangheta, la presunta testa economica del potentissimo clan dei De Stefano.

Da qui la voragine che ha inghiottito tutto e tutti. A cominciare dalla famiglia Bossi, anzi da casa Bossi, ristrutturata con i soldi della Lega. Il giro di mazzette che inghiotte il figlio ‘dell’Umbert’, Renzo Bossi, per tutti ‘il Trota’, che all’epoca dello scandalo se ne stava comodamente seduto nel consiglio regionale lombardo. Seduto all’ombra del Pirellone e continuamente foraggiato dai faccendieri padani (200mila gli euro che Belsito avrebbe sottratto dalle casse del Carroccio per le spese personali della prole di Bossi). Avanti così, con le dimissioni di Bossi, quelle del ‘Trota’, le ipotesi di complotto, le guerre fratricide in casa, la voglia di “pulizia, pulizia, pulizia” di un Maroni alla Borrelli, la caduta fragorosa degli idoli.

Così, in pillole, velocissimo e breve (per farla meglio ci vorrebbe lo spazio di ‘Guerra e Pace’). E poi, la fine. Perché, quel che era la Lega non lo è più. Di quel partito è rimasta la bieca brutalità di un tempo, la veste razzista e xenofoba, l’integralismo al contrario, l’anacronismo di certi radicalismi del profondo Nord, la fatica a comprendere città come Londra o New York. Questo modesto pacchetto si è ‘salvato’ anche in termini elettorali. L’altro, la vera novità della Lega, si è disperso.

Non saranno mica stati i fan di Pontida e dell’ampolla del Po a far salire le percentuali del Carroccio su due cifre? No, affatto. La verità è che la Lega negli anni ha perso la sua spinta innovatrice. Quella che denunciò le magagne di uno Stato di plastica, finto. La stessa che inaugurò, agli sgoccioli della prima Repubblica, la stagione dei ‘rottamatori’ prima ancora dei VDay di Grillo e delle Leopolde di Renzi. Mentre il novecento con le sue utopie deflagrava, la Lega seppe strappare il voto degli operai comunisti, puntò sul federalismo prima di tutti, quando Dc, Psi e in parte Pci erano alle prese dello sfascio di Tangentopoli. All’epoca la Lega chiuse un epoca, ‘sfondò’ i cancelli delle fabbriche, sbaragliò il sindacato, parlò con quell’elettorato che il Partito comunista da ‘salotto’ aveva dimenticato. E si prese il Nord.

Poi si trasferì a Roma, e fece un po’ d’accordo con il primo Berlusconi, poi con D’Alema (“la costola della sinistra”), ed infine tornò nei giardini di Arcore. Da quella “Roma ladrona”, con quei vergognosi cappi in mano, non è più tornata. Anzi, è tornata ma con i diamanti in cassaforte e i Belsito di turno. E si è fatta macerie, tramonto schiacciata da un vecchio adagio di Pietro Nenni: “C’è sempre uno più puro che ti epura”.

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