Terzo polo, polo centrista, polo moderato, grande centro. Lo hanno chiamato nei modi più disparati il progetto di unione di Azione e Italia Viva, lanciato da Carlo Calenda e Matteo Renzi. Era nato soprattutto per convenienza e alla prima difficoltà si è rotto. Tuttavia c'era un obiettivo politico: intercettare quell'elettorato moderato e liberale in un momento storico in cui destra e sinistra si stavano polarizzando. Alle elezioni politiche la federazione ha preso il 7,8% mentre alle scorse regionali ha preso il 4,9% nel Lazio il 4,3% in Lombardia.
"Esiste un pezzo di elettorato che, per esempio alle politiche, ha guardato all'esperimento del così detto Terzo polo e che rappresentava un voto che rifiutava il dualismo destra-sinistra. Dopo di che lo spazio politico dipende dalla capacità dei leader di occupare quello spazio. Se non c'è un'offerta politica credibile o ci si perda in litigi interni, l'elettorato va altrove. Non è che l'elettorato è di centro in quanto tale. Dà fiducia a un progetto finchè questo risponde a determinate esigenze". Lo spiega direttamente a Today Lorenzo Pregliasco, professore al dipartimento di Scienze politiche e sociali dell'Università di Bologna e direttore del web magazine YouTrend.
Non ci sarebbe dunque un elettorato che, per valore o cultura politica, sceglie centro o morte. Soprattutto in un momento storico come questo, in cui il voto è più magmatico. Se quindi ci fosse un progetto politico autorevole e credibile, alternativo sia alla destra che alla sinistra, potrebbe aspirare a di più. "La mia impressione - continua Pregliasco - in questa fase è che si stia andando semmai verso una bipolarizzazione, uno schema centrosinistra contro centrodestra. E questo anche per le leadership polarizzanti. Si potrebbe pensare che lascino molto spazio al centro ma sono anche di grande visibilità mediatica. E poi finché la legge elettorale rimane questa, non è che ci sia molto spazio per terzi poli e quarti poli. Alla luce di questo, un progetto centrista faticherebbe a prendere di più di quanto abbia preso alle scorse politiche o di quanto Mario Monti prese nel 2013".
Nel 2013 Monti è arrivato intorno al 10% mentre alle scorse politiche il Terzo polo, favorito da una certa visibilità mediatica e un Pd debole, non ha raggiunto l'8%. Insomma è stato Mario Monti a raggiungere cifre record. "Anche ammesso sia un 10%, - specifica l’esperto - non necessariamente risulterebbe determinante in Parlamento. Cioè se c'è un assetto politico in cui c’è una maggioranza a prescindere da te, quel 10% pesa il giusto".
Cosa succede a Forza Italia
In effetti in questi primi mesi di Governo di Giorgia Meloni, il Terzo polo ha toccato palla poche volte. La casacca dei moderati è difficile da sostenere: non solo quando entra nelle Aule, rischia di non pesare ma fuori, nel Paese, non avrebbe neppure un proprio elettorato così radicato. La prova arriva dall'identikit dell'elettore del Terzo polo. "È un elettorato prevalentemente urbano, - continua Pregliasco - residente nelle città e grandi città e, all’interno delle grandi città, è nettamente prevalente il voto che viene dal centro, aree residenziali, borghesi e benestanti. È una semplificazione perché dentro c'è un po' di tutto ma rappresenta i ceti professionali, con persone mediamente istruite e con un livello professionale medio alto. Quindi è un pezzo di elettorato di classe media o medio-alta, che in passato, negli anni '90, avrebbe votato centrodestra e che, nell’ultimo periodo, si era avvicinato al Partito democratico con Renzi. Anche nelle regionali si vede come il consenso del terzo polo sia molto nelle Ztl, dove il Pd perde quel primato che aveva avuto negli ultimi anni. Proprio perché una certa parte di ceto medio o medio-alto ha preferito il Terzo polo al Pd. Sono però valutazioni del passato, chissà cosa succedere nel futuro".
