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Giovedì, 28 Marzo 2024

Anna Dazzan

Giornalista

C'è un motivo se mia figlia neanche sa chi è Enrico Letta

«Ma secondo te la Meloni lo sapeva che avrebbe vinto?». Questo mi ha chiesto mia figlia tredicenne all’indomani delle politiche. Nel risponderle mi sono soffermata a spiegarle non solo il senso dei sondaggi e delle proiezioni elettorali, ma anche qualche rudimento di tattica politica. Poi mi sono fermata e ho pensato cosa può capirne una ragazzina che galleggia ancora indecisa tra infanzia e adolescenza, cercando di ricordarmi quanto mi interessassi io di questi temi alla sua età. La risposta è stata “praticamente zero” (se si esclude un tema libero che decisi di dedicare su suggerimento di mia madre alla figura di Antonio Di Pietro nel caso Mani pulite e che oggi pagherei oro per rileggere). Il punto è che le mie figlie, così come la maggior parte dei ragazzi e delle ragazze di oggi, hanno il privilegio/bidone di avere un accesso molto più libero a qualsiasi tipo di informazione. Bella o brutta, giusta o sbagliata, fuorviante o giustificata che sia. E quindi anche loro, pur spesso e volentieri non volendolo, hanno avuto la loro dose quotidiana di campagna elettorale. Il risultato? Un bel minestrone, molto a senso unico. Provando a star dentro a questa cosa delle elezioni con la tredicenne di casa mi sono accorta, infatti, che il nome da lei più citato è quello di Giorgia Meloni (con sua sorella anni fa han fatto anche un adorabile remix di “Io sono Giorgia”). Rendendomene conto le ho chiesto chi fossero gli altri e le altre esponenti della politica da lei conosciute. Questa la risposta. “Dopo la Meloni? Beh. Berlusconi. Poi, ovviamente, Salvini. E Conte”.

Ho pensato due cose. La prima: anche lei usa il “la” prima di Meloni, le devo insegnare che non serve. La seconda: ma che fine ha fatto la sinistra? Così le ho chiesto se sapesse chi fosse il segretario del Pd, ritrovandomi a specificare che Pd sta per “partito democratico”. Niente, zero, nulla, vuoto assoluto. Passi che Letta è arrivato un po’ in soccorso e poi tutte quelle cose che non lo hanno reso proprio visibile, ma scavando un po’ di più è emersa la totale ignoranza sul tema. La sinistra non è fatta di persone, ma di concetti. Quale epifania! E poi ci penso. Entrambe le mie figlie, tredici anni l’una e diciassette appena compiuti l’altra, mi hanno sottoposta a un quiz su Tik Tok per farmi capire chi avrei dovuto votare. A parte aver pensato una cosa tipo “ah, se fosse così facile farei un test per ogni dilemma della mia vita”, ho poi domandato se lo avessero fatto anche loro e così hanno risposto alle domande (solo sì o no) davanti ai miei occhi. Superfluo dire che su questioni tipo patrimoniale e flat tax hanno improvvisato, per il resto è stato tutto un peace&love al grido (cliccato) di “più diritti per tutt*!!”. E così, alla fine del quiz, sono spuntati fuori i simboli della sinistra di cui, però, loro non conoscono nemmeno una o un esponente. Credo che quel che è successo è che mentre a destra si comunicava, si proponeva, ci si esponeva, a sinistra si parlava sì, ma soprattutto della destra. Tranne rare eccezioni (penso soprattutto alla scelta di Pippo Civati di mettere a disposizione un numero WhatsApp dove poter chattare con lui), la campagna elettorale del centrosinistra si è srotolata all’inseguimento di quel che succedeva al polo opposto.

Il risultato è stato non solo quel che abbiamo visto alle urne, ma anche una sorta di effetto eco a favore non tanto dei contenuti quanto delle persone. Un evidenziatore sui nomi, sui volti, sui meme persino. Così Meloni ha il suo remix, Berlusconi “fa tenerezza”, Salvini ha le felpe, Conte le sue “bimbe” e Letta si dimette. Un’altra cosa, però, mi ha chiesto la tredicenne troppo grande per essere bambina e troppo piccola per essere donna. “Ma adesso, la mia compagna di classe che non ha la cittadinanza, dovrà lasciare l’Italia?”. Quasi quasi le dico di scrivere a Civati. O, al massimo, a Chiara Ferragni.

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