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Giovedì, 25 Aprile 2024
Politica

"È un bluff", "vuole fare il sindaco di Roma", "no è tutto vero": perché Zingaretti si è dimesso da segretario del Pd

Ieri l'annuncio a sorpresa dell'addio all'insaputa di tutti. Oggi tutte le ipotesi sul suo successore con Bonaccini in pole e i retroscena sulla scelta strategica del presidente della Regione Lazio. Il quale agli amici ha detto che...

Da quando ieri Nicola Zingaretti ha annunciato le sue dimissioni da segretario del Partito Democratico su Facebook è scoppiata la gara al retroscena che spiega perché il presidente della Regione Lazio ha detto addio (o arrivederci) alla sua poltrona. Lui, sul social network da dove aveva la settimana scorsa inviato solidarietà a Barbara d'Urso per la chiusura del suo programma, ha parlato di uno "stillicidio" riferendosi agli attacchi che ha ricevuto in questi giorni e di un partito che "pensa alle poltrone in piena pandemia", mentre i sondaggi politici oggi danno il Pd in difficoltà con Conte leader M5s. Il segretario ha aggiunto un dettaglio molto rilevante: ovvero che chi lo sta attaccando oggi "ha condiviso tutte le scelte fondamentali che abbiamo compiuto". 

Perché Zingaretti si è dimesso da segretario del Partito Democratico

Delle dimissioni di Zingaretti da segretario del Pd avevano parlato la settimana scorsa i giornali, sottolineando che il presidente della Regione Lazio voleva farlo alla vigilia dell'Assemblea come in effetti è accaduto. Eppure oggi in molti parlano di un gesto a sorpresa e all'insaputa di tutti. Di certo Zingaretti non ha avvertito prima i suoi vice Andrea Orlando e Dario Franceschini, mentre un fedelissimo del calibro di Goffredo Bettini (anche lui tenuto all'oscuro) ha detto che è una decisione che lo addolora e ha auspicato fin da subito un ripensamento mentre Gianni Cuperlo ha auspicato che l'assemblea convocata per il 13 e il 14 marzo respinga le dimissioni del segretario. Intanto l'account del Pd su Twitter ieri ritwittava tutti i messaggi che chiedevano al segretario di ripensarci e magnificavano le virtù della sua segreteria.

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Tutto insomma sembrava andare verso le dimissioni "tattiche", ovvero che il segretario del Pd si fosse dimesso per mettere all'angolo le correnti che volevano il suo addio e farle uscire allo scoperto per poi farle rendere conto di essere una minoranza nel partito, dove è pronto a votare per lui il 70% degli aventi diritto. Ma a quanto pare non è così: "Vi sbagliate, io giochetti non ne faccio, non sono abituato a fare politica in questo modo", avrebbe detto ai fedelissimi secondo il Corriere della Sera. Zingaretti è convinto che se l'Assemblea Nazionale lo proclamasse di nuovo segretario "poi ricomincerebbe lo stillicidio quotidiano". E oggi lo ha ribadito in alcune dichiarazioni pubbliche: "Rileggetevi lo statuto, non è previsto che si respingano le dimissioni", ha detto ai giornalisti. Anche Fabio Martini sulla Stampa racconta che non si tratta di un bluff ma di dimissioni vere: 

Non si è fatto vedere nella sede nazionale del Pd, è rimasto chiuso nel suo ufficio alla Regione Lazio alla periferia sud di Roma e soltanto verso sera all’amico di una vita che gli chiedeva per la centesima volta se le sue dimissioni fossero immaginate per farsele respingere, il segretario ha risposto: "Allora non ci siamo capiti: le dimissioni sono irrevocabili! Il Pd non può permettersi di ricominciare tra qualche settimana con la fronda di questo o di quello".

Sino a sera, ieri Zingaretti non ha neppure risposto a Franceschini e ad Orlando che lo hanno cercato per tutto il giorno per sottoporgli l’idea che entrambi condividono: "L’Assemblea nazionale ti deve confermare per acclamazione". Zingaretti ci ripenserà? L’unica condizione accettabile per lui sarebbe un mandato pieno fino al 2023 e non un incarico a tempo per traghettare il partito fino a dopo le Amministrative.

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"È un bluff", "vuole fare il sindaco di Roma", "no è tutto vero": le dimissioni di Zingaretti spiegate 

Di certo c'è che gli avversari interni sono in difficoltà.  I primi a chiedere le dimissioni di Zingaretti sono stati gli esponenti di Base Riformista con il capogruppo al senato, Andrea Marcucci, in prima fila. L'area che fa capo al ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, e a Luca Lotti si è data una linea improntata al silenzio. Non è un mistero, tuttavia, che gli esponenti di spicco della corrente, assieme ai sindaci Giorgio Gori e Dario Nardella, guardino al governatore dell'Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, come al candidato ideale, tanto che nell'ultima assemblea dell'area si è fatto riferimento a un "candidato esterno" all'area (lui non è iscritto alla corrente). E infatti ieri scorrendo nei lanci di agenzia i tanti appelli a ripensarci e i tanti complimenti per il lavoro fin qui svolto mancava all'appello proprio Bonaccini, forse l'unico a rimanere in silenzio. Ci sarà un perché. Nel partito c'è chi attribuisce la mossa a "un crollo di nervi" ma alcuni dicono che c'era chi sapeva della decisione già da martedì. 

