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Sabato, 20 Aprile 2024

Uno Bianca, permesso premio per Alberto Savi: "Non usciva dal carcere da 23 anni"

Da anni detenuto al Due Palazzi di Padova, uno dei fratelli della banda della Uno Bianca ha potuto beneficiare, qualche giorno fa, di 12 ore di libertà, dalle 8 alle 20, in una comunità protetta poco distante

Erano semplicemente "quelli della Uno Bianca", e per anni sono stati protagonisti delle peggiori pagine della cronaca nera italiana: una delle più feroci bande di criminali della recente storia italiana, responsabili di omicidi e rapine. I giornali tornano oggi a parlare di Alberto Savi, che dopo 23 anni di carcere ha ottenuto un permesso premio.

Da anni detenuto al Due Palazzi di Padova, ha potuto beneficiare, qualche giorno fa, di 12 ore di libertà, dalle 8 alle 20, in una comunità protetta poco distante.

La banda della Uno bianca è stata un'organizzazione criminale operante in Italia, in particolare nella regione Emilia-Romagna, tra la fine degli anni ottanta e la prima metà degli anni novanta. Il nome della banda fa riferimento all'automobile Fiat Uno, veicolo utilizzato in molte delle loro azioni criminali in quanto piuttosto facile da rubare e di difficile identificazione data la sua estrema diffusione all'epoca dei fatti.

Alberto Savi, uno dei fratelli della banda sconta una condanna all'ergastolo. L'ex agente di polizia in servizio alla questura di Rimini oggi ha 52 anni.

Nonostante il ricorso del procuratore aggiunto Valeria Sanzari contro il permesso concesso dal tribunale di Sorveglianza, per spalancare le porte del carcere euganeo è risultato determinante il parere favorevole di un gruppo di operatori del Due Palazzi, tra cui psichiatri ed educatori, che hanno delineato il percorso di un detenuto "modello", coinvolto in attività lavorative nel call center del penitenziario, spiega PadovaOggi.

Una prima giornata da uomo libero, quindi, a distanza di pochi mesi dallo scorso settembre, quando, lo stesso Alberto Savi, noto alle cronache anche come il "fratello buono" della banda, chiese perdono in una lettera rivolta all'arcivescovo di Bologna.

Fonte: PadovaOggi →
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