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Martedì, 23 Aprile 2024
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Gasdotti, discariche, ma anche strade e ferrovie: 342 opere bloccate dalle proteste

Dai No Tav ai No Tap: gli italiani non vogliono le grandi opere nel loro "cortile" di casa. Il fenomeno della contestazione ha assunto una dimensione strutturale che ha portato ad un progressivo abbandono di progetti ed investimenti da parte delle imprese

Gli italiani non vogliono le grandi opere, o meglio: non le vogliono nel loro "cortile" di casa. Vale per il gasdotto Tap che in Salento ha visto infuocate proteste da parte della popolazione locale contraria allo spostamento di centinaia di ulivi secolari per far posto al cantiere della multinazionale, ma è una logica che si ripete in centinaia di volte in tutto lo stivale.

Storica ormai la contestazione al cantiere della Tav Torino-Lione in Val di Susa con i ripetuti assalti del cantiere a Chiamonte: solo ieri la cassazione ha stabilito che non si tratta di "terrorismo" come sostenuto dalla procura piemontese. Il fenomeno della contestazione ha assunto in Italia una dimensione stabile, strutturale: è quanto emerge dall'ultimo rapporto dell’Osservatorio Media Permanente Nimby Forum®, l’unico database nazionale che dal 2004 monitora in maniera puntuale la situazione delle opposizioni contro opere di pubblica utilità e insediamenti industriali in costruzione o ancora in progetto.

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Gli impianti oggetto di contestazione nel solo 2015 ammontano ad un totale di 342 che hanno portato anche ad un progressivo abbandono dei progetti da parte delle imprese proponenti: una perdita di investimenti, ma anche una "vittoria" dei comitati locali se visto con un ottica da parte dei cittadini. Il dato più dirompente è però quello che attiene le ‘new entries’, e cioè gli impianti che per la prima volta compaiono nel censimento Nimby Forum: nel 2015 si registra un picco (+22%) di nuovi focolai di contestazione con un 111 unità censite rispetto alle 91 del 2014.

Ogni tentativo di mutamento dello status quo incontra enormi difficoltà in Italia, poiché l’iniziativa industriale oggetto sono spesso soggetto di "NIMBY", acronimo dell'inglese Not In My Back Yard, che sta per "Non nel mio cortile" e identifica una forma di protesta attuata da un gruppo di persone o da una comunità locale contro opere e attività di interesse pubblico che hanno o potrebbero avere effetti negativi sulla loro area di residenza.

Sotto accusa la mancata definizione di un modello di sviluppo condiviso, come obiettivo nazionale, con i cittadini e gli enti locali. "D’altro canto - commenta Filippo Patroni Griffi, Presidente aggiunto del Consiglio di Stato – per affrontare la sindrome Nimby occorre intervenire su almeno due fronti: quello del procedimento, dove oggi si scarica la composizione di vari interessi pubblici contrapposti ma equiordinati dalla legge, e soprattutto quello dei decisori pubblici. Bisogna investire nella riqualificazione dei civil servant italiani per educarli a fare, non a difendersi.

Energia e Rifiuti: i settori più contestati

Cartina impianti contestati elenco-2

Mentre l’Europa continua a puntare sulla diffusione dell’economia circolare – basata sull'idea del recupero dei rifiuti come risorse produttive –, in Italia il movimento del No ostacola con particolare enfasi gli impianti necessari allo scopo: termovalorizzatori e biodigestori. Rispettivamente, queste due tipologie di impianto cubano il 10.5% e il 16.9%, sul totale delle opere contestate.

Più in generale e malgrado una flessione del 10% rispetto al 2014, il settore più esposto è quello energetico (52,33% delle rilevazioni totali). La crescita più pronunciata riguarda però il comparto dei rifiuti: con un balzo del +11,8% sul 2014, il settore torna ai livelli record del 2009.

Salta all'occhio la sostanziale scomparsa del fotovoltaico, che registra zero impianti contestati. Un dato che può certamente essere ricondotto alla drastica riduzione degli investimenti, calati del 31% nel 2015, secondo il GSE. Diverso il caso dell’eolico, che – con 14 contestazioni censite (4% del totale) – nel 2015 ha intercettato investimenti pari ad un +338%.

Soggetti coinvolti e dislocazione geografica

Cartina impianti contestati-2

Dal monitoraggio della stampa nel 2015, emerge il ruolo di assoluta centralità della politica nell'alimentare e sostenere le contestazioni: movimenti partitici locali ed enti pubblici sono il motore del No nel 45,6% del casi censiti. Per quanto più ‘rumorosi’, i comitati (35,6%) e le associazioni ambientaliste (13,8%) si posizionano in coda. Il movimento ambientalista, in particolare, arretra rispetto al 2014, quando era all'origine delle proteste nel 15,6% dei casi.

Sostanzialmente invariata è la mappa delle contestazioni. Ai primi posti della classifica, le regioni del Nord, con in testa la Lombardia (53 impianti contestati), la Toscana (37), l’Emilia Romagna (31) e il Veneto, che, con 27 impianti contestati, vede diminuire i focolai di protesta del 42,5% sul 2014.

Di segno opposto la situazione della Basilicata, che passa dai 6 casi Nimby registrati nel 2014 ai 23 del 2015: un incremento che porta la regione dal sedicesimo posto del 2014 al sesto di questa edizione.

Motivazioni e iniziative di comunicazione

L’impatto sull'ambiente resta al primo posto tra le ragioni di protesta (32,8% sul totale), evidenziando tuttavia un -7% rispetto al 2014. Da segnalare, in ogni caso, l’aumento della preoccupazione sull'ambito specifico dell’inquinamento (+2,8% sul 2014).

A crescere in maniera significativa – dal 14,6% del 2014 al 18,6% del 2015 – sono le opere contestate in ragione di un deficit di coinvolgimento o di iter autorizzativi farraginosi e contorti. Si tratta di un dato che interpretiamo come domanda di partecipazione da parte dei cittadini, ma anche come scarsa efficacia della legislazione nel definire le regole del gioco per lo sviluppo del Paese. È questo il tema ricorrente dell’incertezza del diritto, che colpisce le imprese che vedono spesso i propri progetti bloccati, malgrado l’iter autorizzativo si sia concluso con successo.

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