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Sabato, 20 Aprile 2024
Politica

Sondaggi, Pd sempre primo partito: il "caos romano" frena i Cinque stelle

Il M5s soffre per la difficile situazione della capitale, mentre la maggioranza dell'elettorato dem ha ancora fiducia in Renzi (che vuole le elezioni a giugno). Cosa dice l'ultimo sondaggio dell'Istituto Ixé sulle intenzioni di voto degli italiani

Il Pd rimane il primo partito italiano, secondo le intenzioni di voto dell'Istituto Ixè fatte per Agorà (Raitre). Il partito dell'ex premier Matteo Renzi è infatti al 31% (-0,1% in una settimana). Alle sue spalle il Movimento 5 stelle perde, in sette giorni, 2,3 punti percentuali, passando dal 29,9% al 27,6%, complice la situazione difficile del sindaco Virginia Raggi a Roma. La Lega Nord è al 13,3%, mentre Forza Italia si attesta al 12,5%.

Stando ai dati raccolti dal sondaggio Ixè, il 76% degli elettori dem non vedrebbe di buon occhio una scissione del Pd. La maggioranza dell'elettorato (86%) ha ancora fiducia in Matteo Renzi, mentre il 42% pensa che l'ex premier abbia chiuso il suo ciclo.

COSA SUCCEDE NEL PD - O si torna a votare, dopo un accordo blindato su una riforma elettorale, o si fa il congresso in primavera, "prima delle amministrative". Matteo Renzi sta valutando questa linea da esporre alla direzione di lunedì, il segretario Pd in queste ore continua a tenere contatti con tutti i principali dirigenti del partito e tiene un filo diretto con i sui fedelissimi in Parlamento per avere una fotografia delle forze in campo, chi è con lui e chi no, in vista dell'appuntamento della prossima settimana. L'ex premier, spiegano, sembra intenzionato ad offrire al parlamentino Pd entrambe le opzioni, voto a breve o congresso in primavera, ma di sicuro non intende "stare fermo un anno" in attesa del voto nel 2018. In questo modo, avrebbe spiegato, si smonta anche la minaccia della scissione, "vediamo chi se ne va davvero e chi resta. Ma se si resta, poi si rispetta il verdetto del congresso".

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QUANDO SI VOTA? - Per Renzi l'opzione del voto a giugno resterebbe quella più sensata, spiegano, anche per poter affrontare la nuova legge di stabilità e le richieste Ue con un governo e una maggioranza più forti. Ma il leader Pd, da giorni, viene frenato da più parti: Franceschini e Orlando che gli consigliano di andare prima ad un accordo su una nuova legge elettorale, i 40 senatori che firmano a sostegno del governo Gentiloni, la minoranza che minaccia scissioni in caso di accelerazioni verso le urne.

Franceschini, in particolare, era convinto di aver fatto dei passi avanti con la proposta di una riforma elettorale basata sul premio alla coalizione, uno schema che aveva trovato consensi a sinistra e a destra, dalle parti di Fi. Per questo l'uscita di Bersani di ieri non è piaciuta, quel "votiamo nel 2018" rilanciato in modo perentorio insieme alla battaglia contro i capilista è suonato come il messaggio di "uno che ha deciso di rompere comunque", si lamentavano gli uomini del ministro dei Beni culturali. "Poi - era la conclusione - non possono lamentarsi di quello che può succedere...".

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Quello che può succedere, appunto, è il rilancio di Renzi verso un congresso che nel Pd, in questo momento, nessuno vuole davvero. "Ma a questo punto - ragionano i franceschiniani - diventa difficile dire no al segretario, di fronte a Bersani che gli dice 'ti vogliamo comunque fare fuori'". Un messaggio che, sottolineano, viene ribadito da Massimo D'Alema nell'intervista di oggi: l'ex leader Ds mette nel congelatore la scissione, con l'allontanarsi delle urne, ma insiste a parlare di Ulivo, di una lista che non sarebbe quella del Pd ma "una grande lista aperta".

Renzi con i suoi si sarebbe sfogato: "Chi parla di Ulivo vuole la fine del Pd. L'Ulivo è stato superato per fare il Partito democratico, tornare a parlarne vuol dire avere in mente un ritorno al passato". Di sicuro, riferiscono molti renziani, il segretario non intende restare fermo a "farsi logorare da D'Alema, Bersani, Emiliano che lo attacca ogni giorno. Se non si vuole votare, si faccia il congresso. E magari facciamo tutte e due le cose: prima il congresso, rapido, poi il voto a giugno...".

Bersani e Speranza fanno il punto della situazione in queste ore, la linea è di contestare l'accelerazione verso il congresso: "Vanno bene il congresso e le primarie - dice Speranza - ma non può diventare una farsa, ci vuole tempo". Tradotto, non si può fare il congresso prima delle amministrative. Proprio quello che hanno in mente i renziani: "I bersaniani - spiega un fedelissimo del segretario - vorrebbero fare il congresso dopo le amministrative per farci pesare gli eventuali risultati negativi. Non glielo permetteremo".

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