Gli ex renziani sono convinti che "Zingaretti punti a farsi rieleggere a furor di popolo dall’assemblea nazionale (qualcuno dice addirittura per acclamazione e senza un voto), per poi strozzare il dissenso fino alle elezioni di Roma", scrive la Stampa mentre anche alcuni di Italia Viva, a microfoni spenti, dipingono lo stesso scenario. Poi c'è chi dice che le dimissioni di Zingaretti sono funzionali a un grande piano per candidarsi sindaco di Roma, cosa che, spiega oggi Il Fatto Quotidiano, diventa possibile con le elezioni fissate a ottobre. Resta da vedere se perseguirà questo obiettivo di fronte alle pressioni che da qui all’Assemblea di metà marzo aumenteranno:

Ma il Campidoglio sembra il vero desiderio di “Nicola”. E così, i dem hanno già iniziato a cercare di capire quale può essere il percorso senza di lui. Di certo, serve un traghettatore, un reggente, alla Maurizio Martina o Guglielmo Epifani. Si cerca un padre nobile, ma non ce n’è nemmeno uno adatto alla situazione. Né Walter Veltroni, né Romano Prodi, né tantomeno Massimo D’Alema, che sta in un altro partito. E allora, la ricerca si concentra su una donna.

Di certo c'è che Zingaretti non aveva avvisato delle dimissioni nemmeno Mario Draghi, che - secondo Repubblica - lo ha appreso - restandone stupito, raccontano a Palazzo Chigi - dalle agenzie. Il quotidiano racconta che la scelta finale è stata presa due giorni fa, all’indomani dell’ultima direzione dem. Zingaretti aveva proposto un congresso rifondativo su temi e identità del Pd, senza la conta delle primariem "anche perché io - ha spiegato agli amici - fin qui le elezioni le ho vinte tutte, regionali e comunali, e avrei vinto pure le primarie. Ma a cosa sarebbe servito? Due giorni dopo sarebbe ripreso tutto come prima". 

Zingaretti si dimette: cosa succede adesso

E mentre Zingaretti in serata ha sentito Giuseppe Conte - ovvero colui che diventando capo del MoVimento 5 Stelle strapperebbe voti al Pd veicolandoli verso i grillini - e nel corso della conversazione l'ex presidente del Consiglio ha rimarcato il sostegno e la stima nei confronti dell'esponente dem, ribadendo come, nel tempo e soprattutto in questo ultimo anno alle prese con la lotta alla pandemia, "abbia imparato ad apprezzarne le qualità umane e la lealtà". Parole che sembrano di circostanza mentre nel partito l'effetto si materializza a sera. Quando arriva la nota di Lorenzo Guerini. "Mi auguro davvero che Zingaretti ci ripensi e ritiri subito le sue dimissioni". Base Riformista, la componente che raccoglie il grosso dei parlamentari dem e che in questi giorni è stata protagonista di una dialettica aspra con il segretario, è 'costretta' a confermare la fiducia in Zingaretti. A mancare all'appello, al momento, è l'altra area critica - contenuta nei numeri ma compatta - dei Giovani Turchi di Matteo Orfini. Gli unici a non essere mai entrati nella gestione unitaria che da un anno governa il Pd. L'effetto è che, appunto, dopo settimane di bombardamento, tutte le anime dem si ricompattano attorno al segretario. Attorno al "bersaglio" come si è autodefinito lo stesso Zingaretti.

Prendendo una decisione che i suoi definiscono "irreversibile": "Nicola non ne vuole più sapere", si assicura all'Adnkronos. Il segretario aveva anticipato solo a pochi intimi al Nazareno le sue intenzioni. Quella di dire basta, di rompere un "assedio ingeneroso", di uscire da una "morsa" divenuta insopportabile. Che sia io o un altro il segretario del Pd, non è questo il punto, ma ora tutti sono messi davanti alle loro responsabilità, sarebbe stato il ragionamento, a quanto si riferisce. Ora il re è nudo. Ma a giorni ci sarà l'assemblea nazionale Pd. E in quella riunione i numeri per una conferma di Zingaretti alla guida dei dem ci sono tutti, anzi sono schiaccianti: attorno al 66%, compresa l'area di Dario Franceschini che oggi ha rilanciato l'asse con il segretario così: "Il gesto di Nicola Zingaretti impone a tutti di accantonare ogni conflittualità interna, ricomponendo una unità vera del partito attorno alla sua guida". Sempre che il segretario riveda la sua decisione. Cosa che i suoi non danno affatto per scontata, anzi. Magari per candidarsi a sindaco di Roma? "Non è nei suoi piani", assicura chi ci ha parlato. Intanto al Nazareno sono arrivate centinaia di mail, tantissime le prese di posizione di segretari di circolo, eletti sui territori, segretari regionali, segretari provinciali e di federazione a sostegno del segretario. Chissà, forse è già troppo tardi. 

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