Nel futuro rischia di esserci l'implosione di Forza Italia e qualcuno crede che possa andare a ingrossare le fila del centro. "No, credo sia un elettorato che guarda a destra, che guarda non solo più a Meloni che a Schlein ma anche più a Meloni che a Calenda. Io sono scettico sulla visione di Forza Italia come elettorato riformista, progressista rispetto a Lega e Fdi. Magari guarda a Renzi con meno antipatia ma lo identifica comunque come uno che ha guidato il centrosinistra".
Insomma non c'è nulla, salvo una nuova legge elettorale, che possa far pensare che un Terzo polo possa esistere. "Per esistere, esiste ma bisogna essere consapevoli dello spazio che c'è. L’unico partito che negli ultimi anni ha disarticolato il sistema è il M5s. Lì si che si era creato uno spazio molto ampio ma non mi pare che Terzo polo possa ambire a questo. Con una legge elettorale proporzionale, cambierebbe molto perché si avrebbe bisogno di quel 6, 7 o 8% per fare un governo. Lo scenario lì sarebbe molto diverso". Con proporzionale potrebbero superare 10? "Difficile dirlo ma la loro percentuale potrebbe pesare di più, soprattutto perché è più difficile per una coalizione avere la maggioranza dei seggi" ha concluso Pregliasco.
Chi c'è dietro Renzi e Calenda
L'analista politico non lascia molto scampo al futuro di chi aveva creduto nell'idea di un partito unico al centro. Nella migliore delle ipotesi, dovrebbe esserci un sistema elettorale proporzionale e sperare nella debolezza dei partiti di destra e sinistra più moderati. Solo così potrebbe augurarsi di raggiungere cifre che, comunque, non consentirebbero di governare. Al massimo i moderati in Italia possono essere ago della bilancia.
La dice lunga anche la radiografia del pedigree politico dei due leader Matteo Renzi e Carlo Calenda. L'ex ministro dello sviluppo economico nei governi Renzi e Gentiloni viene dal Partito democratico e guida un partito formato per un terzo da ex Pd, per un terzo da ex Forza Italia e un terzo da neofiti della politica. Chi è entrato in azione ha un profilo preciso: under40, almeno una laurea in tasca, tendenzialmente proveniente dal Pd e radicato nelle città del nord. Un gruppo che di base sposa l'agenda Draghi ma con approccio molto neutro rispetto ai temi del salario, diritti civili, immigrazione. Insomma non sono proprio la rappresentazione della base di un partito che si vuole dire radicato.
Radicato nel territorio potrebbe dirlo di essere Italia Viva, visto anche i numeri di voti che vanta nella competizione interna con i calendiani. Ma anche lì, chi influenza Matteo Renzi non è proprio maggioranza del Paese. Dietro Renzi infatti ci sono sempre stati nomi provenienti dalla Università Bocconi, tipo l'ex Rettore dell'Università Bocconi, Guido Tabellini, che nel 2014 si era avvicinato alla Leopolda dopo aver gravitato nella galassia berlusconiana nel 2008. Ci sono poi nomi più noti come il patron di Tod's Diego Della Valle. E poi banchieri toscani; Vincenzo Manes, presidente dell'Intek group e finanziatore generoso delle fondazioni con cui il sindaco di Firenze ha scalato la grande politica. Nomi che hanno contato molto nella scalata di Renzi nel Pd e poi nel suo governo del Paese; che forse si sono eclissati nel corso del tempo ma che danno comunque il polso del mondo da cui proviene l’ex Premier.
Appare dunque chiaro come due personalità come Renzi e Calenda, che forse non starebbero insieme nemmeno nella stessa auto, possano far fatica a condividere un progetto comune. Soprattutto perché non ha possibilità di influenzare la politica in un momento storico come questo. Lo dicono i numeri e i risultati, dentro i palazzi come anche dentro le urne dei seggi elettorali. Forse una possibilità per i liberali in Italia c'è ma, oggi è un fatto, una sarà una sigla creata a tavolino da due signori per entrare in Parlamento. Non finché ci saranno due partiti come Pd e Forza Italia che, per storia e natura, sanno ancora parlare ai moderati in Italia.